By: gianlini on Venerdì 31 Ottobre 2003 10:58
Caro Beppe,
ti scrivo per avere un tuo parere spassionato e obiettivo su una mia cosa personale. Ho 45 anni, sposato, con un piccolo di 14 mesi. Con mia moglie, una american-italian con cui vivo da quattro anni a Roma, stiamo cercando di prendere una decisione che possa migliorare la nostra vita e quella del piccolo. La nostra situazione lavorativa è a dir poco patetica. Per quanto riguarda me, sono sei anni che non riesco ad avere un contratto stabile; sono passato dal lavoro nero, al co.co.co. all'ultimo «a progetto» (tre mesi + tre mesi). Lei, con tanto di laurea e master conseguiti negli Usa più dodici anni in una posizione da manager, qui in Italia non è riuscita ad andare oltre un posto da segretaria («signora, mi fa questa fotocopia, per favore?»). Viviamo in affitto (750 euro al mese) che a breve, esauriti i risparmi, non potremo più permetterci.
Un paio di telefonate ad amici americani, un paio di email con i nostri curriculum e nel giro di pochi giorni due colloqui telefonici (ma pensa) e un'offerta per lei di un lavoro da 85 mila dollari all'anno. Allora che facciamo? Andiamo? E i genitori, fratelli, amici, lattai, pizzicaroli, colleghi, garagisti, vicini di casa, Costanzo, Vespa, il campionatopiùbellodelmondo, labuonacucinaitaliana? Li lasciamo così, indifferentemente? Sì. Per il lavoro e il futuro di un figlio ci si sente pronti a tutto. Ma anche per una questione di orgoglio personale. I miei coetanei sono tutti «sistemati» (casa, remi in barca al lavoro, vacanze estive e invernali, figli al maneggio, baby sitter, ma soprattutto la consapevolezza di aver raggiunto qualcosa nella vita). Ecco, è proprio questo che mi tormenta in questo momento, ancora più della situazione economica, il non aver potuto dare alla mia famiglia una «sicurezza di base». Sono molto stanco e sfiduciato, non per quello che ho fatto, ma per quello che non ho fatto. Ecco perché ti chiedo un parere, da coetaneo e da persona che ha un'apertura diversa e che conosce la realtà di altre situazioni sociali perché le ha vissute di persona: si può lasciare il proprio Paese e il proprio modo di vivere a 45 anni?
Grazie per questo spazio, con stima.
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Luke, puoi pensare che me la sia inventata, ma è una lettera giunta a Severgnini sulla sua rubrica "italians" del sito del Corriere, oggi pubblicata.
Credo che sia esemplare di cosa voglia dire "crescita"