By: gerry10 on Mercoledì 31 Dicembre 2014 01:04
La permanenza ventennale di un surplus primario dell’Italia è stato, e forse lo sarà anche in futuro, il principale motivo di appeal per l’acquisto dei nostri BTP che, non a caso, sono sempre stati collocati agevolmente dal Tesoro.
Del resto come si potrebbe resistere al fascino di titoli che mediamente rendono il 2% in più dei concorrenti più accreditati, e sono garantiti da un governo che attraverso la pratica consolidata dell’avanzo primario mostra di essere più che mai determinato ad onorare le pretese dei creditori, almeno per la quota interessi.
Una solerzia che non ha eguali in Europa (come mostra il grafico postato dal Mod) e che stride di fronte alla mortificante condizione di dover subire quel “2% in più” di rendimento che grava sui nostri titoli sovrani, e che ci obbliga, volenti o nolenti, alla cura dimagrante dell’avanzo primario perpetuo.
Colpa del debito troppo alto, si dice (giustamente), e del conseguente “rischio insolvenza” che spaventa i mercati.
Eccolo dunque il problema dei problemi: la solvibilità del debito sovrano.
Eccolo l’interrogativo cruciale: fin quando si è solvibili? Qual è il punto di non ritorno?
Ammesso che la domanda abbia senso (cosa controversa), di sicuro la risposta ha grande rilevanza, dal momento che ove si affermasse che il debito pubblico italiano (o di qualunque altro paese) non è solvibile, pura follia sarebbe continuare a praticare i surplus di bilancio.
Il guaio è che il “Sistema” non ama le risposte nette (e comprensibili), e vi sfugge offrendo al posto di una soglia numerica, l’ingannevole rappresentazione dei rating di S&P’s, la migliore approssimazione di cui è capace il pensiero economico mainstream.
Sembra quasi si voglia far confusione di proposito, attribuendo di volta in volta il passaggio da un BBB- ad un BB+, oppure da un AA- a un A+ o anche ad un BB che passa in BB- (l’arzigogolato format alfabetico rimanda chiaramente a nevrosi mal curate), nefaste presagi che in verità durano il tempo di un sospiro.
A dire il vero, però, non sarebbe poì così difficile stabilire se lo Stato italiano è solvibile o meno.
Se assumiamo che il più miserabile dei barboni e comunqe in grado di estinguere un debito di 1.000 euro, per il solo fatto che tale somma è facilmente reperibile, fosse anche derubando un passante, quale ostacolo si frappone allo Stato nel proposito di restituire 2.100 miliardi di Euro?
Quanti passanti deve derubare?
Potrebbe derubare l’intiera popolazione italiana, ma non basterebbe, e se anche in un sussulto di onestà, offrisse in pegno tutti i suoi inestimabili averi (Colosseo e Sacra Sindone compresi) ugualmente non esisterebbe il denaro sufficiente per comprarli.
E’ questo il problema: anche sommando tutti i contanti esistenti e i depositi a breve o medio termine e cioè l’aggregato monetario più ampio M3 in quota Italia, manco ci si avvicinerebbe alla cifra di 2100 miliardi di Euro.
Si può restituire ciò che non esiste?
Ovviamente no!
Se si prescinde dalla “non soluzione” della stampante, ne deriva che l’Italia (e non solo l’Italia) è ASSOLUTAMENTE INSOLVIBILE, e questo implica l’ASSOLUTA INUTILITA’ delle politiche restrittive con cui si avanzano quattro spiccioli che bastano, quando va bene, a pagare una parte degli interessi e neanche un grammo del debito cumulato.
Eppure non si può far cessare l’austerity di getto.
Il Sistema reagirebbe male innescando uno tsunami di intemperanze finanziarie domabile soltanto con austerity ancora più massicce.
Prima occorre disinnescare il Sistema sentenziando la fallacia della pretesa solvibilità dei debiti sovrani, esattamente come quarantanni fa Richard Nixon pose fine alla burla dei denari convertibili in dollari a loro volta convertibili nell’oro di Fort Knox.
Serve una nuova Bretton Woods che organizzi un default controllato che consenta di proseguire la corsa.
Come nella Formula 1, dove l’ingresso della Safety Car, mantiene le posizioni invariate, ma accorcia le distanze.