By: Roberto964 on Mercoledì 23 Gennaio 2013 12:39
un po' di materiale l'ho trovato......
è chiaro che io non HO NULLA contro i settentrionali, e poi, come dimostrano le cronache dei nostri giorni: si è SEMPRE meridionali di qualcun'altro.
. Nel 1871 le città con più di 200.000 abitanti sono: Napoli (489), Milano (199), Palermo (219), Roma (242), Torino (212). Nel 1891, dopo 30 anni di unità d'Italia, la città più grande sarà ancora Napoli con 547.000, Milano -490-, Palermo -305-, Roma -424-, Torino -330-, Firenze (new entry) -200-. Vent'anni dopo, 1911, rileviamo: Napoli con 563.000, Milano -invariata-, Palermo -invariata-, Roma -464-, Torino -invariata-, Firenze invariata- Genova 235.000- Bologna 152.000 - Venezia 152.000 - Messina 150.000 - Catania 149.000.
Da un annuario del 1890 rileviamo anche che gli italiani sono ca 31 milioni e gli aventi diritto al voto meno del 10% ma va a votare il 4,7% degli aventi diritto. I deficit dello stato italiano, salvo una breve parentesi (1875-1885) sono costantemente negativi. Contribuisce ancora in maniera rilevante al monte delle tasse (917 milioni) il Napoletano (con 217 milioni) Lombardia (132) Piemonte Liguria (147) Lazio (80) Toscana (79)... L'emigrazione è ancora un fenomeno ridotto e solo dal 1887 ha assunto rilevanza fuori dall'Europa e dal bacino mediterraneo passando da 82 mila unità verso le americhe a 204 mila annue.
Il saldo dei flussi migratori della tabella sottostante si invertirà solo in anni recenti (censimento 1981). Il periodo fascista non aveva come segno distintivo l'emigrazione, in parte assorbita da nostre colonie, da bonifiche e contrastata dal rifiuto degli Usa a ricevere nuovi immigrati (specialmente dopo il 1929). Si risviluppava parimenti la stagione dei lavori temporanei all'estero, con relativo ritorno stagionale, verso la Francia che era la meta più comune (per la falcidia di morti nella grande guerra) e verso l'alleata Germania che dopo aver assorbito 7 milioni di disoccupati (ante ascesa al potere di Hitler) ora era in deficit, in special modo alla vigilia del secondo conflitto.
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/statistiche.htm
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. Ma i piemontesi avevano prima tolto loro le
terre, comprese quelle della Chiesa, che confiscate immediatamente ai contadini, furono
assegnate, nella migliore delle ipotesi, ai vari "Mastro Don Gesualdo", ai borghesi del tempo, per capirci al ceto liberale. Quindi i contadini vennero spogliati degli usi civici, delle sementi loro date per la coltivazione della terra, del diritto di pascolo. Però fu istituita la tassa sul macinato e la coscrizione obbligatoria (che per i siciliani non c'era mai stata) di sette anni. Togliere a un contadino uno, due, tre ragazzi (braccia da lavoro nella azienda agricola) significava provocare la fame. Da qui nacque la ribellione nei confronti di un Piemonte che, dobbiamo pur dirlo per inciso, si appropriò anche dei soldi del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia. Pensate che furono persino chiuse le scuole e mandati via molti magistrati "sono troppi", per mancanza di
denaro. Napoli dove prima del 1860, vi erano 135 Conservatori, dopo c'è solo una scuola
superiore, un liceo con 70 alunni. Di questo cominciò a preoccuparsi persino Crispi che era uno di quelli che aveva ordito lo sbarco di Garibaldi in Sicilia. Se ne accorsero molti deputati del Sud e qualcuno alla fine si dimise dalla carica parlamentare - Crispi restò e se ne accorsero anche i giornali stranieri, se ne accorse persino l'Inghilterra, e la Francia. Basti citare alcuni resoconti parlamentari per capire quanto fossero gravi gli avvenimenti. Persino il deputato Bixio subito dopo l'unità d'Italia cominciò ad avere qualche perplessità e affermò in pieno Parlamento che:“la Sicilia sarebbe rimasta pacifica sotto i Borbone se la rivoluzione non fosse stata importata dalle altre provincie d’Italia, ossia dal Piemonte". Ondes-Reggio nella seduta del 5 Dicembre 1863 disse: “Devo esprimere a voi fatti miserandi e sui quali il ministero non accetta l'inchiesta,
eppure non si tratta di partiti politici, ma dei diritti della giustizia e dell'umanità orrendamente violati. I Siciliani non hanno avuto mai leva militare ripugnando di essere arruolati, il Governo ha fatto per la Sicilia una legge eccezionale che è eseguita con ferocia”. Vediamo come: L'OndesReggio continua la cronaca con la lettura di un documento ufficiale dal quale risulta essersi dato ordine nella serata del 15 Agosto 1863 dal Maggiore Frigerio, comandante piemontese del Comune di Licata, di doversi presentare tra poche ore i renitenti di leva ed in pena si priva l'acqua della città di 22.000 abitanti, si vieta ai cittadini di uscire di casa, sotto pena di subitanee fucilazioni e di altre più dure e severe misure. "In Licata dunque vennero rinchiuse in carcere le madri, le sorelle, i parenti dei contumaci di leva, sottoposti a torture fina a sprizzarne il sangue
dalle carni, uccisi i giovanetti a colpi di frusta e di baionetta, fatto morire una donna gravida…
http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/storia/altre/VARIE/0026_UNITA.PDF
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Dalle analisi statistiche svolte da Nitti è emerso inoltre, in concomitanza con il dilagare del feroce dibattito politico relativo alla lotta al brigantaggio ed alla questione meridionale, che l’emigrazione italiana dopo una flessione avutasi negli anni dal 1860 al 1867, dato che secondo l’autore dimostrerebbe che il brigantaggio attirò molti di coloro che sarebbero stati costretti a sopravvivere lasciando la patria con l’emigrazione, aumentò rapidamente e notevolmente dopo la repressione del fenomeno
Le concezioni e le prese di posizione argomentate in L’emigrazione italiana e i suoi
avversari furono riprese e sostanziate dalle ricerche sul campo svolte per l’“Inchiesta parlamentare del 1907 sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia”. Nitti fu il relatore per la Basilicata e la Calabria ed ebbe modo di proporre l’alleanza del grande capitale del Nord con i disoccupati del Mezzogiorno.
Secondo Nitti l’emigrazione non è altro che una reazione dei contadini all’azione di sfruttamento e alle condizioni di generale e diffusa precarietà. Una reazione spontanea, non indotta dagli agenti di navigazione, ma piuttosto provocata e stimolata dal persistere di rapporti di dipendenza personale all’insegna del feudalesimo.
Una reazione inevitabile e inderogabile: “per molte province dell’Italia meridionale l’emigrazione è una necessità, che viene dal modo come la proprietà è distribuita...volerla sopprimere o limitare... è atto ingiusto e crudele...perché dove grande è la miseria e dove grandi sono le ingiustizie che opprimono ancora le classi più
diseredate dalla fortuna, è legge triste e fatale: o emigrati o briganti”.
Proprio da queste analisi trae origine il cardine del pensiero nittiano: O emigranti o brigant, è la sintesi di tutta la sua concezione sull’argomento. Pertanto l’emigrazione non può essere impedita perchè ad essa l’unica alternativa di sopravvivenza è il brigantaggio, essa è “una necessità ineluttabile” e per arginare la situazione
poco proficue risultano le azioni di bonifica del territorio per ampliare i fondi coltivabili, i programmi di modernizzazione per aumentare la produttività dell’agricoltura che procedono in maniera lenta e non sono opere brevi, “e intanto la nostra popolazione cresce e il disequilibrio aumenta....la sola , la grande valvola di sicurezza
è l’emigrazione”. F. S. Nitti (1897).566
http://www.svimez.info/volume150/Sessione%2006%20-%20Memoria%2001%20-%20Torre.pdf
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