Mediobanca

 

  By: Moderatore on Giovedì 03 Aprile 2003 13:47

-------Commenti ed Analisi Recenti su MEDIOBANCA---------------------- ----------------------da FINANZA E MERCATI 03/04---------------------- L’avanzata Profumo-Geronzi ha avuto successo e l’accordo sul nuovo patto per Mediobanca è stato raggiunto, ma la partita non è chiusa. L’obiettivo finale, l’allontanamento dell’amministratore delegato Vincenzo Maranghi, non sembra poi così vicino dall’essere centrato. I giochi ruotano attorno alla resistenza dell’ad e alle sue possibili contromosse. Tanto che si registra in queste ore una caccia al voto tra i piccoli azionisti «vincolati» di Mediobanca, per arrivare a quel 75% previsto dal patto di sindacato per le decisioni strategiche, come appunto la nomina di nuovi vertici, già designati in Piergaetano Marchetti alla presidenza e Gabriele Galateri alla guida dell’istituto. Maranghi non si è dimesso e, per quanto filtra da Piazzetta Cuccia, non intende farlo. Anzi, sembra convinto di superare indenne anche l’assemblea del patto di sindacato, convocata dai grandi soci per lunedì 7 aprile, e di restare al suo posto fino alla scadenza del mandato, il 28 ottobre. Negli studi legali milanesi si fanno e si rifanno i conti: il quorum richiesto «vale» i tre quarti delle azioni vincolate al patto (che in tutto rappresentano il 46,8% del capitale di Mediobanca). Dunque, i titoli di Capitalia «pesano» per il 18,2%, quelli Unicredito per il 16,7%. E fin qui (quasi il 35%) siamo nel campo delle certezze: voto contrario a Maranghi. Poi si entra in una sorta di nebulosa dove un conto è stato approvare la modifica del patto, altra cosa è sfiduciare apertamente un manager. Così in rapida carrellata ci sono i «pesi» di Pesenti (5,6), Ligresti (8,12), Tronchetti Provera (7,72) e (ciascuno al 3,86%) Fiat, Ras e Mediolanum. Il voto di Generali (ammesso che non si astenga sui destini del suo maggiore azionista) pesa per il 4,26%. E si arriva - oltre alla holding Finpriv, che fa capo ai soci maggiori, e pesa per il 3,74% - a una decina di soci privati, tra cui Pecci (1,49) e Cerutti (1,37). Altra incognita riguarda il voto di Consortium, che da solo pesa per il 10,75% e che in parte racchiude gli interessi del gruppo francese di Vincent Bolloré e del suo amico e presidente di Generali, Antoine Bernheim. I soci francesi nel nuovo patto hanno ottenuto una presenza del 10% ma, è quanto emerge dopo la sigla dell’accordo, punterebbero ancora a impedire l’uscita anticipata di Maranghi. I pronostici sono in febbrile movimento e sarebbero a cavallo del fatidico 75%, un rebus che balla tra il 70-72% e il 77-80%. Il lavoro delle diplomazie è a pieno regime e le ragioni dell’ad - focalizzate sull’autonomia dell’istituto e sul conflitto di interessi in cui sarebbero le banche azioniste Capitalia e Unicredito nell’attività di merchan banking - potrebbero non cadere nel vuoto con chi ha meno dell’1% del capitale di Piazzetta Cuccia e d’improvviso si scopre ago della bilancia. Se, invece, lunedì si dovesse concretizzare quella maggioranza, potrebbe essere convocato un cda con il quale sottrarre le deleghe a Maranghi, con il rischio che questi corra a impugnare la decisione se non «giustamente» motivata. Altra strada potrebbero essere le dimissioni della maggioranza dei consiglieri, una soluzione che imporrebbe la convocazione di un’assemblea per la nomina del nuovo board, dal quale estromettere appunto l’attuale ad. In favore di una permanenza fino all’assemblea di ottobre giocherebbe poi l’approvazione del bilancio che chiuderà al 30 giugno prossimo. -----------------------da WEBSIM 02/04-------------------------------- L'ipotesi di revisione del patto di sindacato di Mediobanca che sarà sottoposta al vaglio dell'assemblea plenaria del patto di lunedì prossimo ''è equilibrata e valorizza tutte le componenti in gioco senza mortificare nessuno''. Lo ha detto Alessandro Profumo, ad di Unicredit secondo azionista di Mediobanca con l'8,75%, a margine della presentazione dell'iniziativa BrianzaLab.''Ne riparleremo dopo lunedì 7, oggi posso soltanto dire che l'ipotesi d'accordo messa a punto dal presidente del patto Piergaetano Marchetti, appare equilibrata e valorizza tutte le componenti in gioco senza mortificare nessuno'', ha detto Profumo. Ieri il direttivo del patto di Mediobanca ha dato il via libera ad alcune ipotesi di revisione dell'accordo. In particolare Capitalia e Unicredit ridurrano le loro quote al 6% ed entrerà nel patto un gruppo di investitori francesi ed esteri capitanati dal gruppo Bolloré complessivamente con il 10%. Previste modifiche anche ai quorum deliberativi. --------------------------da WEBSIM 01/04----------------------------- Il comitato direttivo del patto di sindacato di Mediobanca è arrivato a un accordo dove si prevedono alcuni cambiamenti che verranno sottoposti all'assemblea del patto convocata il prossimo 7 aprile. In particolare gli aderenti al patto ''di regola'' non potranno detenere una percentuale superiore al 2% del capitale di Mediobanca, salvo autorizzazione a raggiungere il 4% in casi particolari, spiega una nota del direttivo. Capitalia e Unicredit, attualmente primi due soci rispettivamente con il 9,4% e 8,7%, ridurranno il loro possesso a percentuale non superiore al 6%. Le quote eccedenti di Capitalia e Unicredit, come pure in tutto e in parte l'8% di Consortium, attualmente non apportate al patto già da collocare, saranno collocate ''presso banche e istituzioni finanziarie sinergiche con Mediobanca e non in posizione conflittuale e apportate al Patto''. Al patto saranno ammessi nuovi aderenti (investitori francesi e esteri) che apporteranno una percentuale del 10%. Si tratta in particolare di Perguet, gruppo Bolloré che avrà il 5%, Groupama, Dassault e altri per percentuali non superiori al 2%.Del cda faranno parte 21 persone, delle quali 8 saranno designate dalle banche, 7 dai soci industriali e 4 da quelli esteri. A costoro si aggiungeranno il presidente e l'amministratore delegato. ----------------------------------------------------------------------

MEDIOBANCA - gz  

  By: GZ on Domenica 27 Ottobre 2002 02:02

(Due letture del weekend su Mediobanca, Penati sul Corriere e Muchetti sull'Espresso, i commentatori migliori di finanza nostrani, dicono la stessa ...) di ALESSANDRO PENATI Se Milano fosse New York, Mediobanca Se Milano fosse New York, i soci di Mediobanca, chiamati domani ad approvare il bilancio, farebbero sentire la loro voce, esasperati dal titolo perennemente sottovalutato in Borsa. La liquidità di Mediobanca (4,5 miliardi di euro) copre due terzi della sua capitalizzazione. A questa si aggiungono 4 miliardi di partecipazioni in titoli quotati (a prezzi di mercato, senza contare i premi di controllo); 700 milioni in imprese non quotate; e 150 milioni di immobili. Le attività di credito al consumo e investment banking hanno generato 397 milioni di utili prima delle imposte, che ai multipli medi del settore (15 volte gli utili netti) possono valere 4 miliardi. C’è poi il valore di un marchio così affermato da poter promuovere qualsiasi prodotto finanziario senza investimenti pubblicitari. In totale, attività per oltre 13 miliardi; che in Borsa valgono solo 5,8. Quest’anno, il rendimento sul capitale di Mediobanca si è fermato a un misero 5,5%. Ma Milano non è New York. Per i soci che contano, le azioni di Mediobanca, più che un investimento, sono una sorta di quota associativa a un club esclusivo, che si frequenta per sapere che aria tira, per fare affari, per stare in contatto con chi conta, per apparire. Che il titolo sia sottovalutato non importa: nessuno pretende di far soldi investendo in un club. Alcuni soci, come Capitalia o Fiat, sarebbero troppo indebitati per permettersi la quota associativa. A New York non ci penserebbero due volte: venderebbero la partecipazione per fare cassa e risanare i propri bilanci. Ma a Milano la finanza è anche spettacolo: bisogna essere belli e ben accompagnati. Azionisti più facoltosi, come Unicredito, Mediolanum o gli amici francesi, a New York farebbero quattro conti e non avrebbero esitazioni a scalare Mediobanca, tenere i pezzi pregiati e vendere tutto il resto: via partecipazioni, titoli di tesoreria, immobili (dietro la Scala sorgerebbe un lussuoso albergo a cinque stelle) e credito al consumo. Rimarrebbero le Generali, un marchio prestigioso con cui vendere servizi finanziari, e una plusvalenza di almeno 7 miliardi, senza tirare fuori un euro (la liquidità della banca basta per pagare il controllo). Ma a Milano decide Roma, non il mercato. Più della creazione di valore contano altri criteri. Per Roma bisogna «superare individualismi, sterili equilibrismi, manovre di corto respiro» (Antonio Fazio), affinché Mediobanca possa sostenere i grandi gruppi industriali. Se Milano fosse New York, la scalata a Mediobanca sarebbe un takeover qualunque: fatto e dimenticato in fretta. Meglio lasciare tutto così. Altrimenti molti di noi, commentatori e giornalisti, non saprebbero più di che cosa scrivere; e qualche politico su che cosa intrallazzare. ------------------------------------------------------ I CONTI DI MEDIOBANCA A chi fa gola il tesoretto di Massimo Mucchetti - Espresso Perché Mediobanca susciti tanti appetiti si sa: possiede la partecipazione di maggioranza relativa nelle Generali e una larga influenza nel gruppo Sai-Fondiaria, grazie a una presenza diretta nella compagnia fiorentina e all'appoggio finanziario concesso all'azionista di riferimento Salvatore Ligresti. Fino a settembre, poi, Mediobanca aveva anche le chiavi del "Corriere della Sera"; ora le deve condividere con altri, ma qualcosa nel quotidiano di via Solferino conta ancora. Che cosa sia Mediobanca come oggetto economico, invece, è meno risaputo. L'11 ottobre il titolo veniva trattato a 6,7 euro, poco più della metà del prezzo di inizio d'anno. Il valore di Borsa è ormai pari al patrimonio netto contabile, come se l'avviamento della prima banca d'affari italiana fosse svanito e come se le plusvalenze sulle partecipazioni non ci fossero. Tanto basta a ricavare una prima morale: chi ha comprato titoli Mediobanca, come gli amici francesi dell'amministratore delegato, Vincenzo Maranghi, che negli ultimi mesi hanno accumulato almeno il 15 per cento del capitale, potrebbe concludere un buon affare. Difficilmente i gruppi Bolloré, Bernheim, Dassault e Groupama potranno accorpare le loro quote dando inizio a una scalata: la Banca d'Italia ha il potere per impedirlo. Ma in assemblea quelle azioni potranno votare o, alla peggio, essere rivendute con profitto. Mediobanca, infatti, è tuttora una società interessante. Non sta guadagnando granché, è vero. Il ritorno sul capitale è pari a un modesto 5,3 per cento. E il bilancio dell'esercizio 2001-02, chiuso al 30 giugno, sfoggia un utile netto consolidato di 255 milioni di euro solo grazie alla plusvalenza di 429 milioni effettuata consegnando i propri titoli Montedison all'Opa di Italenergia: senza questo affare, irrobustito da benefici fiscali per 33 milioni di euro (al posto del prelievo di 126 milioni dell'esercizio precedente), Mediobanca avrebbe addirittura chiuso in rosso. Per la prima volta, infatti, la gestione ordinaria perde: 243 milioni di euro per l'esattezza. È il segno di quanto sia grave la crisi della Borsa, che ha costretto Maranghi a scontare svalutazioni per 561 milioni sui titoli Olivetti, Commerzbank, Capitalia e altri. Contrariamente alla tradizione, infine, i costi di struttura sono lievitati, e così anche il risultato operativo cala di 92 milioni. Va però riconosciuto che Mediobanca rimane la più solida azienda di credito italiana. Il suo patrimonio di 5 miliardi di euro la rende solvibile tre volte il livello minimo. I suoi costi assorbono solo il 38 per cento dei ricavi quando le banche migliori arrivano al 50 per cento. Non ha crediti in sofferenza. Certo, il tesoro nascosto formato dalle plusvalenze teoriche sulle partecipazioni si è ridotto da 4,6 a 1,5 miliardi di euro, ma ancora c'è. E con esso Mediobanca può vantare una liquidità per 5,6 miliardi di euro che fa gola a molti. E che induce i principali azionisti, Unicredito e Capitalia, a ipotizzare la scissione di quello che Enrico Cuccia definiva un Centauro: la banca d'affari da una parte e la holding di partecipazioni con il suo tesoretto dall'altra. Edited by - gz on 10/27/2002 13:49:9