costano di più di quello che rendono

 

  By: Esteban on Martedì 06 Febbraio 2007 17:34

A volte rimango perplesso per ciò che scrivono per fare pubblicità e mi arriva per e-mail ... Nuovi Prodotti UniCredit Si tratta dei primi certificates che danno la possibilità di conseguire un rendimento in funzione non tanto dell’andamento del mercato quanto della capacità di un fondo sottostante di generare performance superiori a quelle registrate da un indice di riferimento; strategia di investimento finora mai resa disponibile prima d’ora attraverso l’utilizzo dei certificates. I Delta Più Fund Certificates permettono di beneficiare della migliore performance registrata da un fondo comune di investimento rispetto a quella di un indice del mercato azionario di riferimento, (é mai accaduto ?) dando la possibilità, quindi, di conseguire alla scadenza un rendimento positivo anche in caso di ribasso dei mercati qualora il fondo abbia registrato una performance comunque migliore dell’indice, sebbene negativa. (cioè ??? dovrebbe battere l'indice con una performanca negativa ? cioè se ho 100 e l'indice va a 90 ma il fondo fa meglio dell'indice esempio 95 (che è da vedere), ho comunque una perdita ... ma alla scadenza avrò un rendimento positivo ... mah ...) Inoltre, qualunque sia stata la differenza di performance tra fondo e indice, consentono di beneficiare del rialzo del mercato azionario di riferimento, dal momento che è prevista una partecipazione, per una determinata percentuale, all’eventuale apprezzamento dell’indice sottostante rispetto al suo valore rilevato al momento dell’emissione del certificates. Mah .... "fondi" strutturati ???

costano di più di quello che rendono - gz  

  By: GZ on Giovedì 08 Agosto 2002 13:10

la cosa straordinaria del rapporto mediobanca, l'unico che faccia questa analisi in italia, è che praticamente ogni anno riassume la situazione delle aziende italiane principali in questo modo: il costo medio del capitale è l'8% (ad es quest'anno) e il rendimento medio sul capitale investito il 5%. Quindi il saldo totale di 1600 aziende italiane analizzate è che si è distrutto valore per, ad es quest'anno, 10 miliardi di euro. La cosa curiosa è che ci si preoccupa molto e solo dell'america e del fatto che guadagnino o meno le aziende americane, ma in un paese come l'italia le aziende medio grandi costano di più di quello che rendono e se va bene pareggiano. Ed è sempre stato così, anche negli anni d'oro della borsa. Poi dicono che la valutazione del mercato e il P/E è quello che conta. ------------------------------------------------------------------------------------------Rapporto Mediobanca: nel 2001 le industrie hanno distrutto valore per 10 miliardi di euro MILANO - Industrie deboli. Che investono molto nella finanza, poco nel loro futuro. E si ritrovano, adesso, un doppio conto da pagare. Vendono meno sui mercati internazionali. E però non «compensano» più su altri fronti: il pessimo vento delle Borse colpisce in pieno anche qui. Risultato: gli utili ne escono dimezzati, il capitale finisce per costare più di quel che rende. Per gli azionisti, in altre parole, non c’è creazione, ma distruzione di valore. LA FRENATA - Non è brillante, quest’anno, la tradizionale fotografia scattata da Mediobanca all’industria italiana. Non così drammatica come la congiuntura poteva lasciar pensare, ma certamente nemmeno rassicurante. Perché quel che ne esce (e il campione è più che rappresentativo: i «Dati cumulativi di 1925 società italiane» coprono all’incirca la metà dell’universo aziendale italiano) è un Paese il cui sistema produttivo marcia a due velocità. E con evidenti problemi strutturali. Da una parte c’è il terziario, che continua a svilupparsi e a produrre buoni utili. Dall’altra l’industria in senso stretto, che invece non appare in buona salute. Cosicché si può certo dire che l’azienda Italia, nel complesso, tiene. Che, anzi, continua a crescere. Ma quel fatturato 2001 che appare in aumento del 3,3% (contro il 17,7% dell’anno precedente) nasconde due diverse realtà: disaggregando i dati del campione, gli analisti di Mediobanca mostrano un terziario che arriva al 14,2% (comunque in leggero rallentamento rispetto al 17,4% nel 2000) e un’industria che è invece ferma allo 0,8% (era al 17,8 un anno fa). E se il mercato interno, tutto sommato, non va malissimo come si temeva (il fatturato-Italia mantiene un »3,8% dopo il boom del 18,1% nel 2000), la spia si accende sul fronte export: l’incremento, rispetto a un anno fa, è stato di appena l’1,8%. UTILI DAL TERZIARIO - Il trend non cambia con gli altri indicatori. A partire dalla redditività. C’è un crollo, generalizzato, degli utili netti: dai 20,664 miliardi registrati nel 2000 ai 9,913 archiviati nel 2001 ne sono stati bruciati la metà (-52% il dato esatto). E se è vero che qui, dove è forte l’effetto del cambiamento di segno delle partite straordinarie (attive un anno fa, passive ora), non ci sono sensibili differenze tra industria e terziario, il dualismo torna marcato quando si passa ad analizzare il risultato corrente. L’industria continua a perdere, in sostanza, il terziario migliora. E non di poco: tra gli 8 miliardi del 2000 e i 9,141 del 2001 c’è un incremento che arriva al 14,2%. È ancora un’ottima performance. Non basta, tuttavia, a compensare il -12,3% (da 20,361 a 17,866 miliardi) sopportato dall’industria. E la conseguenza è che, se i dati della gestione «ordinaria» tengono e sono di gran lunga migliori rispetto al crollo degli utili netti, anche qui la media finale si presenta con un calo: l’intero campione Mediobanca chiude con una flessione: -4,8% rispetto ai 28,367 miliardi del 2000. FINANZA E DEBITI - Non è un «male» nuovo, ma si è accentuato ancora di più. Le imprese italiane - e qui il discorso è generalizzato - mostrano in media una scarsa propensione a investimenti strettamente industriali (resta sempre elevato il tasso di sostituzione degli impianti, 46% nel triennio 1999-2001, ma c’è un rallentamento all’1,6% della spesa per investimenti tecnici, scesi a un quarto del livello di dieci anni fa). È così la finanza che continua ad assorbire la fetta maggiore degli impieghi: ben il 62% del totale, cifra che va in parallelo alla crescita di un indebitamento «agevolato» dai bassi tassi d’interesse e arrivato a superare i 60 miliardi. CAPITALI IN ROSSO - Tanta finanza a scapito dell’industria non ha intaccato, con l’inversione di tendenza sui mercati borsistici, soltanto la possibilità di aumentare gli utili con plusvalenze e poste straordinarie. Ha pesanti riflessi strutturali. E finisce col risentirne, inevitabilmente, anche il capitale. Il cui rendimento al netto delle imposte, secondo i dati Mediobanca, è di poco superiore al 5%. Il costo però è intorno all’8%. Risultato: distruzione secca di valore. E non per poco: dieci miliardi. Edited by - gz on 8/8/2002 11:12:6