Gli Stati hanno studiato molti modi per non pagare i propri debiti, anche in questo campo la creatività non manca. Ecco le lezioni che in passato ci ha dato la storia.
Da più parti si dice che sarà difficile per l’Italia riuscire a non fare default. Ma, se così fosse, come si può fare default? Vediamo i casi di Argentina, Stati Uniti e… Germania!
Argentina.
Uscito dalla dittatura militare dopo la sconfitta delle Falkland, il Paese inizia un percorso di sviluppo, ma, negli anni ’90, si trova ad avere un livello di inflazione eccessivo. Per abbatterlo decide di legare il peso argentino al dollaro Usa. Così facendo, l’inflazione, effettivamente, crolla. Nel 1998 però, interviene la crisi di altri Paesi emergenti. Questo fatto ha come conseguenza il deprezzamento delle valute dei Paesi sudamericani verso cui Buenos Aires esporta. In particolare, a calare è il real brasiliano. L’Argentina piomba in recessione e il Governo, per sostenere l’economia, mantiene comunque un alto livello di spesa pubblica, che, di conseguenza, ne fa salire il debito. Conscio della brutta china, il Governo tenta di tagliare la spesa, ma nel Paese si diffonde il malcontento. A fine 2001 l’Argentina decide di non rimborsare il proprio debito e, a gennaio 2002, abbandona il cambio fisso col dollaro. Il default ha conseguenze gravi: nessuno presta più i soldi a Buenos Aires, che però continua ad avere bisogno di capitali. La crisi va avanti e nel 2005 il Paese ristruttura il debito cambiando i vecchi bond con bondnuovi il cui valore è circa un terzo rispetto ai precedenti.
Stati Uniti.
Non è propriamente un default, ma un cambio di regole che, per alcuni creditori, ha effetti simili. Dopo la seconda guerra mondiale, a seguito degli accordi di Bretton Woods, tutte le monete erano legate a un cambio fisso col dollaro. Per garantirne l’affidabilità il dollaro era convertibile in oro (35 dollari per un’oncia). Con la guerra del Vietnam e la crescita dello Stato sociale, gli Usa iniziarono a indebitarsi in modo crescente e a stampare più dollari. Questo minò la fiducia nel biglietto verde e spinse molti a chiedere la conversione dei dollari in oro. Ciò fece scendere le riserve Usa di migliaia di tonnellate, finché il 15 agosto 1971 il Presidente Nixon dichiarò che il dollaro Usa non era più convertibile. Gli Usa non smisero di onorare il debito (in dollari), ma non lo fecero più con una valuta ancorata all’oro. Negli anni successivi il dollaro crollò rispetto ad altre valute più affidabili. Un investitore tedesco che nel 1970 avesse avuto 1.000 dollari in titoli di Stato Usa dalla vendita ne avrebbe ricavato 3.600 marchi. Dieci anni dopo solo 1.800. Se non è un modo per fregare (selettivamente) i debitori questo!
Accordi di Bretton Woods: è una conferenza che si tenne nel 1944 in cui vennero decise le regole commerciali e internazionali del dopoguerra, tra cui la stabilità di cambio tra valute mondiali che durò fino ai primi anni Settanta.
Germania.
Ecco un caso particolare basato sull’inflazione. Nel 1933 Hitler divenne Cancelliere. Iniziò una costosa politica di riarmo e la Germania non voleva indebitarsi. Il banchiere centrale Schachtinventò quindi le cambiali Mefo (dal nome di una società veicolo) con cui lo Stato pagava le proprie forniture. Le cambiali Mefo divennero una sorta di moneta parallela usata dalle imprese. Era debito pubblico, per via della garanzia dello Stato, ma non appariva come tale, e lo Stato si guardava bene dal dire chiaramente quante ne circolavano, per evitare la corsa alla conversione in marchi. Fin qui tutto bene. I fautori della moneta fiscale usano questo esempio come un caso di successo, perché i Mefo aiutarono la Germania a diminuire la disoccupazione e a rilanciare l’economia. Il problema arrivò dopo, con la guerra. Lo Stato iniziò a emettere molti titoli di Stato e il debito pubblico, che nel 1939 era circa 50 miliardi di marchi, nel 1942 era più che triplicato, ammontava a ben 387,9 miliardi di marchi nel 1945. Fino al 1943 il Governo mantenne alta la fiducia, garantendo ai tedeschi una buona qualità di vita. Poi la guerra andò così male che la Banca centrale dovette stampare moneta per assorbire il debito pubblico, creando inflazione. Quanta? Difficile dirlo perché i prezzi erano controllati per legge e, infatti, avvenne ciò che avviene in questi casi: la moneta sparì e si tornò… al baratto con le sigarette usate come merce di scambio. Nel 1944 si parla di debito al 240% del Pil. Nel 1948 il vecchio Reichsmark venne sostituito dal nuovo Deutsche mark. In quell’occasione furono dati, nell’arco di pochi mesi, 60 nuovi marchi a ogni tedesco, e quanto risultava essere depositato sui conti correnti fu convertito secondo regole complesse, che, di fatto, ne comportavano pesanti tagli. Non c’è quindi da stupirsi per il fatto che i tedeschi temano l’inflazione!
Il marco tedesco (Deutsche Mark) fu la moneta tedesca dal 1948 all’euro. Fu preceduto dal Reichsmark (1924-1948) a sua volta preceduto dal Papiermark (1914-1924), cioè marco di carta, che fu distrutto dall’iperinflazione degli anni venti. Il marco che precedette il Papiermark fu il Goldmark (1873-1914), cioè marco convertibile in oro. Inutile a dirsi che quello fu un periodo di stabilità dei prezzi.