BITCOIN

La scorsa settimana il Comitato del Senato americano che si occupa dei servizi bancari ha inviato una lettera al CEO di Tether con la richiesta di dettagli sullo stato finanziario, sull’operatività e sui processi esistenti su questa stablecoin legata al dollaro.

Il CEO di Tether ha tempo fino a domani per dare una risposta.

In mancanza di una risposta, il Senato ordinerà alle autorità di controllo di fare in modo che le banche taglino ogni relazione con la società Tether e i suoi rappresentanti.

Ma anche se il CEO di Tether fornisse una risposta, questa molto probabilmente verrebbe ritenuta insoddisfacente, per cui si avrebbe lo stesso risultato già detto sopra.

La verità è che nessuno sa dove Tether detiene i 78 miliardi di dollari che ha dichiarato di avere a copertura della sua stablecoin. Inoltre, nonostante la società affermi di avere 30 miliardi sotto forma di prestiti a breve termine, nessuna banca sembra mai aver sentito parlare di tale società e quindi non si sa quale di queste le avrebbe fornito tali prestiti.

Da quando esiste il mercato delle cripto, l’insolvibilità di Tether e quindi l’impossibilità di coprire davvero la quotazione di questa valuta con dollari reali (o almeno con titoli di stato americani, come fanno quelli di USDC) è un segreto di Pulcinella.

Tutti sanno che probabilmente Tether è una gigantesca montatura, ma nonostante questo, per quella autodistruttiva componente della natura umana chiamata “abitudine”, Tether è stato usato negli anni da milioni di utenti, che hanno continuato a usarla anche dopo la nascita di stablecoin molto piu’ valide, come USDC.

L’abitudine è il fattore determinante che nel marketing crea il vantaggio dovuto al cosiddetto “brand positioning”.

In sostanza, il marchio che si impone per primo sul mercato è quello che molto probabilmente diventa dominante sui concorrenti che vengono dopo. E questo anche se alcuni concorrenti assicurano una qualità molto superiore.

Gli esempi classici sono la Coca-Cola e Windows, diventati leader del loro settore a prescindere dalla loro qualità.

La stessa cosa è successa per Tether.

Accade cosi’ che il mercato delle cripto nel suo complesso ha una larghissima parte di liquidità in Tether. E quindi se Tether da un giorno all’altro cadesse in rovina, tutto il mercato cripto avrebbe una enorme crisi di liquidità.

Peggio ancora, tornerebbe in auge la narrativa che era dominante fino a due anni fa, secondo cui le cripto non sono altro che una truffa.

Si instaurerebbe un vero, serio mercato ribassista la cui durata sarebbe difficile da determinare ora.

Ci sono quindi tutti i motivi per correre ai ripari e chiudere alcune posizioni aperte in questo mercato.

In sostanza, a mio avviso, chi ha investito poco, ma quel poco è necessario alla sua sopravvivenza, dovrebbe chiudere TUTTE le posizioni.

Invece chi ha investito ingenti somme, potrebbe decidere di disinvestire solo una minima parte, relativa ad esempio a dei progetti che intendeva finanziare nel breve termine (viaggi, acquisti importanti, spese mediche ecc.), lasciando la gran parte ancora nel mercato.

Il ribasso potrebbe essere profondo, come tutti i ribassi dovuti a eventi inaspettati, ma potrebbe anche durare meno del previsto.

All’altro estremo, c’è invece l’ipotesi peggiore, ossia che in America abbiano deciso di porre fine all’età d’oro delle criptovaulte in quel continente.

Per qualcuno che decidesse di uccidere le cripto per un tempo abbastanza lungo, sarebbe proprio Tether l’arma migliore.

Si tratta pero’ di un’ipotesi molto “complottista” (cioè poco suffragata dalle evidenze e priva di un filo logico soddisfacente).

D’altra parte, nessuno ha le prove per dire che quest’ipotesi non possa davvero verificarsi.

La scelta migliore quindi credo sia quella che ho proposto prima: non propendere né per un eccesso né per un altro, ma stare nel mezzo e prepararsi a un evento negativo che potrebbe anche non verificarsi, oppure avere vita breve.

Se poi domani non accadrà nulla, tanto meglio…