By: Moderatore on Martedì 16 Settembre 2014 21:39
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Immaginate 19 mezzi che incolonnati – inclusi un caterpillar, un’autocisterna con rimorchio, due Tir – procedono dentro la città. Immaginate di incrociarli e di notare che a bordo, no, non c’è gente qualunque, e lo capisci dall’abbigliamento, visto che tutti indossano un passamontagna e qualcuno un cappello in cuoio a falde larghe. Li guardate sfilare mentre procedono incollati l’uno all’altro, nelle loro auto blindate, con i loro giubbotti antiproiettile e gli pneumatici ripieni di silicone. Sfilano sotto i balconi del centro abitato. Al collo portano delle ricetrasmittenti. E in mano hanno armi pesanti. È la mezzanotte del 25 giugno, il gruppo si muove in perfetto stile paramilitare, ma non siamo nella periferia di Donetsk. “Presidente”, dice il questore di Foggia Piernicola Silvis a Rosy Bindi, durante una drammatica audizione dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, “nessuno ha parlato di questa vicenda. Nessuno lo sa. Neanche al cinema si vede una scena di questo genere. S’è trattato di un vero e proprio atto di guerra: un atto militare. Se un’autobomba esplode, qui non lo viene a sapere nessuno, presidente, ma queste cose devono essere dette, perché non possiamo aspettare il morto eccellente, che ammazzino un procuratore della Repubblica, uno dei nostri o un bambino, o che facciano una strage in cui muoia qualche innocente per ricordarci che a Foggia c’è l’associazione criminale di stampo mafioso. Questa città – continua il questore dinanzi alla Bindi – oggi è economicamente in ginocchio, strozzata dalle estorsioni e dal manto di silenzio che si coglie ovunque. È necessario inceppare con urgenza l’escalation dell’organizzazione, prima che sia tardi e che il livello delle sue azioni omicide s’innalzi a sfida aperta alle istituzioni dello Stato e agli uomini che le rappresentano”.
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“Non è un film”
Dice bene il questore: “Nessuno lo sa. Eppure neanche al cinema si vede una scena del genere”. La notizia non ha trovato neanche lo spazio d’una breve di cronaca, nei giornali nazionali, niente di niente neanche nelle tv. E allora torniamo alla scena iniziale. Il gruppo si ferma per un rifornimento al self service. Le immagini che il Fatto Quotidiano è in grado di mostrarvi in esclusiva mostrano l’uomo incappucciato che, affiancato il distributore, estrae la pistola ed esplode un colpo: il benzinaio nel gabbiotto li ha notati e l’uomo spara per intimorirlo, non per ucciderlo, sfondando la vetrata mentre i compagni terminano il rifornimento. La colonna riprende il cammino, siamo in viale Fortore, l’ultimo mezzo incolonnato rallenta, si mette di traverso, l’autista scende e gli dà fuoco. Il gruppo ha bloccato la prima via d’accesso. Parte il cronometro: l’operazione è appena iniziata. Il resto della colonna continua a procedere verso l’obiettivo, in viale degli Artigiani, mentre altri due mezzi si dirigono nelle restanti vie d’accesso, per occuparle incendiando altri due Tir. In linea d’aria siamo a 500 metri dalla stazione ferroviaria, 700 metri dalla Questura, un chilometro dalla caserma dei Carabinieri: pieno centro abitato.
Il commando ha isolato un triangolo della città, nessun accesso è possibile, e s’è conservato una via di fuga provvidenziale, che di questo triangolo immaginario taglia l’ipotenusa, portando via verso le campagne. Il caterpillar seguito da un camion e dalle auto blindate è ora davanti all’obiettivo: il caveau di un istituto di trasporto valori, l’Np Service, che protegge una cassaforte con 23 milioni di euro. Ora immaginate l’escavatrice che sfonda il muro. Lo divelle. La guardia giurata che all’improvviso vede la parete scomparire, frantumata e sollevata dinanzi ai suoi occhi, e il commando che inizia a sparargli addosso, sui vetri antiproiettile della cabina, per terrorizzarlo, mentre il braccio meccanico è già pronto per sollevare le casseforti e posarle nel camion.
“Non molliamo”
“Nessuno poteva aspettarsi una rapina di questo tipo”, dice Riccardo Serradifalco, amministratore delegato della Np Service. “Non molliamo”, continua, “anche se all’istante, quando ho pensato che fosse necessario l’intervento della Protezione civile per liberarci da quelle macerie, ho pensato che l’unica soluzione fosse andar via da questa città. È stato un attimo. Ma quando ho visto arrivare sul posto le guardie giurate, i nostri dipendenti, che sono 50, mi sono chiesto: come si fa a lasciare 50 famiglie senza lavoro? Abbiamo ripreso a lavorare immediatamente, quella stessa mattina, tra la polvere e le macerie, trasferendo i caveau nella sede foggiana della Banca d’Italia. Per rimettere a posto le pareti ci abbiamo impiegato dieci giorni. A breve ci trasferiremo in un’altra sede e devo ringraziare Bankitalia perché ha riconosciuto che non era soltanto un problema della Np Service, se ci fossimo fermati avremmo interrotto il flusso di denaro che circola intorno alla provincia di Foggia, incluse le pensioni”. Ma i foggiani, le loro pensioni, hanno potuto ritirarle in tempo. Perché la notte del 25 giugno, il commando, ha un problema.
Il “patto” criminale
Il primo camion incendiato non ha completamente bloccato la strada, una pattuglia della polizia riesce a incunearsi nel triangolo del commando, inizia il conflitto a fuoco, sull’asfalto non si conteranno né morti né feriti, ma circa 60 bossoli. “La volante – racconta il questore alla Commissione – s’è trovata davanti un’automobile che ha esploso 30 colpi di calibro 7,62 Nato. C’erano due auto, con due kalashnikov, i nostri due poliziotti hanno reagito con 38 colpi: una sparatoria violenta. Gli assaltatori sono andati via e il caveau, con tutti i milioni di euro, è rimasto lì”. I rapinatori s’infilano in quel varco provvidenziale, imboccano la via di fuga, si dileguano nelle campagne. La rapina è fallita. “Il commando – dice l’investigatore – arriva da Cerignola. Sono i migliori professionisti d’Italia per operazioni di questo genere”. Nel corso di alcune perquisizioni, riferite ad altri rapinatori, gli investigatori hanno rinvenuto lo schema per un’operazione in autostrada, anche questa sventata. Lo schema è sempre lo stesso: autotreni messi di traverso e incendiati, poi catene da un guardrail all’altro per impedire l’accesso delle forze dell’ordine, e varchi laterali per fuggire tra le campagne. “Ma nessuna rapina sarebbe mai stata tentata – conclude l’investigatore – se non si fossero accordati per pagare una quota alla ‘Società’, la mafia foggiana, che altrimenti non l’avrebbe mai permesso”. È il segno di un “patto”. La mafia foggiana vive un momento di equilibrio nel quale può inserirsi la criminalità organizzata di Cerignola. “L’intera provincia di Foggia – dice Rosy Bindi al Fatto – è purtroppo prigioniera di questa situazione”.