By: rael on Martedì 19 Novembre 2002 11:44
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Tommaso Buscetta, il pentito che ha accusato per primo Giulio Andreotti di intelligenza con la mafia, non avrebbe mai immaginato che i suoi ricordi e “scenari” avrebbero trovato tanto credito anche dopo la propria morte, avvenuta un paio di anni fa. Soprattutto dopo che egli stesso in una lunga intervista, quasi a futura memoria, rilasciata tre anni fa, all’indomani della assoluzione di primo grado del senatore a vita, aveva preso le distanze da quanti avevano utilizzato le sue dichiarazioni per sostenere che “Buscetta indicava Andreotti quale mandante dell’omicidio Pecorelli”. Anche Luigi Li Gotti, l’avvocato che gli fu vicino fin dal primo momento del pentimento, confessa al Velino di essere alquanto sorpreso: “Dire che ha vinto il teorema Buscetta è assolutamente fuorviante e significa non conoscere le carte. Buscetta non ha proprio vinto perché non ha mai accusato Andreotti di essere il mandante dell’omicidio Pecorelli. Indicò scenari, fece sue deduzioni, chiarendo sempre che erano e restavano tali. Quindi dire che Buscetta ha vinto è sbagliato”.
UN MACELLAIO UCCISO PER SBAGLIO. Nel libro-intervista del giornalista Saverio Lodato e distribuito da Mondadori alla fine del ’99, dal titolo “La mafia ha vinto”, Buscetta dichiarava fra l’altro: “Conobbi personalmente Caselli il 6 aprile del 1993 in America. Venne a interrogarmi insieme ai giudici Gioacchino Natoli e Guido Lo Forte. Quel giorno feci il nome di Andreotti… parlammo anche dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Spiegai che lo avevamo commesso noi di Cosa nostra, ma non dissi mai che la richiesta fu fatta da Andreotti a Badalamenti, anche perché di questo Badalamenti non mi ha mai parlato. Sapevo della vicenda perché in un primo tempo Cosa nostra, non avendo capito che si trattava del giornalista romano, aveva fatto sparire un Pecorelli palermitano che faceva il macellaio… Questo è quello che ho detto a Caselli” (pp. 152/153). Nella parte finale dell’intervista Buscetta è ancora più esplicito: “Io ho raccontato ai giudici le cose che aveva saputo da Stefano Bontade e Tano Badalamenti sul delitto Pecorelli. Nessuno dei due mi aveva detto che Andreotti aveva ordinato l’omicidio del giornalista”. Doanda dell’intervistatore: “Quindi lei non indicò mai in Andreotti il mandante di quell’omicidio?” Risposta di Buscetta: “Mai. E quanto riferii nel 1993, sapevo che il mio racconto poteva aiutare a ricostruire uno scenario…”. Già all’indomani della sentenza della corte d’assise di Perugia che mandò assolto Giulio Andreotti, l’avvocato di Buscetta, Luigi Li Gotti, che aveva assistito all’interrogatorio del suo cliente (avvenuto in Florida il 6 aprile del ’93), in una intervista dichiarò: “Buscetta non ha mai parlato di un omicidio avvenuto su richiesta di Andreotti”. L’equivoco era sorto dalla lettura del verbale dell’interrogatorio firmato da Giancarlo Caselli: “Il Bontade nel corso di una conversazione che ebbi con lui a Palermo nel 1980 (sosteneva Buscetta, ndr) mi disse che l’omicidio Pecorellli era stato fatto da Cosa nostra, più precisamente da lui e Badalamenti, su richiesta dei cugini Salvo. Successivamente (nel 1982/83) me ne parlò negli stessi termini, confermandomi la versione di Bontade, Badalamenti Gaetano. In base alla versione dei due (coincidente) quello di Pecorelli era stato un delitto politico voluto dai cugini Salvo, in quanto a loro richiesto dall’onorevole Andreotti”. Cinquanta giorni dopo quel “loro richiesto dall’onorevole Andreotti” fu corretto e Buscetta spiegò che quel “loro richiesto” non era riferibile ad Andreotti. (vma)
2 - Quante carriere all’ombra di un’inchiesta… Ironia della sorte, nonostante i proclami contro il processo politico a cui sarebbe stato sottoposto negli ultimi dieci anni Andreotti, e non solo lui, tutti quanti i protagonisti diretti o indiretti delle indagini sul senatore hanno ottenuto onori e gloria. Tutti gli uomini, politici, magistrati, mafiosi e poliziotti che hanno permesso alla giustizia di “girare come un calzino” la vita di uno dei protagonisti della prima Repubblica, hanno fatto carriera e a volte grazie proprio a quelle forze politiche che anche ieri per la condanna di Andreotti non hanno risparmiato accuse e veleni contro chi ha guidato, diretto e realizzato il processo. Il più noto e importante di tutti è certamente Luciano Violante.
Fu lui, in una memorabile seduta della commissione Antimafia, il 16 novembre del ’92, a interrogare Buscetta, facendogli rivelare per la prima volta che c’era un politico a Roma, più importante di Salvo Lima, al quale facevano capo i fratelli Salvo. Fu l’inizio della fine politica del senatore a vita. Qualche mese dopo, la procura di Palermo chiese al Senato il via libera per processarlo per concorso esterno in associazione mafiosa (dopo, l’accusa di concorso cadde e rimase l’imputazione più grave, quella di associazione a Cosa nostra). Parte delle carte finirono poi a Perugia competente per Pecorelli, visto che nel frattempo era stato convolato fra i mandanti anche un magistrato romano, Claudio Vitalone.
Da allora la corsa di Violante non si è più fermata: egli è diventato il punto di riferimento di tutta la magistratura di sinistra. Giancarlo Caselli è diventato procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino. Fu il primo a verbalizzare le dichiarazioni di Buscetta contro Giulio Andreotti, accompagnato negli Usa accompagnato da Guido Lo Forte, oggi procuratore aggiunto. Francesco Gratteri fece parte “per esigenze investigative” della missione Caselli in Florida. Era uno degli agenti più attivi della Dia e collaboratore strettissimo di Gianni De Gennaro, allora capo della Direzione investigativa antimafia. Oggi è in una posizione di primissimo piano: direttore del Servizio centrale operativo della Criminalpol. Gianni De Gennaro è diventato capo della polizia e fu lui che in un aereo da trasporto trasferì Buscetta in Italia, su autorizzazione proprio di Andreotti, al quale era pervenuta una richiesta in tal senso da Giovanni Falcone. (vum)
3 - Il botta e risposta a San Macuto. Il 16 novembre del ’92 il pentito Tommaso Buscetta entrò a palazzo San Macuto sede della commissione Antimafia. La presiedeva Luciano Violante. L’audizione non sarebbe mai dovuta avvenire perché il giorno prima la procura della Repubblica di Palermo aveva inviato alla commissione e al ministro della Giustizia per conoscenza, nonché alla procura generale di Palermo, il proprio parere contrario all’interrogatorio del pentito per il timore che Buscetta avrebbe potuto rivelare segreti sulle indagini in corso. Violante non se ne curò e Buscetta rispose a decine di domande (alla fine ci fu un senatore che gli chiese perfino l’autografo). Fra le tante importanti rivelazioni, Buscetta per la prima volta parlò dei collegamenti fra Salvo Lima e Giulio Andreotti, fra questi e i Salvo e Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti.
L’argomento fu introdotto da Alfredo Biondi, allora deputato del Pli. “Nella rogatoria del dottor Falcone del 3 settembre 1982 si legge: avendo appreso dalla televisione dell’assassinio del generale Dalla Chiesa, ritenni che l’omicidio fosse stato effettuato dai corleonesi aiutati dai catanesi…qualche uomo politico si era sbarazzato, servendosi della mafia…Non le chiedo di fare il nome dell’uomo politico, le chiedo solo se lo abbia fatto in quella occasione”. Fin qui Biondi. Buscetta: “Lo dirò al giudice”. Biondi : “Questo l’ho capito, ma vuol dire che il nome già l’ha detto. È quello che volevo sapere”. Violante: “Quindi, con Badalamenti vi siete detti il nome dell’uomo politico”. Buscetta: “Lo dirò al giudice”. Violante: “Certo, il nome lo dirà al giudice ma lei deve rispondere sì o no alla mia domanda”. Buscetta: “Non facciamo ora confusione; dirò il nome al giudice perché è possibile che quello che mi ha detto Badalamenti possa essere stato da lui inventato”. Violante: “Forse non mi sono spiegato: noi non vogliamo sapere…”. Buscetta: “Ho capito: ce lo siamo detto”.
L’AFFONDO DI VIOLANTE. A questo punto il presidente della commissione Antimafia fece l’affondo. Violante: “Si tratta di un uomo politico che ancora fa politica?”. Buscetta: “Ah, ah, ora che facciamo? Dieci carte, da uno a cinque e da cinque a uno; e poi chiede: qual è l’ultima carta? Il cavallo. Dopo quante carte vuoi il cavallo? Non possiamo fare così”. Violante: “Signor Buscetta, lei faccia il suo mestiere...” Buscetta: “Io non ho più mestiere...”. Violante: “...così come la Commissione antimafia fa il suo; poiché le rivolgiamo delle domande, lei risponda. Lei sta rispondendo ad alcune domande che la commissione ha il dovere di porle. Può rispondere come vuole, non può però presumere che non le si rivolgano determinate domande. Chiedere se si tratti di un uomo politico in vita, tenendo presente che gli uomini politici in Italia siano alcune migliaia, non mi pare sia una domanda che possa pregiudicare il suo interesse. Spero di essere stato chiaro”. Tommaso Buscetta: “È vivo, anzi sono vivi”. (vif)
4 - Andreotti? L’Unità in imbarazzo. O meglio, dopo aver dato l’apertura ancora una volta agli arresti dei no global, confina il caso del giorno al centro della prima pagina con un titolo che non è la notizia, ma un commento: “Andreotti reagisce con civiltà”. La notizia della condanna a 24 anni è relegata nel sommario, di cui l’ultimo elemento è il “turbamento del capo dello stato”. Una scelta a dir poco sui generis, quella del quotidiano di Furio Colombo e Antonio Padellaro, che è rivelatrice dell’imbarazzo della sinistra cofferatiana e girotondina, di cui L’Unità ormai è di fatto l’organo, a trattare un caso clamoroso sul quale a cominciare dal presidente Carlo Azeglio Ciampi sino ai massimi esponenti delle istituzioni, ai leader dei partiti, c’è stato un fuoco di fila di dichiarazioni che esprimono quanto meno perplessità e turbamento, alle quali si è infine associato anche Piero Fassino. Quasi una voce nel deserto.
Il caso Andreotti dunque rischia di diventare per i Ds la cartina di tornasole dei ritardi, dei tanti nodi non sciolti di un partito che di fatto sembra continuare a inseguire, per paura, la sua parte più radicale estremista, con il pericolo di esserne inghiottito, dal momento che la scelta evidentemente del correntone e del suo vero capo Cofferati non è la scissione, ma logorare i riformisti da dentro fino a sostituirli nella gestione potere. Una situazione che verrà stigmatizzata domani in un articolo sul quotidiano il Riformista, diretto da Antonio Polito, da Emanuele Macaluso. Il quale apre una forte polemica. Per Macaluso il partito è “paralizzato”: da un lato dal passato della stagione giustizialista e dall’altro dalla sinistra girotondina e cofferatiana. Per il leader riformista diessino si tratta di una situazione imbarazzante nella quale la Margherita ha gioco sempre più facile a “scavalcare i Ds” su una politica riformista.