TARGET2 (i vantaggi dell'euro...)

 

  By: Mr.Fog on Martedì 08 Novembre 2005 21:41

e se 1.000 fondi giapponesi fanno lo stesso il $ crolla ---------------------------------------------------------- Si! Ma a perdere saranno i giapponesi...

 

  By: GZ on Martedì 08 Novembre 2005 21:34

beh.... il problema ce l'hanno gli USA come l'Argentina se un fondo giapponese pieno zepppo di obbligazioni del tesoro in Dollari li vuole vendere e poi cambia i soldi in Yen o Euro il dollaro scende lo stesso e se 1.000 fondi giapponesi fanno lo stesso il $ crolla

 

  By: Mr.Fog on Martedì 08 Novembre 2005 21:10

Ci sono due detti che mi vendono in mente guardando il grafico di GZ: 1) se hai un debito di 100$ il problema e' tuo...se il debito e' di 100.000.000$ il problema e' della "banca" 2) il debito degli USA e' denominato in dollari non in Jen, Euro o che altro..., quindi non devono nulla a nessuno.

 

  By: delta0618 on Martedì 08 Novembre 2005 20:13

Per chi non l'avesse già letto.. almeno spiega bene come stanno le cose... «Tutti e quattro i precedenti capi della Federal Reserve, Arthur Burns, William Miller, Paul Volcker e Alan Greenspan, sono stati subito, appena messo piede nell’ufficio, chiamati a misurarsi con problemi per i quali non erano preparati. Burns si trovò con un’inflazione impazzita, Miller dovette fronteggiare un crollo del dollaro, Volcker una dura recessione e Greenspan la caduta delle azioni del 1987. Bene, io credo che un destino analogo attenda Ben Bernanke: dovrà fronteggiare un’emergenza per la quale non è preparato». Stephen Roach, capo economista della Morgan Stanley, uno degli analisti e dei Fed watchers più prestigiosi del mondo (tra l’altro alla Fed ha anche lavorato), invita a temperare gli entusiasmi, e ci spiega quale sarà quest’emergenza: «Bernanke puntualizza è famoso per la sua conoscenza e la sua attenzione sui temi dell’inflazione, ed è stato scelto da Bush proprio perché si pensa che l’inflazione sarà il maggior problema dei prossimi anni. Io credo che la realtà sarà molto diversa: l’inflazione non è né sarà un problema, la vera questione che esploderà fra le mani del prossimo presidente della Fed sarà la crisi dei conti pubblici americani». Bè, veramente Bernanke ha fama di solido economista in senso lato, possibile che andrà nel panico per una questione imprevista? «Senta, io sono 33 anni che seguo la Fed, e tutte le volte mi è capitato di dover assistere con palpitazione alle difficoltà di un presidente, prestigioso quanto si vuole, alle prese con un problema per cui era impreparato. Poi, certo, se l’è cavata, ma le difficoltà per il paese sono state molto forti. Ora, Bernanke arriva con le migliori credenziali. Il suo pedigree è impeccabile, ha studiato e poi insegnato nelle migliori università, i giornali accademici sono pieni dei suoi editoriali, è forse l’economista più sofisticato oggi disponibile. Però ha scarsa esperienza sui mercati ed è tutta da dimostrare la sua capacità di leadership internazionale in circostanze eccezionali e, ripeto, impreviste». Lei però è da tempo che ripete i suoi allarmi sui conti pubblici, il deficit in effetti si aggrava di anno in anno, però non succede niente... «Proprio niente direi di no, dodici rialzi consecutivi dei tassi le sembrano niente? Comunque, è vero, rischio di ripetermi e di andare a finire come il ragazzo che gridava "al lupo, al lupo". Per la precisione, sono quattro anni e mezzo che immancabilmente ad ogni uscita pubblica mi sento ripetere: e allora? Quando avremo questo drammatico aggiustamento dovuto ai deficit americani e al loro finanziamento? Io resto convinto che la situazione sia insostenibile. Anzi, quanto più a lungo si tira avanti e il mondo deve sostenere un disequilibrio come l’attuale, e tanto più aumentano i pericoli di una crisi globale e molto profonda. Molti sono gli aspetti da tener presente: per esempio, in diversi paesi si assiste ad una crescita economica interna, a partire dal Giappone ma anche probabilmente in Germania, che finirà con l’assorbire risorse sottraendole ad un mero investimento in attività denominate in dollari. E anche la Cina, altra fondamentale ‘sostenitrice’, sarà sempre più orientata a stimolare i consumi interni». Per inciso, l’attuale situazione dei prezzi petroliferi sta dando il suo contributo alle tensioni internazionali? E quanto durerà? «Diciamo che sicuramente contribuisce all’inflazione, però in misura contenuta e contenibile. Voglio dire che ha alzato di qualche decimo di punto gli indici dei prezzi, ma assolutamente niente di drammatico, e questo perché l’occidente è meno dipendente dal petrolio, perché anche se costa caro ce n’è tantissimo, perché oggi l’industria non dipende più dal manifatturiero ma dai servizi, e mille altri motivi. Per tutto questo, dico che l’effetto maggiore è stato paradossalmente che ha diffuso la paura, anzi il terrore, di un boom dell’inflazione. E questo è ingiustificato. Per la seconda parte della sua domanda, quanto durerà il rialzo, è veramente difficile da dire, dipende da mille fattori, dai conflitti, dalle capacità di assorbimento dei paesi di nuova industrializzazione, anche dal tempo che farà quest’inverno. In linea di massima, potrei azzardare che il peggio è passato, e infatti i consumatori americani hanno ricominciato subito a comprare appena i prezzi del petrolio sono scesi un minimo, però è veramente difficile da dire. E poi il problema per i consumatori americani non è che non comprano, è che pur di farlo finiscono con l’indebitarsi oltre ogni ragione». E qui veniamo al tema centrale. Lei sostiene da anni che non è possibile che l’America viva ‘a credito’, basandosi sul fronte dei conti pubblici sul flusso di denaro che arriva dai grandi investitori stranieri, soprattutto orientali, e sul fronte dei conti privati sui soldi che la gente affannosamente prende in prestito. E’ sempre questo il problema? «Certo, anzi come le dicevo è in continuo peggioramento. Ma lo sa che il tasso di risparmio è arrivato all’1,5 per cento del pil Usa, e che non è mai stato più basso? E che entro l’anno prossimo, secondo i nostri calcoli, arriverà a zero? Ora, mi dica se è sostenibile che un paese come l’America, il leader economico mondiale, non riesca a risparmiare neanche un centesimo e che continui a investire montagne di capitali presi a prestito dall’estero. E le lascio solo immaginare cosa accadrà se, come tutti gli economisti all'unanimità ormai indicano, il boom immobiliare finirà fra poco e con esso si prosciugherà la possibilità per i privati di rifinanziare continuamente il loro mutuo secondo il modello diffusissimo in America. Ecco, su questo dovrebbero concentrarsi le autorità monetarie, non su una paura dell’inflazione assolutamente esagerata. Tutti si preparano alla battaglia come negli anni 70, quando si andò a finire con la stagflazione, cioè recessione più inflazione, ma le condizioni erano totalmente diverse». Significa che Bernanke si prepara ad affrontare battaglie nuove con metodi antichi? «Guardi, vuol dire semplicemente che ci si dovrebbe concentrare su un problema preciso: qui sta per scoppiare la madre di tutte le bolle speculative, quella dei conti pubblici e privati insieme, perché c’è un mostruoso deficit dei pagamenti, e lo scoppio sarà rafforzato dalla contemporanea crisi dei valori immobiliari. E non bisogna fare errori come quelli che ha fatto Greenspan». Greenspan? Il Maestro, come lo chiamano, in italiano e con la maiuscola, i suoi connazionali? «Sì, il Maestro. Ha di fatto incoraggiato gli americani, tenendo i tassi incredibilmente bassi per un periodo protratto di tempo, a non risparmiare più nulla, ed è come dicevo la prima volta che il national savings rate finisce in negativo nella storia, o almeno dal 1933 quando questi conteggi hanno cominciato ad essere fatti. Parallelamente, con il deficit pubblico che è andato crescendo in modo anch’esso incontrollato, la Fed ha dovuto fare equilibrismi finanziari per attrarre capitali stranieri. Il capitolo finale di questa storia, dell’America povera che vive da ricca, dev’essere ancora scritto, e lo sarà sotto la nuova presidenza della Federal Reserve. La crescita economica del paese, e con essa dell’occupazione, dello sviluppo, anche dei partner occidentali, è appesa a questo filo sempre più sottile. Questa è la vera sfida per Bernanke. Come se non bastasse, ora ci si è messa anche Katrina». Katrina? L’uragano? «Guardi che i costi della ricostruzione, anzi prima del cleaningup che è appena cominciato, sono enormi. E anche pieni di incognite come il recupero della piena funzionalità delle raffinerie petrolifere e dei terminal portuali. Abbiamo calcolato che i costi finali, a carico per lo più delle amministrazioni federali e locali, potrebbero costare fino a un punto di più nel rapporto deficitpil rispetto a quanto oggi preventivato, si potrebbe cioè arrivare al 3,8% nel 2005». Aumentano insomma le spese senza che a questo corrispondano risorse interne adeguate. Fino a quando durerà? «Senta, per non ricadere nella sindrome del richiamo "al lupo" le dico solo che il deficit delle partite correnti, il più preoccupante fra i vari deficit di cui stiamo parlando, nella prima metà del 2005 ha viaggiato sulla base di una media annuale di 800 miliardi di dollari. Significa che attualmente occorre che 3 miliardi di dollari per giorno lavorativo arrivino in America dall’estero. Ora, visto anche le conseguenze di Katrina di cui parlavo, la situazione è destinata a peggiorare. Per sostenere quest’afflusso serve una solidissima fiducia nei confronti dell’America da parte del resto del mondo. E tenere alta questa fiducia è il compito su cui dovrà concentrarsi Bernanke, altro che l’inflazione. Altrimenti ogni giorno rischiamo due cose: un crollo del dollaro, un crollo vero intendo, e un correlato brusco rialzo dei tassi d’interesse, che a sua volta ovviamente porterebbe ad una contrazione dell’economia. Mi pare evidente che non possiamo continuare a fidarci solo della benevolenza degli stranieri». Oltretutto, la benevolenza verso l’America non sembra un sentimento molto diffuso nel mondo...

 

  By: polipolio on Martedì 08 Novembre 2005 19:20

Mah, è evidente che non è un problema di prezzi, ma di attività economica relativa. Gli Usa han bisogno di vendere in Europa, ma qui compriamo solo se l'economia riparte, ma per ripartire l'€ deve scendere ... Svalutare serve solo se l'elasticità incrociate dei beni importati Vs. quelli esportati è favorevole; nel caso del $ questo mi pare quanto meno dubbio. (e questo per fermarsi all'economia classica, sofisticazioni available)

Il Dollaro e il Deficit - gz  

  By: GZ on Martedì 08 Novembre 2005 18:14

Il dollaro in media è salito del 14% sull'euro, franco, sterlina e di circa la metà sulle valute asiatiche. Il dollaro è ora di nuovo al livello di novembre 2003 e ha smentito clamorosamente i pessimisti che per tutto il 2004 e buona parte del 2005 lo descrivevano come carta straccia (su questo sito si era zeppi di previsioni catastrofiche di euro a 1.60) (ha smentito di recente anche chi scrive che a 1.21 euro pensava fosse di nuovo comprabile l'euro) Ora i pessimisti e catastrofisti non li senti più, incluso Warren Buffett che un anno fa dava interviste per spiegare che il deficit avrebbe affondato il dollaro e ora si è dovuto ricomprare 5 miliardi di dollari. Il fatto è che il deficit estero USA di 750 miliardi annui sembra un problema grave, anzi lo è, ma NON HA UNA RELAZIONE DIRETTA con il dollaro. (dati aggiornati a 10 mesi fa, volevo mostrare la relazione storica tra cambio e deficit estero, ora il dollaro è più alto)

 

  By: polipolio on Domenica 06 Novembre 2005 01:05

Certo che che più che analisti sembrano trend followers ... 3 anni fa per giustificare l'€ in ribasso dicevano che teneva i tassi troppo alti, ora con la stessa motivazione, spiegano il $ in rialzo. Tra un po' spiegheranno anche la lateralità ... ------------- By contrast, a mix of high union wage demands, faster-than-desired money-supply growth and rising prices are adding to inflation pressures in Europe, which could -- at least in the near term -- deter the European Central Bank from cutting interest rates, which would help to stimulate the sagging euro-zone economy. If so, that could further dishearten investors who in each of the past three years have seen the euro hit its yearly highs in January. "Looking ahead, a lot of long-term investors could now fear that, once again, January will be the high for the euro," warned ABN Amro's Mr. Norfield.

Bye Bye Euro - gzibordi  

  By: GZ on Lunedì 28 Gennaio 2002 12:02

Stock: Euro/Fiorino, Franco Svizzero

questa è la storia numero uno stamattina, più delle borse, l'euro ha rotto in giù tra venerdì e stamattina ( pezzo principale del WSJ di oggi ad es) -------------------------------------- Monday could be a decisive day for the euro, which tumbled to a six-month low against the dollar Friday. If the release of the latest Ifo survey on German business confidence fails to mitigate some of the pessimism shrouding the euro zone's biggest economy and its common currency, some strategists warn that the euro could easily extend Friday's steep declines. Euro bears, such as Lee Ferridge, head of global currency strategy at Rabobank in London, reckon it won't be long before the euro falls to its record low of 82.28 U.S. cents, set on Oct. 26, 2000. "We can't rule out a fall below 80 cents," said Mr. Ferridge. Behind this pessimism is an assumption that the U.S. economy will resume growing much more quickly than the euro zone. The rampaging dollar, which has recently climbed to all-time highs against the Canadian dollar and a 39-month high against the yen, has been the subject of strong complaints in the U.S. by the National Association of Manufacturers, industry groups and the AFL-CIO labor federation. In meetings and correspondence with U.S. Treasury officials, the groups have complained about the damage the rising dollar is doing to U.S. exports, corporate profit and American employment, and asked the Treasury to reconsider its strong-dollar policy. So far, the Treasury has resisted the pressure and reiterated its support of the policy. In late New York trading Friday, the euro stood at 86.59 U.S. cents, down from 87.73 U.S. cents late Thursday. At one point in intraday activity Friday, the euro fell to as low as 86.25 U.S. cents, its lowest since mid-July. Meanwhile, the pound tumbled to $1.4096 from $1.4236 late Thursday, while the dollar rose to 1.7034 Swiss francs from 1.6763 francs the day before. "The euro plummeted against the dollar, dragging sterling and the Swiss franc sharply lower as well," said Lara Rhame, a currency strategist at Brown Brothers Harriman & Co. in New York. She attributed the common currency's malaise to "the combination of an upswing of positive U.S. recovery sentiment, lackluster European [economic] data, and -- perhaps most important -- a technical break" below key levels on charts that many traders use to predict currency movements. That in turn encouraged more selling. The important technical levels were 87.40 U.S. cents and 87.30 U.S. cents, the euro's lows of last November and December, respectively. "After it hit those lows, the euro bounced back about 3.5% to 4% each time," noted Tony Norfield, global head of foreign-exchange research at ABN Amro Bank in London. But in the past few days, the currency began approaching those levels for a third time. "In technical terms, it's not often you get a triple bottom; and normally the third time around, you also get a bigger move [down]," said Mr. Norfield. He said that many of the investors who were selling euros Friday were the same ones who had helped drive it up to 90.70 U.S. cents on Jan. 2., reflecting the euphoria surrounding the issuance of euro notes and coins at the start of the year. "The initial push higher was led largely by short-time players, impressed by the fact that the issuance of [euro] notes and coins wasn't a fiasco, and also by Chinese statements that they intended to increase their holdings of euros' as part of their foreign-currency reserves, said Mr. Norfield. The positive sentiment about a U.S. recovery was fueled by Federal Reserve Chairman Alan Greenspan's upbeat assessment of the American economy to the Senate Banking Committee on Thursday and encouraged by a steady stream of improving U.S. economic data in recent weeks. In his testimony, Mr. Greenspan said although there are still risks to the rebound, the forces that have been restraining growth are starting to diminish. "Greenspan has given the official seal of approval to the recovery story," said Rabobank's Mr. Ferridge. By contrast, a mix of high union wage demands, faster-than-desired money-supply growth and rising prices are adding to inflation pressures in Europe, which could -- at least in the near term -- deter the European Central Bank from cutting interest rates, which would help to stimulate the sagging euro-zone economy. If so, that could further dishearten investors who in each of the past three years have seen the euro hit its yearly highs in January. "Looking ahead, a lot of long-term investors could now fear that, once again, January will be the high for the euro," warned ABN Amro's Mr. Norfield.