Programma Economico (Tremonti, Giannino, Grillo...)

 

  By: Moderatore on Lunedì 11 Febbraio 2013 02:34

I tedeschi sono sempre i più seri, c'è da imparare da loro per risolvere i problemi fino in fondo In Germania ^un ufficio pubblico di collocamento per disoccupati ha indirizzato una donna a lavorare in un bordello#http://www.spiegel.de/international/zeitgeist/outrage-after-job-center-suggests-brothel-job-for-young-woman-in-germany-a-882021.html^

 

  By: Paolo_B on Sabato 09 Luglio 2011 01:39

A Conferma che la strada di Zaleski qui sotto è quella che percorranno c'è che anche gli USA preparano qualcosa del genere. -- HR 2411 states that every worker in America should be able to voluntarily have a portion of his/her wages automatically withheld and sent directly to the Treasury Department for the purposes of paying down the federal debt. “Every employer making payment of wages shall deduct and withhold upon such wages any amounts so elected, and shall pay such amounts over to the Secretary of the Treasury…” -- Anche questa è potente e con notevole efficacia. Prendersi un pezzo di stipendio di tutti i lavoratori USA. http://www.zerohedge.com/article/guest-post-boiling-frog-alert-congress-wants-automatic-wage-deductions-pay-down-debt Ovviamente se entrambe le strade saranno percorse come strategia unitaria occidentale (cittadini sganciate i soldi) il problema poi torna ancora in main street. La cosa infatti è tremendamente deflattiva.

 

  By: Paolo_B on Sabato 09 Luglio 2011 00:57

2200 miliardi circa (ipotizzando che a questi livelli ricchezza netta e lorda coincidano). Il 10%, *** esclusi i titoli di Stato ***, è circa 200 miliardi di minor debito, che in rapporto al Pil tornerebbe vicino al 100%. Non male. ---- il senso è tutto qua, e Zaleski ci prende. Chi non ha portato già i soldi in svizzera comprerà buoni del tesoro. Per questo è vicino il momento, anche per gli interessi che offrono, in cui i BTP sono da comprare. Non falliranno. In Italia c'è ciccia da mangiare.

 

  By: Moderatore on Venerdì 08 Luglio 2011 23:55

il Presidente della ^Tassara spa di Roman Zaleski#http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Tassara^, holding azionista di Generali Mediobanca, Intesa e altri e come noto molto indebitata argomenta per la patrimoniale -------------------- Caro direttore, in molti avvertiamo, in questi giorni, il senso di un'emergenza e di una responsabilità. L'emergenza è finanziaria, politica e civile: colpisce tutti. La responsabilità è quella di chi ha di più, magari perché ha saputo cogliere (come è capitato anche a me nella mia vita bancaria) le opportunità degli anni buoni. Esercitarla significa essere disponibili ad assumere su di sé una quota di quella riduzione del debito pubblico che è la precondizione della crescita futura. Parlo, sì, di un'imposta patrimoniale. Ma di un'imposta patrimoniale solidale e intelligente: non vendicativa, ma accettata, addirittura promossa, da chi è destinato ad accollarsela con il senso di responsabilità di una classe dirigente, e la cui durezza sia compensata dall'efficacia e dall'equità. Che abbia un po' il significato dell'abolizione della scala mobile del'92, ma su una fetta di popolazione diversa. Una cosa del genere non è facile ma forse è possibile. Vediamo due conti, a titolo di esempio. Tassare i patrimoni del 20% più ricco, escludendo l'80%, significa riferirsi ad una base imponibile, se si escludono le case, di 2200 miliardi circa (ipotizzando che a questi livelli ricchezza netta e lorda coincidano). Il 10%, esclusi i titoli di Stato, è circa 200 miliardi di minor debito, che in rapporto al Pil tornerebbe vicino al 100%. Non male. Il sacrificio imposto alla parte degli italiani che sta meglio servirebbe a raggiungere un obiettivo che, con finanziarie durissime e senza crescita, richiederebbe ben oltre un decennio. Un colpo duro a chi ha risparmiato di più, ma si può pensare ad un correttivo interessante, a vantaggio di quelli che hanno costruito il proprio patrimonio senza evadere il fisco. Basterebbe compensare — per qualche anno e parzialmente — con una detrazione fiscale di qualche punto le «vittime» della patrimoniale che hanno dichiarato e dichiareranno il proprio reddito. In questo modo, la tassa colpirebbe tutta la parte più benestante del Paese, ma al suo interno colpirebbe soprattutto (dipenderà dalla detrazioni) quella che non ha pagato le tasse. Il gioco sarebbe comunque vantaggioso per i conti pubblici: il numero degli italiani che ha dichiarato più di 200 mila euro di reddito annuale (8 volte il reddito medio) non arriva scandalosamente allo 0.2 per cento mentre chi ha una ricchezza superiore di 8 volte alla media è — si può stimare — oltre il 20% circa del totale. Per il resto, la macroeconomia soffrirebbe poco (i consumi del 20% più ricco del Paese non sarebbero sostanzialmente incisi), l'80% degli italiani assisterebbe compiaciuto all'evento, e godrebbe come tutti della riduzione degli interessi sul debito pubblico corrispondente alla riduzione dello stesso — circa 8 miliardi l'anno, permanenti — e della recuperata fiducia del mercato finanziario. Questo reagirebbe con favore a un Italia per una volta esemplare, che riducesse di un colpo il suo debito mostrando il volto di un ceto benestante pensoso degli interessi collettivi, responsabile, e tassato. Varrebbe almeno un punto di riduzione di spread che corrisponde a regime ad altri 20 miliardi. Sono quasi 30 miliardi l'anno di vantaggio, da usare per la crescita e l'occupazione. Senza parlare del beneficio per le imprese e le banche che stanno attingendo a così caro prezzo al mercato internazionale del credito. Forse è un'idea su cui vale la pena ragionare, senza preconcetti, a partire da coloro i quali a questo sacrificio dovrebbero sottoporsi (compreso ovviamene chi scrive). Che, aderendovi, o addirittura facendosene promotori — è una specie di appello alla buona volontà — avrebbero l'occasione di dare una mano concreta al Paese, allargando i gradi di libertà della sua politica economica con più spazio alla crescita, ma contribuendo anche a ridurne i sensi di ingiustizia, a rendere accettabili sacrifici che comunque dovremo continuare a fare, e a dare per una volta il senso di vivere in un luogo in cui lavorare, pagare le tasse e votare vale la pena.

 

  By: GZ on Giovedì 26 Maggio 2011 01:22

La ricchezza degli italiani tocca il massimo storico di 9.732 miliardi di Euro di cui ---------------- attività finanziarie 3.630 miliardi di Euro patrimonio immobiliare 5.626 miliardi di Euro Dei 3.630 miliardi di Euro in attività finanziarie -------------- titoli obbligazionari e strumenti liquidi 1.829 mld Assicurazioni e Fondi Pensione 650 miliardi azioni ??? risparmio gestito 995 mld risparmio amministrato e circolante 2.636 mld ----------- La ricchezza degli italiani tocca il massimo storico di 9.732 miliardi di Euro- E' pPari a 3.630 miliardi di Euro la componente finanziaria che prosegue il trend di crescita (+13% rispetto ai minimi del 2008); ritorno a livelli pre-crisi stimato a partire dal 2012. Per i prodotti bancari riduzione della quota di mercato (per il 2011 53% su 1.506 mld di AuM, considerando tutti i prodotti istituiti dalla società e dalle gestioni proprie) a favore dei prodotti assicurativi/previdenziali (48%). Per i clienti retail riavvicinamento ai livelli pre-crisi – solo in quota percentuale (53% dell’AuM); i clienti private rimangono prudenti (16%). Si conferma il modello banco-centrico per la gestione del risparmio: quota intermediata dal canale bancario 75% dell’AuM, canale diretto 26%, promotori 18%) Paperoni in crescita con un patrimonio totale di 910 miliardi di Euro Questi, in sintesi, gli ultimi risultati emersi dall’Osservatorio Permanente sulla Gestione del Risparmio delle Famiglie, denominato ORFEO, lanciato da PwC e dall’Università di Parma e curato da Giacomo Neri, partner PwC Advisory (Financial Services Practice), e dal Professor Gino Gandolfi (ordinario presso la Sezione di Finanza, Banche e Assicurazioni del Dipartimento di Economia dell’Università). In Italia la ricchezza delle famiglie, tradizionalmente legata alle attività reali e in particolare al patrimonio immobiliare continua a crescere e raggiunge il massimo storico di 9.732 miliardi di Euro nel 2010, con una crescita media annua 2003-2010 del 2,83%. E’ diminuito, nel portafoglio degli italiani, il peso delle attività finanziarie (passato dal 41,3% del 2003 al 37,3% del 2010) che si attesta a 3.630 miliardi di Euro, mentre è cresciuto il peso del patrimonio immobiliare (passato dal 53,1% al 57,8% del 2010) che ha raggiunto i 5.626 miliardi di Euro. La ricchezza finanziaria è stata allocata per il 27% in prodotti di risparmio gestito (995 mld) e per il restante 73% in risparmio amministrato e circolante (2.636 mld), confermando la tendenza degli ultimi anni. Giacomo Neri, Partner PwC, ha commentato: “Il risparmio delle famiglie italiane resta un asset fondamentale per il paese, in grado di compensare ampiamente l’indebitamento del settore pubblico. In questo quadro il settore dell’asset management riveste un’importanza strategica”. In Italia gli investimenti in titoli obbligazionari e strumenti liquidi continuano a rappresentare oltre il 50% (pari a 1.829 mld) delle attività finanziarie, confermando così la bassa propensione al rischio delle famiglie. Rimane contenuta, rispetto alla media europea, la quota di ricchezza destinata ad Assicurazioni e Fondi Pensione pari a 650 miliardi di Euro. “In Italia - ha commentato il Professor Gino Gandolfi - si registra una scarsa penetrazione dei prodotti di investimento di lungo periodo, in parte giustificata dalla pervasività dello stato sociale che finora ha reso meno necessario il ricorso alla previdenza individuale”. Secondo Giacomo Neri: “Si conferma in Italia il modello banco-centrico per la gestione del risparmio, pur con significativa crescita delle reti di promotori finanziari e consulenti indipendenti. Per quanto riguarda i prodotti, si è ridotta la quota di mercato attribuita ai bancari a favore di quelli assicurativi/previdenziali, ma si dividono equamente il mercato in termini di volumi (52% bancari, pari a 773 mld e 48% assicurativi, 684 mld). Si prevede un parziale recupero dei prodotti bancari a partire dal 2011”. In Italia la ricchezza dei “paperoni” o HNWI (High Net Worth Individual) ha raggiunto 910 miliardi di Euro (+3,2%) suddivisi tra 639 mila famiglie.

10 persone hanno l'80% della borsa italiana - gzibordi  

  By: GZ on Domenica 12 Maggio 2002 17:10

Penati fa due conti e trova che, se si sottraggono ENI, Italgas e ENEL che sono ancora sotto controllo statale e si sottraggono le banche indirettamente controllate da Banca d'Italia, governo e fondazioni in mano ai politici, il resto della borsa Italiana è per l'80% in mano a 10 persone, che controllano, ai prezzi di mercato, 286 miliardi di euro (554 mila miliardi di lire ovvero il 24% del prodotto interno lordo italiano). La cosa che distingue l'Italia è che questi 286 miliardi di euro di capitalizzazione sono controllati con un investimento di 4 (quattro) miliardi di euro. Numeri che parlano da soli come si suol dire. ----------------------- IL MERCATO di ALESSANDRO PENATI Effetto holding, più finanzieri che imprenditori ------------------------------------- In articoli precedenti ho analizzato otto holding. Ciascuna di queste ha una figura di riferimento: Mediobanca ha Maranghi; Cofide-Cir , De Benedetti; Gemina , Romiti, Calta girone Holding , Caltagirone; Ifi-Ifil , Agnelli; Camfin-Pirelli , Tronchetti Provera; Premafin , Ligresti; e Italmobiliare , Pesenti. Aggiungendo quelle non quotate di Benetton ( Edizione ) e Berlusconi ( Fininvest ) si hanno dieci persone (alcune con famiglia) che esercitano congiuntamente il controllo su attività economiche valutabili, ai prezzi di mercato, 286 miliardi di euro (554 mila miliardi di lire): il 24% del prodotto interno lordo italiano. Per farlo, ai dieci basta un investimento complessivo di 4,1 miliardi, grazie a piramidi societarie, limiti ai diritti di voto, patti di sindacato, ragnatele di partecipazioni e ricorso al debito (una leva di 70 volte). Le società quotate che fanno capo a queste dieci holding rappresentano il 40% della capitalizzazione totale della Borsa; ma l'80% se si escludono le banche (dove Banca d'Italia agisce da azionista di riferimento) e le aziende ancora in mano pubblica. In generale, la sproporzione tra il capitale investito e il potere decisionale incentiva politiche gestionali volte a creare benefici per chi controlla, ma che non aumentano necessariamente il valore delle aziende: non tanto il corporate jet, ma soprattutto strategie di impresa che privilegiano potere e prestigio personali. Un costo che grava prevalentemente sugli altri investitori. In Italia, poi, la concentrazione della proprietà offre un ulteriore vantaggio: in quale altro Paese i grandi imprenditori sono popolari come le stelle dello spettacolo e dello sport? Oltre al controllo, la struttura delle holding facilita la diversificazione settoriale, disperdendo attenzione e capacità manageriali: difficile eccellere in tutto. Una diversificazione che dimostra come i nostri dieci siano più interessati a fare affari che a far crescere un'azienda; dunque, più finanzieri che imprenditori. La struttura societaria delle holding e la divergenza tra gli interessi del controllo e quelli del mercato, disincentiva l'investimento in questi gruppi: così i titoli delle holding in Borsa valgono molto meno delle partecipazioni che detengono; le azioni di risparmio meno delle ordinarie; e spesso, le società operative alla base delle piramidi sono sottovalutate rispetto ad analoghe aziende europee. Per gli azionisti è un danno grave. Leggi e regolamenti hanno già fatto molto per limitarlo. Potrebbero essere ancora migliorate; ma è dal mercato che deve venire la sanzione più severa a questa inefficienza del capitalismo nostrano.