OPA e Fusioni sono il vero show della borsa italiana: spesso con risvolti tragici - gz
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By: GZ on Venerdì 10 Dicembre 2004 20:45
Una rassegna dei comportamenti tipici nella borsa italiana nei casi di fusioni e OPA e delle conseguenze per gli azionisti: i casi di Agnelli, Del Vecchio, Micheli, Scaglia, Merloni...
E' utile leggerlo e confrontarlo con quanto spiegato da Alessandro qui di fianco riguardo ad Acqua Pia Marcia e anche con quanto discusso sulla fusione Tim-Telecom. Per le altre storie (più che altro dell'orrore) ^leggere ancora Penati#http://www.marketview.it/marketview3/?a=cat&id=7&pg=1^. Conoscere il passato serve per ricordarsi in futuro di stare attenti a questi personaggi quando c'è di mezzo un OPA e o una fusione.
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Tutta la Borsa minuto per minuto
Alessandro Penati 10 dicembre 2004 Repubblica
In Italia, anche la Borsa è spettacolo. Uno show interpretato da personaggi famosi e celebrati quanto i calciatori. La cronaca economica diventa un’affascinante lettura: pagine di creatività finanziaria, scontri di personalità, e civetterie. La posta in gioco sono i soldi dell’azionista di minoranza: vince il campionato chi riesce a sottrargliene di più, con il plauso dei media a esaltarne figura e gesta. 10 e lode a chi lo fa con fantasia e delicatezza. Recentemente, parecchie sufficienze, ma nessun acuto.
Scaglia (^Ebiscom#^). Il 30 novembre Consob comunica che il presidente e maggiore azionista di e.Biscom (ora Fastweb) ha venduto il 3,9% della società, incassando un centinaio di milioni. Tempismo perfetto: il giorno dopo, Aem scarica sul mercato il suo 11,9% in un unico blocco. Il titolo cade: da allora perde oltre l’8%. Così Scaglia risparmia 8 milioni. Solo spiccioli. Ne ha di strada da fare per emulare il suo socio fondatore Francesco Micheli: lui ha portato a casa centinaia di milioni da una società che in Borsa ha perso l’81%. Voto 6,5.
Famiglia Agnelli-^Fiat#^ (Rinascente). Lentamente, con metodo, senza clamori: così va trattato l’azionista di minoranza. Preoccupata per l’auto, la Famiglia vuole fare cassa e investire in attività redditizie. Due anni fa, vede che Rinascente, controllata attraverso Ifil, è depressa sul mercato: si trascina intorno ai 3,3 euro, quando quattro anni prima toccava i 10,8 euro. Solo gli immobili dei grandi magazzini rischiano di valere quanto l’intera società. Che si fa? Ai risparmiatori demoralizzati, (con il 41% del capitale) si mostra la carotina dell’Opa, con un premio del 33%: a quel prezzo, tutte le attività di Rinascente valgono 2,2 miliardi (inclusi 400 milioni di debiti). La società viene ritirata dal mercato, e (quasi) tutti gli azionisti di minoranza tolti di mezzo. Si sospetta che Rinascente venga venduta a pezzi perché vale molto di più: la società dichiara alla Consob che non sarà così. Puntualmente, l’anno dopo il 49% degli immobili viene ceduto (debiti inclusi) per 860 milioni. A novembre il settore alimentare, valutato complessivamente 2,2 miliardi, è venduto a Auchan. Tra dieci giorni si apre la fase finale della gara per la cessione dei grandi magazzini (con il resto degli immobili): offerta media, 900 milioni. Rinascente viene fatta a pezzi e le attività cedute a una valutazione complessiva di circa 4 miliardi. Con un po’ di pazienza, ciò che per i risparmiatori valeva 2,2 miliardi, per la Famiglia vale il doppio. Questa è classe. Voto 8.
Del Vecchio (^Beni Stabili#^). Ha costruito dal nulla una multinazionale, leader nel mondo, ma a casa sua Del Vecchio si fa prendere dalla febbre del mattone. Con Cfi, di cui detiene il 17% insieme a un gruppo di azionisti veneti, nel 2001 compra il solito 29 virgola poco per cento (per non fra scattare l’Opa) di Beni Stabili. Il prezzo degli immobili comincia a salire. Da gennaio 2003 a febbraio 2004, Leonardo Del Vecchio, con la sua Leopar (un nome da 10 e lode) acquista il 100% di Cfi. Da quel momento Beni Stabili comincia a volare in Borsa: +70%. In ottobre, Del Vecchio compra un 3,5% di Beni Stabili sul mercato. Ed è “costretto” all’Opa totalitaria, sulla base del prezzo medio dei 12 mesi precedenti (art. 106, comma 2 del TUF): 0,634 euro, ovvero l’11% meno dei prezzi di Borsa. Agli azionisti di Cfi, però, Leopar aveva pagato un premio medio del 22%. Al prezzo dell’Opa, gli immobili sono valutati 1.100 euro al metro quadro. Capannoni di periferia? No, uffici di Telecom e Banca Intesa nelle città del nord, negozi di Prada nel mondo. Il consiglio di Beni Stabili, imbarazzato, dichiara che il titolo dovrebbe valere almeno 0,88 euro. Ma non può fare a meno di inserire nel prospetto una perizia che stima in 3,5 miliardi gli immobili: farebbero 1,16 euro per azione, il doppio dell’Opa. Ma Del Vecchio rilancia a 0,691 euro (sic!). E il 18 novembre l’offerta fallisce. Con Luxottica ha lanciato Opa vincenti nei cinque continenti; ma in Italia crede che i risparmiatori abbiano ancora l’anello al naso. Grossolano. Voto 5.
Merloni (^Merloni#^ Elettrodomestici, ME). La cattiva comunicazione uccide. Da maggio la società va ripetendo che gli obiettivi di crescita saranno mantenuti. Anche a settembre, quando chiude un collocamento da 300 milioni negli Usa. E il titolo va. A fine settembre, ME perde il 7% in tre gironi: brutto segno, in Italia. Passano 48 ore e la società, a un mese dalla trimestrale, lancia un profit warning: ancora giù del 12%. Il solito tempismo: durante l’estate, e fino al giorno prima del warning, ben 12 dirigenti del gruppo incassano le proprie stock option. Ad aprire la danza delle opzioni, in giugno, l’amministratore indipendente Roberto Ruozi, presidente dell’Audit Committee, che incassa un milione di euro. A fine novembre ME vende il 40% di Faber (una finanziaria) a Fineldo, la holding con cui Merloni controlla ME: la mano destra vende alla sinistra. Non solo, ME fa finanziare i crediti dei propri fornitori a Faber, nei cui confronti aveva 212 milioni di debiti, a fine 2003. Il bilancio di Faber? La posizione finanziaria tra le due società? Nessuna informazione disponibile. Sono parti correlate, ma ME decide che in questo caso il regolamento Consob non si applica. Per Merloni (presidente anche di Assonime, promotrice della corporate governance italiana nel mondo) qualche veronica di troppo. Voto 6,5.