L'economia in sintesi (Keynes, Friedman...)

 

  By: alevion on Venerdì 09 Settembre 2011 15:43

senza dire numeri precisi, ma cosi, per ordini di grandezza, credo che se prendi la ricchezza finanziaria lorda compreso il real estate a livello globale vai giusto giusto apri senza considerare i derivati che dice hobi non vanno contanti

 

  By: DRAGUTIN on Venerdì 09 Settembre 2011 14:50

Ciao DELTA Ma se tutti pagano il loro debito, ci sono i soldi per pagare gli interessi? http://youtu.be/Y-smEqeHU1c

 

  By: Gano* on Mercoledì 07 Settembre 2011 16:45

> se li immaginano ancora buoni buoni a mangiare una ciotola di riso...... Eh! :)

 

  By: gianlini on Mercoledì 07 Settembre 2011 16:38

questa è una delle cose che grazie anche all'assenza di mezzi di comunicazione su questi temi (sarà casuale??), i ragazzotti sinistrorsi terzomondisti ancora non hanno capito e cioè che i cinesi stanno colonizzando tutta l'africa e l'america latina, spolpandosele vive! se li immaginano ancora buoni buoni a mangiare una ciotola di riso......

 

  By: Lelik on Mercoledì 07 Settembre 2011 16:31

Hobi "Paesi che esportano e che quindi hanno saldi attivi e paesi che importano che hanno saldi passivi." E' noto, e anche Jim Sinclair ne parla spesso, ma quando lo si sente (o meglio ancora se lo si vede) in prima persona fa più sensazione. Questa mattina parlavo con un imprenditore del Ghana che ha una piccola azienda in Italia, ma che segue con cura le vicende del suo paese. E mi raccontava come i cinesi siano arrivati con montagne di soldi a comprare terreni e permessi di estrazione petrolio e materie prime ovunque nel suo paese. Mi diceva che a un certo punto c'erano state lamentele (politiche) di scarsa attenzione al paese ospitante. Hanno quindi chiesto: che vi serve? Risposta: un'autostrada. In poco tempo hanno quindi portato giù macchine, tecnici, preso una squadra di lavoratori locale (di bassa qualifica), raso al suolo qualunque cosa sul cammino e fatto una superstrada da nord a sud del paese. Ora il Ghana vorrebbe sviluppare un po' il turismo e sono già stati preparati finanziamenti enormi dai cinesi. Hmm, a noi che resta da vendere? Purtroppo tutto il know-how di aziende medio piccole (vedi la recente acquisizione di Cacciamali). E dopo, che ci rimarrà da fare una volta che hanno imparato tutto acquistando a prezzi di saldo la competenza tecnologica che ancora manca a loro (ovvero quella delle produzioni non troppo di massa)?

 

  By: deltazero on Mercoledì 07 Settembre 2011 14:41

"Se c'è un debitore ,ci deve essere per forza un creditore." perdonate la mia ignoranza in materia macroeconomica al mondo ci dovrebbero essere + soldi che debiti quant'è la proporzione fra soldi liberi e soldi occupati in 1 negozio fra debitore e compratore?

 

  By: hobi on Mercoledì 07 Settembre 2011 13:39

Ventimila miliardi di $ in titoli di stato e obbligazioni in scadenza, tra il 2012 e il 2014, V-E -------------------------------------------------------------------------------- N-T-I-M-I-L-A- !!!!! 20.000 !!! Già questo è il problema. Qualche tempo fa uno studio dell'IMF aveva indicato che quando l'indebitamento pubblico viaggia dall'80 al 100% del Pil ,si ferma la crescita. Glielo avrei detto io senza uno straccio di dato. Basta sapere come funziona l'economia e come il debito da volano dello sviluppo in una fase iniziale diventa un freno sempre più tirato. Ma c'è dell'altro. Un secondo passaggio logico (che quasi tutti non fanno). Se c'è un debitore ,ci deve essere per forza un creditore. Quindi 20.000 miliardi di debiti in scadenza significa che ci sono tanti creditori che aspettano i quattrini del rimborso. Purtroppo negli ultimi 20 anni il mondo si è diviso in due . Paesi che esportano e che quindi hanno saldi attivi e paesi che importano che hanno saldi passivi. Persone che guadagnano ( o rubano )tanto e che quindi hanno saldi attivi e persone che guadagnano poco ed hanno debiti. Dopo tanti anni il sistema scricchiola. La finanza che,istituzionalmente, ricicla i saldi attivi dei ricchi per prestare a quelli con le pezze al c..o,è in difficoltà perchè, in questa intermediazione ,una parte dei prestiti ( sia sovrani,che corporate che personali ) non verrà rimborsata. E così il sistema si imballa. Non puo più riciclare il risparmio ( i soldi vanno alle banche centrali che per tenere in piedi la baracca devono sostituire l'interbancario ) Basta pensare all'Italia ed ai soggetti economici che contribuiscono alla crescita del Pil. Stato : Troppi debiti e quindi deve tagliare consumi ed investimenti . Aziende : domanda interna debole e domanda estera non adatta per le dimensioni medie delle aziende . Privati : consumi in diminuzione ed i pochi investimenti con il risparmio "vecchio". Da dove salta fuori l'incremento del Pil ? Hobi

 

  By: pana on Mercoledì 07 Settembre 2011 11:28

Ventimila miliardi di $ in titoli di stato e obbligazioni in scadenza, tra il 2012 e il 2014, V-E--N-T-I-M-I-L-A- !!!!! 20.000 !!! ho iniziato a leggere "2012 _ LA GRANDE CRISI"libro inchiesta di Aldo Giannuli libro sconsigliato ai deboli di cuore e ai longs..il peggio deve venire non solo per l'euro ma per tutto il mondo quello che viviamo ora e' solo un piccolo antipasto di quello che bolle in pentola "Non c'e piu niente da fareeeeeeeeee e stato bello sognareeeeeeee un rialzo sinceroooooooooooo" http://www.youtube.com/watch?v=rAr4tGye8Kc

U.S. Navy Ridiculed Over Picture Of Commander With Rifle; 'We're Going To Lose A War' | Viral - YouTube

Il peggio della crisi dell'euro deve ancora venire - Moderatore  

  By: Moderatore on Martedì 06 Settembre 2011 13:58

Stock: Euro

Il peggio della crisi dell'euro deve ancora venire Di Wolfgang Münchau dal Financial Times del 5 settempre 2011 L'aspetto più inquietante della zona euro è ora che ogni strategia di risoluzione delle crisi dipende da una moderatatamente ripresa economica. Il programma greco era già nei guai quando è stato deciso, sei settimane fa. Tutte le previsioni ufficiali erano sbagliate. Il paese è in una depressione, e la sua dinamica del debito è "fuori controllo", secondo il suo nuovo consiglio fiscale. In Italia, la banca centrale ha espresso preoccupazione sul fatto che il programma di austerità del Paese potrebbe avere effetti recessivi. Anche la strategia europea ricapitalizzazione delle banche - se volete chiamarla così - sta crollando sotto il peso della crisi economica. La scorsa settimana ha visto un'accesa disputa tra il Fondo Monetario Internazionale e i governi dell'eurozona su quanto le banche devono essere ricapitalizzate. La cifra finale per la ricapitalizzazione potrebbe essere di gran lunga superiore anche alle stime del FMI, se l'economia si tuffa di nuovo alla recessione. La recessione è iniziata questa estate, e sembra avere assunto rilievo. I prestiti bancari al settore privato sono scesi per due mesi. L'ampia offerta di moneta è ben al di sotto del tasso di riferimento. Un sondaggio ampiamente seguio tra i manager degli acquisti punta verso un declino dell'attività manifatturiera nel mese di agosto. Per quanto ne sappiamo, la zona euro potrebbe già essere in recessione in questo momento. La prima, seconda e terza priorità della politica economica europea dovrebbe essere quella di fermare e invertire la recessione. Se non riescono a raggiungere questo risultato, la crisi della zona euro si concluderà in una catastrofe, perché ogni programma individuale di risoluzione sarà a rischio di fallimento. Purtroppo, la politica economica è assolutamente impreparata a una recessione economica. La Banca centrale europea ha applicato una stretta monetaria a partire dalla primavera. La politica fiscale si sta contraendo perché i governi corrono ad annunciare programmi di austerità. I politici sembrano non aver fretta di risolvere il problema. La politica monetaria è lo strumento più importante in questa fase perché la BCE ha il maggior margine di manovra. Le aspettative di inflazione sono scomparse. Il mio metro preferito di misura del mercato è lo zero-coupon inflation swap. Questo ora indica un obiettivo di inflazione inferiore a quello considerato obiettivo della BCE. La banca centrale non ha più scuse per non tagliare di nuovo il tasso di rifinanziamento principale all'1 per cento, o forse anche meno. L'obiettivo dovrebbe essere quello di garantire che il tasso overnight sul mercato monetario converga verso lo zero. Ora è vicino all'1 per cento, per cui l'effettiva portata di una riduzione dei tassi di interesse a breve termine è vicino a un punto percentuale. Il divario tra zona euro e tassi di interesse degli Stati Uniti è particolarmente ampio, un po 'più in basso della curva di maturità. I tassi di interesse a un anno sul mercato monetario della della zona euro sono ora al 2,1 per cento, rispetto al 0,8 per cento negli Stati Uniti. Si tratta di un divario enorme, che la politica monetaria europea dovrebbe cercare di chiudere il gap. Niente di tutto questo può fermare la crisi da solo, ma sarebbe d'aiuto. Inoltre, la BCE dovrebbe anche prendere in considerazione un'azione di lungo periodo sui tassi di interesse. Il suo attuale Programma di sicurezza del mercato (Psm) è concepito come uno strumento di risposta alle crisi - apparentemente per accertarsi che la politica monetaria possa funzionare. Ma nessuno ha mai creduto a questa tesi. C'è, comunque, un modo per renderlo vero. La BCE potrebbe trasformare il Psm in un programma di stabilità macroeconomica. Per questo, sarebbe necessario aumentare le dimensioni del Psm in modo significativo, ad un multiplo degli 'attualie 115 miliardi di euro. Sarebbe un modo molto efficace per evitare che l'economia possa cadere nella “trappola della liquidità”, una situazione in cui la politica monetaria perde la capacità di trazione. Che dire della politica fiscale? Come minimo ci si dovrebbe aspettare che la zona euro abbandoni tutti i programmi di austerità con effetto immediato per tornare a una posizione fiscalmente neutrale, permettendo agli stabilizzatori automatici di funzionare appieno. Allo stato attuale, tale spostamento non è neppure all'ordine del giorno. Così come è tipico della zona euro, ogni paese si comporta come una piccola economia aperta ai margini del mondo. Ciascuno presume che le sue azioni non habbiano alcun impatto sugli altri. Ma quando Francia, Spagna e Italia contraggono la loro posizione fiscale tutti nello allo stesso momento, oltre a Grecia, Portogallo e Irlanda, il risultato è un ridimensionamento coordinato delle politiche fiscali della zona euro. Mentre alcuni di questi paesi hanno un problema fiscale, per la zona euro nel suo complesso non è così. Il rapporto tra debito e prodotto interno lordo è inferiore a quella degli Stati Uniti, Regno Unito o in Giappone. Se la zona euro si fosse già trasformata in una unione fiscale alcuni anni fa, il suo ministro delle finanze sarebbe ora in grado di agire e coordinare. Invece, l'attuale sistema di politiche coordinate ci dà un'austerità contagiosa, con una flessione contagiosa. Fino a quando non vi è unione fiscale, gli Stati membri della zona euro non hanno alternative, se non quella di coordinarsi tra loro. Personalmente, tra tutte le possibilità, sosterrei uno stimolo fiscale discrezionale in Germania, Paesi Bassi e Finlandia per compensare l'austerità nel sud Europa. Ciò che conta è la politica di bilancio per la zona euro nel suo complesso. C'è, ancora, un cacofonico scarso riconoscimento nella zona euro che una recessione economica rappresenta una minaccia esistenziale. Mi aspetterei quindi che la crisi colpirà la zona euro con forza e senza difesa. Quando ciò accadrà, la crisi zona euro prenderà una brutta piega.

 

  By: lmwillys on Mercoledì 31 Agosto 2011 10:18

non so per quale motivo continuate con l'articolo di bloomberg (solo qualche programma e solo fino ad aprile 2010) nell'audit della fed si leggevano ben altre cifre, 16.115 miliardi fino al 21 luglio 2010, oltre il 110% del pil statunitense (pagina 131) ... certo 'an overnight PDCF loan of $10 billion that was renewed daily at the same level for 30 business days would result in an aggregate amount borrowed of $300billion although the institution, in effect, borrowed only $10 billion over 30 days. In contrast, a TAF loan of $10 billion extended over a 1-monthperiod would appear as $10 billion. ' http://www.scribd.com/doc/60625832/GAO-Fed-Investigation immagino l'ottimo Hobi come possa reagire :-)

 

  By: hobi on Mercoledì 31 Agosto 2011 09:58

Non capisco come si possa pensare che ,ulteriori droghe monetarie,possano migliorare la crescita. Eppure dopo i pessimi dati di ieri sulla fiducia dei consumatori,proprio questo deve aver pensato Wally per giustificare il rimbalzo. Al contrario la BCE potrebbe fare qualcosa.Nonostante il cane da guardia tedesco,quando le cose peggioreranno drasticamente,il buon Draghi abbasserà i tassi ovvero non sterilizzerà più gli acquisti dei Bonds dei PIIGS. Hobi

L’aristocrazia di Wall Street ha ottenuto 1200 miliardi di dollari dalla Fed - alberta  

  By: alberta on Lunedì 29 Agosto 2011 20:45

Ho trovato una buona traduzione dell' articolo di Bloomberg che avevo segnalato qui http://www.bloomberg.com/news/2011-08-21/wall-street-aristocracy-got-1-2-trillion-in-fed-s-secret-loans.html Penso che valga la pena leggerlo, o rileggerlo, in Italiano per chi non aveva avuto tempo o voglia di farlo in Inglese 22 08 2011 L’aristocrazia di Wall Street ha ottenuto 1200 miliardi di dollari dalla Fed Bradley Keoun, Phil Kuntz - Bloomberg, 22 agosto 2011 Citigroup e Bank of America erano i campioni incontrastati delle finanza, nel 2006, quando i valori americani erano al loro massimo, al primo posto fra le 10 maggiori banche e società finanziarie americane nel migliore anno dei loro profitti, giunti a 104 miliardi di dollari. Nel 2008, il collasso del mercato immobiliare ha costretto queste aziende a prendere prestiti di emergenza dalla Federal Reserve Usa per un ammontare di sei volte quei profitti, pari a ben 669 miliardi di dollari. I prestiti fanno sembrare niente i 160 miliardi di dollari che le top ten hanno ottenuto dal Tesoro degli Stati Uniti, nonostante fino ad ora l’intero ammontare di questi aiuti sia rimasto segreto. Nello sforzo senza precedenti del presidente della Fed, Ben S. Bernanke, di evitare che l’economia precipitasse nella depressione, sono stati inclusi 1.200 miliardi di dollari di denaro pubblico per banche ed altre società finanziarie, quasi la stessa cifra di cui le famiglie americane sono attualmente debitrici a fronte di 6,5 milioni di mutui truffaldini e fallimentari. Il più grande beneficiario, Morgan Stanley, ha percepito 107,3 milioni di dollari, mentre Citygroup ne ha presi 99,5 e Bank of America 91,4, secondo l’elenco che Bloomberg News ha ottenuto grazie alla richiesta ai sensi del Freedom of Information Act, a mesi di cause e ad un atto del Congresso. “Sono tutte cifre enormi”, dice Robert Litan, ex funzionario del ministero della giustizia che nel 1990 ha fatto parte di una commissione che indagava sulle cause della crisi dei prestiti e delle assicurazioni. “Stiamo parlando dell’aristocrazia della finanza americana che va in malora senza il denaro federale”. Non si tratta solo di finanza americana. Almeno metà dei 30 maggiori beneficiari in ordine di valore massimo sono banche europee. Comprendono infatti la Royal Bank of Scotland di Edimburgo, che ha ottenuto in totale 84,5 miliardi di dollari, il maggiore beneficiario non statunitense, la Ubs di Zurigo, con 77,2 miliardi. La tedesca Hypo Real Estate ha ottenuto altri 28,7 miliardi, una media di 21 milioni di dollari per ognuno dei suoi 1.366 dipendenti. I maggiori beneficiari comprendono anche Dexia, la maggiore banca belga per capitalizzazione e la Société Générale, con sede a Parigi, la cui crescita del valore di contro-assicurazione delle sue azioni lo scorso mese ha fatto pensare che gli investitori stessero speculando sul fatto che il dilagare della crisi del debito sovrano in Europa poteva aumentare le sue possibilità di fallimento. Il picco di 1.200 miliardi di dollari del 5 dicembre 2008 (risultante dai sette programmi di intervento conteggiati da Bloomberg) era almeno tre volte il deficit federale Usa di quell’anno, superiore al totale delle entrate delle banche assicurate dal governo americano nel decennio 2000 – 2010, secondo i dati elaborati da Bloomberg. Questo totale è oltre 25 volte il massimo ammontare dei prestiti della Fed, 46 miliardi di dollari il 12 settembre 2001, cioè il giorno dopo l’attacco terroristico al World Trade Center di New York ed al Pentagono. Calcolato in biglietti da un dollaro, i 1.200 miliardi di dollari riempirebbero 539 piscine olimpioniche. La Fed ha dichiarato “nessuna perdita dai prestiti” in nessuno dei suoi programmi di emergenza, e una relazione dell’ufficio della Federal Reserve Bank di New York [una delle banche Usa che compongono la Fed americana, N.d.T.] afferma che la banca centrale ha guadagnato 13 miliardi di interessi e commissioni dal programma di aiuti, dall’agosto 2007 al dicembre 2009. “Abbiamo concepito i nostri come programmi di emergenza ad ampio raggio, sia per contenere efficacemente la crisi sia per ridurre il rischio dei contribuenti americani”, dice James Cloude, vice-direttore del dipartimento affari monetari della Fed a Washington. “Quasi tutti i nostri programmi di prestito di emergenza sono stati conclusi. Non abbiamo avuto e non ci attendiamo perdite”. Se è vero che la recessione americana di diciotto mesi, conclusasi nel giugno 2009 con una riduzione di 5,1 punti percentuale nel Pil, non è nemmeno lontanamente paragonabile con il calo di ben il 27 per cento di quella di quattro anni fra l’agosto 1929 ed il marzo 1933 [si tratta del periodo iniziale dellaGrande Depressione che colpì gli Usa e il mondo occidentale, tuttora considerata la più grave crisi del capitalismo occidentale, NdT], le banche e l’economia restano sotto stress. Le probabilità di una nuova recessione sono aumentate nel corso degli ultimi sei mesi, secondo cinque degli economisti del Business Cycle Dating Commitee del National Bureau of Economic Research, un gruppo di valutazione accademico che elabora stime sulle recessioni. Il costo della contro-assicurazione sulle azioni della Bank of America è aumentato la scorsa settimana fino a 342.040 dollari, per un anno di copertura su 10 miliardi di dollari di debito, al di sopra di quanto era valutata la contro-assicurazione per le azioni Lehman Brothers all’inizio della settimana prima del suo fallimento. Le azioni di Citigroup vengono trattate al di sotto del prezzo medio di aggiustamento di 28 dollari che avevano raggiunto nel gennaio 2009, quando i prestiti della Fed sono arrivati al loro picco. Il tasso di disoccupazione Usa è stato in luglio del 9,1 per cento, rispetto al 4,7 per cento del novembre 2007, vale a dire prima dell’inizio della recessione. La famiglie americane sono in ritardo di oltre trenta giorni nel pagamento dei loro mutui nel caso di 4,38 milioni di immobili negli Usa; altri, 2,16 milioni di proprietà sono pignorate, rappresentando un capitale non restituito di 1,27 miliardi di dollari, secondo Lender Processing Services, una società di Jacksonville in Florida. “Per quale mai ragione la Fed sembra in grado di trovare il modo di aiutare queste istituzioni, che sono gigantesche?”, ha dichiarato il 1° giugno scorso Walter B. Jones, deputato repubblicano della North Carolina nel corso di una audizione a Washington sulle rivelazioni sui prestiti della Fed. “Queste banche hanno ottenuto aiuti quando la media degli imprenditori da noi nella North Carolina orientale, e probabilmente ovunque in America, non riesce nemmeno ad ottenere un prestito da una banca con cui lavorano da 15 o 20 anni!”. Le dimensioni effettive dei prestiti della Fed riaprono la questione dei requisiti minimi di liquidità che i regolatori globali hanno concordato di imporre per la prima volta alle banche, dice Litan, ora vice presidente della Fondazione Kauffman, con sede a Kansas City nel Missouri, che sostiene la ricerca imprenditoriale. La liquidità fa riferimento ai fondi di cui le banche necessitano quotidianamente per operare, compreso il denaro contante per coprire eventuali ritiri di depositi da parte dei correntisti. Le regole, che impongono alle banche di tenere denaro contante e patrimoni immediatamente smobilizzabili per affrontare una crisi di 30 giorni, non entrerà in vigore fino al 2015. Un altro requisito richiesto ai prestatori, vale a dire la “stabile disponibilità di fondi” per un lasso di tempo di un anno è stato rinviato fino almeno al 2018, dopo che le banche hanno dimostrato che avrebbero dovuto contrarre nuovi debiti a lungo termine per 6 miliardi di dollari per soddisfare questo requisito. I decisori “non stanno andando abbastanza avanti per evitare che tutto ciò capiti di nuovo”, dice Kenneth Rogoff, un ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale (IMF) e ora professore di economia all’Università di Harvard. Le riforme adottate dall’inizio della crisi potrebbero non essere in grado di isolare i mercati e le istituzioni finanziarie americane dalla crisi del bilancio e del debito pubblico che stanno affrontando Grecia, Irlanda e Portogallo, secondo il Financial Stability Oversight Council americano, un’organismo di dieci membri creato con il Dodd-Frank Act, guidato dal Segretario del Tesoro americano, Timothy Geithner. “La recente crisi finanziaria fornisce un’efficace dimostrazione di quanto rapidamente si possa erodere la fiducia e di come il contagio finanziario possa diffondersi”, ha scritto il Council in un suo rapporto del 26 luglio scorso. Qualsiasi nuovo intervento di aiuto da parte della banca centrale statunitense dovrebbe essere governato dalle normative sulla trasparenza adottate nel 2010, che impongono alla Fed di rendere noti dopo due anni i nomi delle istituzioni beneficiarie dei suoi prestiti. I funzionari della Fed hanno sostenuto per più di due anni che indicare le identità dei beneficiari e le condizioni dei prestiti avrebbe messo le banche in cattiva luce, influenzando negativamente i prezzi delle azioni o provocando una corsa al ritiro dei fondi da parte dei correntisti. Un gruppo delle più grandi banche commerciali ha chiesto lo scorso anno alla Corte Suprema degli Stati Uniti di mantenere almeno in parte il segreto sui prestiti della Fed. In marzo, l’alta corte ha respinto la richiesta di appello e la banca centrale ha rilasciato una quantità di informazioni senza precedenti. I dati, presi qua e là tra le 29.346 pagine di documenti ottenute sulla base del Freedom of Information Act e da altre basi di dati relative a oltre 21.000 transazioni, rendono chiaro per la prima volta quanto profondamente le maggiori banche mondiali dipendano dalla banca centrale americana per evitare crisi di liquidità. Anche se le società finanziarie hanno sempre sostenuto nei loro comunicati stampa e nelle loro audizioni di disporre di ampia liquidità, esse in realtà ottenevano in segreto fondi dalla Fed, per evitare di essere bollate come deboli. Due settimane dopo la bancarotta della Lehman, nel settembre 2008, Morgan Stanley, per contrastare le preoccupazioni secondo cui sarebbe stata la prossima a fallire, annunciò “di avere solide posizioni di capitalizzazione e liquidità”. L’affermazione, contenuta in un comunicato stampa del 29 settembre 2008, relativa ad un investimento di 9 miliardi di dollari da parte della Mitsubishi UFJ di Tokio, non faceva alcun cenno ai prestiti della Fed a Morgan Stanley. Era lo stesso giorno del picco di 107,3 miliardi di dollari di prestiti dalla banca centrale, per cui era questa la fonte di praticamente tutta la liquidità a disposizione della Morgan Stanley, secondo i dati ed i documenti resi pubblici oltre due anni più tardi dalla Financial Crisis Inquiry Commission. Il suo ammontare era tre volte i profitti complessivi della società nel corso del decennio precedente, come mostrano i dati elaborati da Bloomberg. Mark Lake, portavoce di Morgan Stanley di New York, afferma che la crisi ha fatto sì che l’industria “riconsiderasse dalle fondamenta” il proprio modo di gestire il contante. “Abbiamo tenuto conto delle lezioni apprese in quel periodo e le abbiamo applicate al nostro programma di gestione della liquidità per proteggere l’operatività sia degli agenti sia dei clienti”, sostiene Lake. Non ha voluto dire che tipo di cambiamenti la banca ha messo in atto. Nella maggior parte dei casi, la Fed ha richiesto garanzie: buoni del tesoro, azioni di aziende o titoli garantiti da mutui, che potessero essere confiscate e vendute nel caso in cui il denaro non venisse restituito. Ciò significava che il maggior rischio per la banca centrale era che le garanzie offerte dalle banche, in caso di fallimento, avrebbero avuto un valore inferiore a quanto ottenuto in prestito. Via via che la crisi si acuiva, la Fed ha allentato i suoi standard di stima sulle garanzie ritenute accettabili. Di norma, la banca centrale accetta solo titoli con il maggiore livello di affidabilità, come i buoni del tesoro Usa. Alla fine del 2008, accettava anche junk bonds [i cosiddetti "titoli spazzatura", basati su crediti considerati non più esigibili, per lo più derivanti dalla bolla dei mutui immobiliari accesi da debitori non in grado di onorarli, NdT], quelle considerate al di sotto del valore minimo. Arrivò a includere azioni della banca, che sono le prime a perdere di valore in caso di una sua liquidazione. Morgan Stanley ottenne prestiti per 61,3 miliardi di dollari da un programma della Fed nel settembre 2008, fornendo garanzie per 66,5 miliardi di dollari, secondo i documenti della Fed. Le garanzia offerte comprendevano 21,5 miliardi di azioni, 6,68 miliardi di titoli a bassissimo rating e 19,5 miliardi di beni con “rating sconosciuto”, secondo i documenti. Circa il 25 per cento delle garanzie erano a prevalenza estera. “Quello che state vedendo è la disponibilità a fare prestiti a fronte praticamente di niente”, dice Robert Eisenbeis, ex direttore della Federal Reserve Bank di Atlanta e ora capo economista monetario ad Atlanta della Cumberland Advisors, con sede in Sarasota, Florida. L’assenza di alternative sul mercato privato mostra quanto fossero scettici i partner commerciali ed i correntisti sul valore dei capitali e delle garanzie bancarie, dice Eisenbeis. “I mercati erano proprio completamente chiusi”, dice Tanya Azachars, ex capo della analisi bancaria di Standard & Poor’s e attualmente consulente indipendente di Briarcliff Manor di New York. “Se avevate bisogno di liquidità, c’era un posto solo dove andare”. Persino banche che sono sopravvissute alla crisi senza iniezioni di capitali governativi sfruttavano i programmi di aiuto della Fed garantiti confidenzialmente. La Barclays di Londra ottenne 64,9 miliardi di dollari, la Deutsche Bank di Francoforte 66 miliardi. Sarah MacDonald, portavoce di Barclays, e John Gallagher, portavoce di Deutsche Bank, si sono rifiutati di rilasciare commenti. Mentre i programmi di prestito di ultima istanza in genere applicano ratei di interesse al di sopra dei valori di mercato, per evitare che la richiesta di questo tipo di prestiti divenga abituale, questa pratica fu interrotta durante la crisi. Il 20 ottobre 2008, ad esempio, la banca centrale fu pronta a fornire un prestito di 113,3 miliardi di dollari per 28 giorni sulla base del programma Term Auction Facility al tasso dell’1,1 per cento, secondo una notizia di stampa. Il tasso era inferiore di un terzo rispetto al 3,8 per cento che le banche praticavano reciprocamente per prestiti di un mese in quel giorno. La Bank of America e Wachovia ottennero ciascuna 15 miliardi di dollari all’1,1 per cento dei prestiti TAF, seguite dalla unità RBS Citizens Nord America della Royal Bank of Scotland, che ottenne 10 miliardi di dollari, come mostrano i dati Fed. JPMorgan Chase, prestatore che ha vantato il suo “bilancio solido come una fortezza” almeno sedici volte in comunicati e conferenze stampa, dall’ottobre 2007 al febbraio 2010, ottenne 48 miliardi di dollari nel febbraio 2009 in base al TAF. Lo strumento, creato nel dicembre 2007, fu una temporanea alternativa alla discount window, il programma, antico di 97 anni, concepito per aiutare le banche in caso di crisi di liquidità. Goldman Sachs, che nel 2007 era la compagnia di assicurazioni finanziarie più redditiva di Wall Street, prese in prestito 69 miliardi di dollari dalla Fed il 31 dicembre 2008. Tra i programmi che la Goldman Sachs di New York ha utilizzato dopo la bancarotta della Lehman c’è stato il Primary Dealer Credit Facility (PDCF), concepito per prestare denaro a società di intermediazione non autorizzate ad utilizzare i programmi di prestito alle banche della Fed. Michael Duvally, portavoce della Goldman Sachs, si è rifiutato di commentare. I salvagenti Fed per la liquidità possono accrescere la possibilità che le banche si assumano rischi eccessivi con il denaro ottenuto in prestito, sostiene Rogoff. Un tale fenomeno, noto come rischio morale (moral hazard), si verifica se le banche ritengono che la Fed sarà anche allora pronta a supportarle, afferma. La dimensione dei prestiti alle banche “mostra certamente che gli interventi di salvataggio della Fed erano su diversi piani molto più ampi del TARP”, dice Rogoff. Il TARP è il Troubled Asset Relief Program del ministero del Tesoro, un fondo di intervento per le banche di 700 miliardi di dollari, che ha fornito iniezioni di capitale per 45 miliardi di dollari ciascuna a Citygroup e Bank of America e di 10 miliardi di dollari a Morgan Stanley. Dato che la gran parte degli investimenti del Tesoro erano realizzati in forma di titoli privilegiati, venivano considerati più rischiosi dei prestiti della Fed, un tipo di debito più impegnativo. A dicembre 2010, in risposta al Dodd-Frank Act, la Fed rese note 18 basi di dati contenenti il dettaglio dei suoi programmi temporanei di prestiti di emergenza. Il Congresso ne richiese la pubblicazione dopo che la Fed nel 2008 aveva respinto la richiesta, da parte del reporter di Bloomberg News Mark Pittman e di altre società di mass-media che cercavano di conoscere i dettagli dei suoi prestiti, sulla base del Freedom of Information Act. Dopo avere lottato per tenere questi dati segreti, la banca centrale ha reso pubbliche informazioni senza precedenti sulla propria discount window ["finestra di sconto", lo strumento di prestito, in genere a breve termine, che la Fed e altre cosiddette banche centrali mettono a disposizione di selezionate istituzioni bancarie private, NdT] e su altri programmi, in forza di un ordine del tribunale nel marzo 2011. Bloomberg News ha collegato le basi di dati disponibili a dicembre e luglio con le registrazioni delladiscount window rilasciate a marzo, per ottenere i totali giornalieri delle banche nel corso di tutti i programmi, inclusi lo Asset-Backed Commercial Paper Money Market Mutual Fund Liquidity Facility, il Commercial Paper Funding Facility, la discount window, il PDCF, il TAF, il Term Securities Lending Facility e le operazioni singole su mercato aperto. Questi programmi hanno fornito risorse dall’agosto 2007 all’aprile 2010. Il risultato è una linea temporale che mostra come la crisi del credito si sia diffusa da una banca all’altra via via che il contagio finanziario si andava espandendo. I prestiti che la Société Générale, la seconda banca francese, ottenne dalla Fed toccarono un massimo di 17,4 miliardi, nel maggio 2008, quattro mesi dopo che l’istituzione con sede a Parigi aveva annunciato un record di perdite di 4,9 miliardi di euro (7,2 miliardi di dollari) a causa delle scommesse non autorizzate, da parte del trader Jerome Kerviel, sui futures basati sugli indici di borsa. Il picco massimo per Morgan Stanley si verificò quattro mesi più tardi, dopo la bancarotta della Lehman. La Citigroup, insieme ad altre 43 banche, lo raggiunsero nel gennaio 2009, il mese di maggior prelievo durante l’intera crisi. Quello della Bank of America si verificò due mesi dopo. Sedici banche, incluse Beal Financial di Plano, nel Texas, EverBank Financial di Jacksonville, Florida, toccarono il loro apice non prima del febbraio o marzo del 2010. “In nessun momento ci furono rischi materiali per la Fed o per i contribuenti, dato che i prestiti richiedevano garanzie”, dice Reshma Fernandes, portavoce di EverBank, che ottenne 250 miliardi di dollari di prestiti. Le banche hanno massimizzato i loro prelievi utilizzando le loro sussidiarie, per utilizzare simultaneamente più programmi della Fed. Nel marzo 2009, la Bank of America di Charlotte nella Carolina del Nord ottenne 78 miliardi di dollari attraverso due filiali della banca e 11,8 miliardi di dollari da altri due programmi attraverso il suo intermediario, la Bank of America Securities. Le banche inoltre hanno anche cambiato tipo di programma fra quelli attivati dalla Fed. Molte hanno preferito il TAF perché era meno legato all’immagine negative associata con la discount window, spesso considerata l’ultima spiaggia per i prestatori in difficoltà, secondo un documento del gennaio 2011 dei ricercatori della Fed di New York. Dopo la bancarotta della Lehman, gli hedge fund [fondi speculativi ad alto rischio, NdT] cominciarono a portar via il loro denaro dalla Morgan Stanley, temendo che potesse essere prossima al collasso, afferma in un rapporto di gennaio la Financial Crisis Inquiry Commission, citando interviste dell’ex direttore generale John Mack e dell’allora tesoriere David Wong. I prestiti alla Morgan Stanley da parte del PDCF dal 14 settembre [2008] crebbero fino a 61,3 miliardi di dollari del 29 settembre. Nello stesso tempo, i suoi prestiti con il programma TSLF salirono da 3,5 a 36 miliardi di dollari. Il rapporto della tesoreria di Morgan Stanley reso pubblico dal FCIC mostra che la società aveva 99,8 miliardi di dollari di liquidità il 29 settembre, una cifra che comprendeva i prestiti della Fed. “I flussi di contante si stavano tutti prosciugando”, dice Roger Lister, un ex economista della Fed che è ora a capo della sezione istituzioni finanziare della società di rating bancario DBRS di New York. “Avevano abbastanza risorse per far fronte a questa situazione? La risposta avrebbe potuto essere positiva, ma avevano bisogno della Fed”. Mentre le richieste della Morgan Stanley erano le più pressanti, Citigroup era, tra le banche Usa, il più cronico utilizzatore di quei fondi. La banca, con sede a New York, ottenne prestiti per 10 miliardi di dollari dal TAF nel primo giorno di attivazione del programma, nel dicembre 2007, e raggiunse i 25 miliardi di dollari, tra tutti i programmi, nel maggio 2008, secondo i dati della Bloomberg. Il 21 novembre, quando la Citigroup iniziò i suoi colloqui con il governo per ottenere 20 miliardi di dollari di iniezioni di capitale, in aggiunta ai 25 miliardi che aveva ricevuto un mese prima, i suoi prestiti dalla Fed erano raddoppiati a circa 50 miliardi di dollari. Nei due mesi successivi, questo totale raddoppiò ancora. Il 20 gennaio, quando le sue azioni crollarono sotto i 3 dollari, per la prima volta in sedici anni, a causa della paura degli investitori che la base di capitalizzazione della banca fosse inadeguata, Citigroup stava utilizzando sei programmi della Fed contemporaneamente. Il totale dei prestiti contratti superava il doppio del budget del ministero americano dell’Educazione del 2011. “Citibank è stata fondamentalmente sostenuta dalla Fed per un lungo arco di tempo”, dice Richard Harring, professore di scienza delle finanze all’Università della Pensilvania di Filadelfia, che ha studiato le crisi finanziarie. Jon Diat, portavoce della Citigroup, afferma che la banca ha utilizzato i programmi che “raggiungevano l’obiettivo di diffondere fiducia nei mercati”. L’amministratore delegato di JPMorgan, Jemie Dimon, scriveva in una lettera agli azionisti dello scorso anno che la sua banca ha evitato di utilizzare molti programmi governativi. Abbiamo usato TAF, dice Dimon nella sua lettera, “ma questo è avvenuto su richiesta della Fed, per aiutarla a spingere gli altri a utilizzare il sistema”. La banca, la seconda negli Usa per dimensioni patrimoniali, ha utilizzato il TAF per la prima volta nel maggio 2008, sei mesi dopo che il programma aveva avuto inizio, per poi azzerare i propri prestiti nel settembre 2008. Il mese dopo, cominciò di nuovo ad usare il TAF. Il 26 febbraio 2009, oltre un anno dopo la creazione del TAF, i prestiti a JPMorgan da parte di questo programma salirono a 48 miliardi di dollari. Quel giorno, il bilancio totale di tutte le banche toccò il suo apice, con 493,2 miliardi di dollari. Due settimane dopo, le cifre cominciarono a ridursi. “Il nostro primo commento è corretto”, dice Howard Opinsky, portavoce di JPMorgan. Herring, il già ricordato professore dell’Università della Pensilvania, afferma che alcune banche possono avere usato il programma per massimizzare i propri profitti prendendo in prestito denaro “dalla fonte più economica, perché si riteneva che ciò sarebbe rimasto segreto e mai reso pubblico”. Se le banche hanno avuto bisogno del denaro della Fed per sopravvivere o se l’hanno utilizzato perché offriva tassi di interesse vantaggiosi, il ruolo di prestatore di ultima istanza delle banche della Fed trasforma in un disastro la politica di libera assicurazione verso le banche sulla disponibilità di fondi, dice Herring. Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale dello scorso ottobre sostiene che i regolatori dovrebbero considerare la possibilità di far pagare alle banche un costo per avere diritto di accesso ai fondi della banca centrale. “L’ampiezza degli interventi pubblici è la prova più evidente che i rischi di liquidità del sistema sono stati sottostimati e sottovalutati sia dal settore privato che da quello pubblico”, afferma il FMI in uno specifico rapporto dell’aprile 2011. L’accesso al sostegno della Fed, “porta a correre rischi maggiori”, dice Herring. “Se non esistesse, non si correrebbero i rischi che possono creare difficoltà e che richiedono di accedere a questo tipo di finanziamento”.

 

  By: gianlini on Lunedì 29 Agosto 2011 20:00

la deflazione che fa male è quella sui prodotti consumati perchè le aziende non riescono a rientrare degli investimenti fatti e a pareggiare i conti la diminuzione del prezzo delle case (per di più dopo una bella bolla) non è altrettanto pericolosa

 

  By: Paolo_B on Lunedì 29 Agosto 2011 19:42

ok, al supermercato è aumentato tutto (tranne pomodoro e legumi purtroppo per me che volevo comprare la doria). Ma mettiamo che sia aumentato tutto. Le tasse sono aumentate e stanno aumentando alla grande. I salari intanto sono aumentati ? No, anzi, è aumentata pure la disoccupazione. Quindi tutto quello che si paga in più al supermercato significa minore spesa di TUTTO il resto. Che cala di prezzo. Per ora almeno è cosi'. >Quanto alle case per ora non vedo nessuna cadutra del prezzo non abbassano i cartellini. Devi offrire tu di meno. Quelli che non abbassano non vendono.

 

  By: mfortuna on Lunedì 29 Agosto 2011 19:38

Paolo_B non so dove tu fai la spesa ma ti assicuro che al supermarket è aumentato tutto ... ma proprio tutto dal pane alla carta igienica Quindi finiamola con ste cagate sulla deflazione per favore ... Quanto alle case per ora non vedo nessuna cadutra del prezzo ... c'è un sacco di invenduto ma questi preferiscono ( per ora e non so per quanto ) lasciarle marcire piuttosto che abbassare i prezzi Sull'usato qualcosa inizia a vedersi ma nessuno svende stanne certo ...