l'Asia consuma e spende ora

L'indice delle materie prime a 300 - gz  

  By: GZ on Lunedì 28 Febbraio 2005 14:22

L'indice delle materie prime CRB ha toccato venerdì quota 300, il record degli ultimi 20 anni e non è solo oro, petrolio, benzina e gas e poi quelle industriali come rame, nickel, alluminio, argento. Anche mais, soya, olio di soya, frumento, zucchero, legno, caffè... E i dati di inflazione euro stamattina erano rivisti un poco in basso da 2.1% a 1.9% e anche la cina per quello che vale riporta inflazione in calo. Contemporaneamente salgono i mercati finanziari tutti, eccetto solo le obbligazioni a breve termine mentre quelle a lungo termine, quelle corporate e quelle emergenti salgono. E salgono tutti gli immobili e le azioni In parte è spiegabile come dollaro debole, ma solo in parte perchè il dollaro è ai livelli di inizio dicembre

 

  By: Fleursdumal on Giovedì 23 Ottobre 2003 22:02

In effetti c'è grossa effervescenza in alcuni settori delle materie prime a causa anche di raccolti andati a male in Cina che così deve rivolgersi ai farmers americani. I beans si son portati dietro le carni (ai loro massimi storici) , oggi è anche ripartito con una bella candela il mais (corn)

Bisognerebbe limitarsi solo alla Cina - gz  

  By: GZ on Giovedì 23 Ottobre 2003 21:41

Guardavo prima di uscire le materie prime che anche oggi stanno esplodendo (i grafici della soya e del cotone sono diventati delle linee verticali) e voglio ricopiare qui questo articolo spettacolare sul corriere che da un idea di quello che è il fenomeno più stupefacente del 21 secolo. Bisognerebbe essere coerenti e limitarsi a investire solo su società o mercati legati alla Cina o influenzati da quello che succede in Cina, tutto il resto sono solo oscillazioni secondarie. C'è una specie di king kong che è stato scatenato, 1.2 miliardi di persone che di colpo, meno di dieci anni fa si sono buttati a capofitto nell'industrializzazione con un accanimento mai visto, una fenomeno di dimensioni senza precedenti nella storia. " (la Cina).....il caso di industrializzazione più veloce che si sia mai visto nella storia. Le esportazioni britanniche, dopo il 1830, ci misero 12 anni a raddoppiare. Quelle tedesche, negli anni Sessanta del secolo scorso, dieci anni. Quelle giapponesi, negli anni Settanta, sette anni. Quelle cinesi, al cavallo del 2000, sono raddoppiate in cinque anni. Meglio ancora: tra il 1990 e il 2003 sono aumentate di otto volte, agli attuali 380 miliardi di dollari,..." "....Un operaio cinese lavora 2.370 ore all’anno, senza contare gli straordinari, contro le 1.670 di un operaio italiano. Il costo, che in Italia è di 20-22 mila euro, in Cina è di meno di mille euro. Siamo cioè a 0,45 euro di costo del lavoro all’ora contro i 13 euro dell’Italia. Ma non è solo questione di costo del lavoro: costruire una fabbrica, compresi i macchinari, qui costa 30 euro al metro quadrato, in Italia siamo a 5-600. Complessivamente, i costi sono meno di un trentesimo di quelli italiani. A parità di qualità. ..." COSTA UN VENTESIMO PRODURRE IN CINA A PARITA' DI QUALITA... ----------------------------------------------------------------------------- Lavoro, pasti e letto in fabbrica I cinesi che sconvolgono il mondo L’imprenditore italiano: «Ormai non si può non produrre qui» DAL NOSTRO INVIATO DONGGUAN (Cina) - Zhang Hong, 21 anni, si spazzola i capelli sul ballatoio del dormitorio. La domenica è l’unico giorno di riposo e le voci delle ragazze riempiono il cortile della fabbrica. Hong ride e dice che a tornare al nord, nello Hunan, non ci pensa proprio. «Sono arrivata qua alla fine dell’anno scorso, poco prima della Sars - racconta - guadagno più di ottanta dollari al mese e mi danno un letto e da mangiare. Certo, qua dentro litighiamo in continuazione, tra noi. Ma a casa facevamo la fame». Fabbrica di pelletteria nel quartiere di Chang’an, Dongguan City, conglomerato urbano di sette-otto milioni di persone sul delta del Fiume delle Perle, provincia del Guangdong, Cina del sud: se cercate gli spiriti animali del capitalismo del Ventunesimo Secolo, eccoli qua; hanno il profilo crudele ma una forza magica che suscita speranze. E stanno sconvolgendo il mondo. Queste ragazze - che lavorano, mangiano e dormono in fabbrica - ricordano le nostre mondine degli anni Trenta e le loro storie, cucite assieme, raccontano il fenomeno Cina, il miracolo economico pieno di luci e di ombre contro il quale si mobilitano il ministro Giulio Tremonti e le lobby americane che chiedono a George Bush di frenare il nuovo pericolo giallo. Sono i piccoli pedoni della grande rivoluzione manifatturiera in atto. «Fare l’imprenditore oggi senza tenere conto dei cinesi è impossibile, ormai non si può non produrre qui», dice Marco Palmieri, l’imprenditore di Bologna che ha convinto Peter Miu, il businessman di Hong Kong proprietario della fabbrica, ad aprirne i cancelli. Palmieri ha un’azienda di pelletteria, la Piquadro: borse e valigie di lusso, non roba da mercatino, che vengono in buona parte prodotte in questa e in altre fabbriche della zona. «Sono aziende velocissimi e flessibili, più che da noi - dice Palmieri - la qualità è alta tanto quanto in Italia. E, soprattutto, il prodotto finito, anche tenendo conto del trasporto, costa enormemente meno, senza paragoni». L’imprenditore bolognese non crede che l’idea di Tremonti di mettere dazi sui prodotti cinesi sia buona. «Sinceramente, non mi sembra praticabile, ormai qui si produce gran parte dei beni che si consumano in Occidente - dice -. E comunque non ci farebbe nemmeno bene. Basta mettere piede nel Guangdong per capire che ci sono un sacco di affari da fare, altro che avere paura dei cinesi». In effetti, il delta del Fiume delle Perle è una frontiera lungo la quale capita di trovare di tutto. «Le mie operaie, che sono l’85% del totale dei dipendenti, arrivano per lo più dal nord del paese con in tasca solo il biglietto della corriera - dice Peter Miu, il padrone - senza nemmeno un renminbi e devono trovare subito un lavoro. Ma quando lo trovano continuano a creare problemi: furti e litigi sono all’ordine del giorno. Si rubano persino le mutande». Le mutande, infatti, sono stese con i pantaloni e le camicette su uno dei due ballatoi del dormitorio. Qui si dorme in fabbrica: dormitori a più piani, otto ragazze per camera, letti a castello, quattro per parte separati da uno stretto corridoio e chiusi da tende di plastica. D’altra parte non potrebbe essere altrimenti. Quello che sta succedendo nel Guangdong è semplicemente il caso di industrializzazione più veloce che si sia mai visto nella storia. Le esportazioni britanniche, dopo il 1830, ci misero 12 anni a raddoppiare. Quelle tedesche, negli anni Sessanta del secolo scorso, dieci anni. Quelle giapponesi, negli anni Settanta, sette anni. Quelle cinesi, al cavallo del 2000, sono raddoppiate in cinque anni. Meglio ancora: tra il 1990 e il 2003 sono aumentate di otto volte, agli attuali 380 miliardi di dollari, il 6% del totale delle esportazioni del pianeta. Un boom che ha significato uno spostamento straordinario di masse di lavoratori: ospitarli in fabbrica, dove lavorano, è un obbligo. Il risultato è, per esempio, che Chang’an, il quartiere dove sta l’azienda di mister Miu, ha 35 mila residenti fissi e 600 mila floating workers , come vengono chiamati nei documenti ufficiali: immigrati che abitano nei loculi delle fabbriche. Ogni aziendina ha un edificio-dormitorio, immense distese di mutande, di canottiere e di centinaia di «lavoratori fluttuanti» che la sera, alla fine del turno, bevono birra sui ballatoi. Il problema diventa serio quando la fabbrica è più di un’aziendina: la Dongguan Fuan Textile Company, sempre a Chang’an, per esempio ha 15 mila dipendenti e per i dipendenti ha dovuto costruire un vero e proprio villaggio: letti a castello e mense ma anche cinema, supermercati, bar, chioschi-ristorante. E, ancora a Dongguan, la Pou Chen - proprietà taiwanese - ha dovuto inventarsi una città nella città per sistemare gli 80 mila dipendenti che ogni anno producono cento milioni di scarpe per la Timberland, la Nike, la Reebok, l’Adidas. «Certo che c’è il sindacato - dice Peter Miu - Sopra i 300 dipendenti è obbligatorio. L’orario di lavoro è di otto ore al giorno per sei giorni e con gli straordinari può facilmente arrivare a undici ore. Ma ogni azienda ha una certificazione di rispetto dei diritti dei lavoratori: le imprese occidentali, soprattutto americane, lo pretendono». Insomma, è il «socialismo di mercato» che, alla ricerca continua dei costi più bassi, ha prodotto la nuova, immensa fabbrica del mondo. Scarpe, borse, lavatrici, macchine fotografiche, televisori ma anche alta tecnologia: il 30% dell’elettronica prodotta in Asia, per esempio, è cinese. Chi vuole produrre a basso costo viene qui. «Non farlo è una follia», dice Palmieri e lo spirito animale dell’imprenditore gli fa fare questo conto: «Un operaio cinese lavora 2.370 ore all’anno, senza contare gli straordinari, contro le 1.670 di un operaio italiano. Il costo, che in Italia è di 20-22 mila euro, in Cina è di meno di mille euro. Siamo cioè a 0,45 euro di costo del lavoro all’ora contro i 13 euro dell’Italia. Ma non è solo questione di costo del lavoro: costruire una fabbrica, compresi i macchinari, qui costa 30 euro al metro quadrato, in Italia siamo a 5-600. Complessivamente, i costi sono meno di un trentesimo di quelli italiani. A parità di qualità». Numeri che dicono che il risveglio dell’Impero di mezzo è avvenuto e non lo fermeranno i dazi e le minacce di sanzioni, come non l’ha fermato la Sars, nata proprio qui, nel caos creativo e inquinato del Guangdong. Solo la Cina potrà fare male a se stessa se non saprà controllare una crescita che non ha precedenti e che potrebbe creare sconquassi sociali, finanziari e politici.

Segnali dalla Cina - gz  

  By: GZ on Giovedì 23 Ottobre 2003 00:08

Stock: Cina iShares MSCI

In Cina in pratica se le grandi aziende hanno bisogno di soldi lo stato glieli stampa, glieli da e non li chiede indietro. Questo e non solo il fatto che lavorano come matti e prendono 1 euro all'ora è il segreto del boom cinese C'è questo pezzo su www.prudentbear.com da leggere perchè spiega questo lato oscuro della Cina oggi, ma anche l'importanza enorme che ha la sua economia per tutti. i) la cina è già ora diventata il paese che produce più merci in assoluto nel mondo, (non servizi ovviamente) più degli Stati Uniti ad esempio, se uno calcola correttamente il valore della produzione cinese (il cambio dello yuan è fissato dallo stato e sottostima di un 30% quindi il PIL cinese) ii) per molte materie prime la cina consuma ora più di qualunque altro paese al mondo inclusi gli USA Di conseguenza il mondo si basa sempre di più sulla Cina per la crescita globale (vedi i dati sul boom dei trasporti di merci marittimo che ho messo ieri) iii) Ma la borsa cinese è in crisi da qualche mese (la borsa cinese a Shangai, non i pochi titoli cinesi quotati a NY che sono solo dei giocattoli per chi specula in america). E ci sono segni che il boom del credito in Cina abbia raggiunto il tetto Se lo stato cinese smette ora di pompare credito perchè comincia ad avere paura di avere esagerato e di un crac finanziario quindi è un vero problema Vedi il resto del ^pezzo su www.prudentbear#www.prudentbear.com/internationalperspective.asp^ --------------------------------------------------------------------------------

Magnifico articolo di Marc Faber oggi - gz  

  By: GZ on Sabato 11 Ottobre 2003 15:46

Magnifico articolo di Marc Faber su B&F di oggi che riassume la situazione strategica delle borse del mondo. Spiega che in realtà il Pil dell'asia "emergente" (escludendo il giappone) sarebbe in realtà di 14mila miliardi superando quello americano e europeo che sono di 11mila e 10mila miliardi e nonostante questo i grandi fondi di investimento tengono in Asia il 5% della loro allacazione di portafoglio ! In secondo luogo, visto che l'asia è la maggiore entità economica del nostro tempo e che cresce al ritmo doppio dell'america e triplo dell'europa occorre comprare società che producono quello di cui ha bisogno l'asia. Elementare no ? ------------------------------------------------------- Marc Faber Ltd. editore di The Gloom, Boom e Doom Report (www.gloomboomdoom.com) C’è una follia che percorre l’industria del risparmio gestito: un investitore che voglia seguire i benchmark internazionali si ritroverebbe con il 65% del proprio portafoglio tra Usa e Gran Bretagna, ma meno del 5% in Asia (escluso il Giappone), un blocco che vale 3,5 miliardi di abitanti e include le economie a più alta crescita di Cina, India e Vietnam. Se questa sia un’assurdità lo lascio giudicare al lettore, ma il punto è un altro: già oggi il blocco asiatico supera probabilmente come motore di crescita reale quello americano. STATISTICHE POCO REALI. Ufficialmente gli Stati Uniti hanno un prodotto interno lordo di circa 11mila miliardi di dollari. La Cina al contrario si ferma a 1.100 miliardi e l’India a 500 miliardi. Inoltre, mentre il pil combinato delle economie avanzate è di circa 25mila miliardi di dollari, quello dell’Asia «emergente» si limita a 2.200 miliardi. Se si valutano attentamente le cifre in gioco, appare ovvio che l’economia americana non è affatto 10 volte quella cinese e più di 20 volte quella indiana come l’ufficialità farebbe pensare. La Cina, per esempio, è al primo posto nella produzione di cereali, carne, frutta, verdura, riso, zinco, stagno e cotone. Al secondo posto per tè, piombo, lana grezza e carbone e al terzo come produttore di alluminio ed energia. Inoltre tra il quarto e il sesto posto per lo zucchero, il rame, i metalli preziosi e la gomma. E se, come qualcuno può ribattere, queste sono «solo commodity irrilevanti in una società post-industriale», occorre considerare che la Cina è già il primo produttore al mondo di manifatture tessili, vestiario, calzature, acciaio, frigoriferi, tv, radio, giocattoli, prodotti per ufficio e motociclette. Se si aggiunge poi la capacità industriale di Giappone, Taiwan, Corea del Sud e India risulterà più difficile accettare il quadro dimesso che emerge dalle statistiche ufficiali sulla reale dimensione dell’economia asiatica. Le statistiche sono fuorvianti perché non tengono conto che il livello dei prezzi in molti Paesi emergenti è assai più basso che in Occidente. Per questo alcuni esperti hanno compilato altre statistiche che rettificano i dati per il potere d’acquisto della moneta in ciascuna nazione. E il quadro che emerge è completamente diverso. Secondo le nuove cifre l’Asia (inclusa Cina, Giappone, India, Corea del Sud, Indonesia, Taiwan, Filippine, Pakistan, Bangladesh, Malesia, Hong Kong e Vietnam) ha un pil rettificato per il potere d’acquisto di 14mila miliardi di dollari, cioè il 50% in più di quello degli Usa. Credo che il calcolo del pil rettificato per il potere d’acquisto restituisca un quadro dell’importanza dell’Asia (nella quale dovremmo anche includere l’Asia Centrale, l’Australia e la Nuova Zelanda, oltre che la Russia orientale) più vicina al vero dei dati ufficiali. Insomma, già così si può dire che l’Asia rappresenta il più ampio blocco economico esistente e l’espansione nell’area (7% per la Cina, 6% per India e Vietnam) potrebbe avere già rimpiazzato gli Usa come motore della crescita internazionale. SFRUTTARE LA SITUAZIONE. Tuttavia, chiunque pensi di andare in Cina a fare affari facili si espone al rischio di grosse delusioni. Al contrario, chi riuscirà a vendere ai cinesi ciò di cui hanno bisogno ha la possibilità di fare una fortuna. Non pensate che in Asia si venderanno molte auto o tv occidentali. L’Asia ha, invece, bisogno di crescenti quantità di materie prime industriali, incluso il rame, il cotone, il greggio, il ferro, che sono indispensabili per la sua industrializzazione. E sarà anche un grosso acquirente di prodotti alimentari, mano a mano che il tenore di vita migliorerà. Perciò non posso che reiterare la raccomandazione in favore delle società minerarie (incluse le azioni dell’oro e dei metalli non ferrosi), del settore petrolifero e del gas e dei prodotti chimici e del legno. Inoltre gli investitori potrebbero operare attraverso i pochi fondi specializzati o il mercato future, materie prime come il rame o il caffè che dovrebbero essere favoriti in queste circostanze. Infine per quanto riguarda l’azionario più tradizionale, occorre avere una posizione largamente sovraesposta: il peso combinato dell’intera Asia nell’Msci World Free Index è del 3,4% escluso il Giappone e del 12,1% incluso il Giappone. Il peso di Cina, India e Indonesia, tre delle quattro nazioni più popolose è invece solo dello 0,6%. Un’assurdità?

 

  By: gianlini on Mercoledì 25 Giugno 2003 21:38

Tra l'altro, mia sorella, che è medico, sostiene che 300 siano i morti AL GIORNO per AIDS nella sola Africa

approfittare della distorsione sistematica dei media - gz  

  By: GZ on Martedì 24 Giugno 2003 21:22

Ultime notizie dal fronte SARS: non ci sono più decessi a Hong Kong da una settimana e l'allarme sta rientrando in tutta l'Asia Ho predetto che questo sarebbe accaduto nei miei post precedenti di marzo e aprile e ho di conseguenza suggerito di compare un fondo-indice di Hong Kong e altro in Asia non perchè sappia qualcosa di medicina, ma perchè da alcuni anni mi sono abituato a cercare di approfittare della distorsione sistematica dei media. Quando si verifica una crisi, una disgrazia, un dramma umano o politico, un guaio di qualunque genere di quelli che le redazioni dei giornali ritengono "valido" l'evento riempie la prima pagina e le notizie di prima serata per giorni e giorni Quando la stessa crisi, guerra, dramma umano o politico, o guaio di qualunque genere viene risolto o scompare o si scopre che era sopravvalutato la cosa NON APPARE NELLA PRIMA PAGINA DEI GIORNALI O NEI NOTIZIARI DEL TG Per cui la notizia che la SARS si è fermata a 300 morti e non sembra più essere una minaccia non viene percepita con la stessa intensità e in modo nemmeno lontanamente proporzionale ai reportage drammatici che per tre mesi hanno riempito TV e giornali con previsioni di un intero continente in difficoltà, crescita economica dell'Asia dimezzata e simili

Asia: non sembrano rimbalzi - gz  

  By: GZ on Mercoledì 04 Giugno 2003 16:26

Ora che il fondo ^China Fund#^ ha fatto quasi il +100% (un fondo con 40 o 50 titoli non un singolo titolo fortunato) da ottobre probabilmente ci sarà qualche pausa, ma occorre riflettere un attimo su queste cose. Che cosa @#?%§$° ne so io della Cina ? Quasi niente se parliamo di società specifiche, senza contare che anche quando sono quotate a NY e quindi soggette ai requisiti contabili americani l'affidabilità degli auditor in cina che certificano il magazzino o i crediti esigibili o il valore del libro e il resto delle poste di bilancio, beh... meglio non pensarci... Ma allo stesso tempo cosa ne so di Giacomelli o Opengate o Finpart o Caltagirone o Permasteelisa o Dataservice o Tecnodiffusione o Euphon degli altri 150 titolini della borsa di Milano ? Una massa di titoli su cui sono arrivate notizie negative a catena per due anni di fila superando di continuo le aspettative più pessimiste ? Perlomeno nel caso della Cina sai che c'è sotto un massa di centinaia di milioni di persone affamate di benessere che spingono a tutti i costi e gli effetti collaterali di questo boom li vediamo anche in via Paolo Sarpi a Milano o a Poggio Rusco (paese di origine della mia famiglia sotto mantova invaso da cinesi) e anche leggendo di cifre di import-export come il pezzo dell'espresso di ieri impaginato qui di fianco Quindi: la morale è che: a) Intanto che la Sars era per 2/3 un esagerazione giornalistica e un occasione di acquisto, come la temuta elezione di Lula in ^Brasile#^ in settembre (il Brasile salito nei mesi successivi dell'80% come indice e come bonds mi sembra un +200%), come la temutissima guerra in Iraq che avrebbe destabilizzato tutto il medio oriente... e che ha dato l'occasione di comprare il @Nasdaq#@ un 35% più basso di oggi e gli SP500 un 20% più bassi b) l'Asia in media, al di fuori del giappone, ha fatto un +50% dai minimi di ottobre o di marzo, con differenze tra malesia magari debole e indonesia fortissima (+80%), taiwan media e corea forte, ma in media gli indici asiatici hanno messo su % più che doppie di quelli occidentali Questo è il trend. farà una pausa, ma questi andamenti non sembrano rimbalzi tecnici

l'Asia è meglio - gz  

  By: GZ on Venerdì 03 Gennaio 2003 12:16

Alcuni dati di fatto sulle borse Asiatiche: i) hanno PERSO IN MEDIA MOLTO MENO, il -10% nel 2002 contro un -21% degli S&P 500 e un -30% abbondante delle borse europee (con la punta del -41% della germania) ii) hanno mostrato una volatilità (quindi un RISCHIO) PIU' BASSA DI UN TERZO delle borse occidentali, un 22% annuale contro un 32% dell'america e un 34% dell'europa (cioè statisticamente in un anno sugli indici asiatici la perdita massima è stimabile sul 22% contro un 34% di quella stimabile sull'europa). Fino al 1999 era il contrario, l'asia era più volatile iii) tuttavvia a parte il giappone le borse asiatiche SONO CORRELATE al 65% con wall street, ovvero le variazioni dell'S&P 500 spiegano il 65% dei movimenti delle borse asiatiche iv) negli ultimi tre anni le borse asiatiche hanno perso anche loro più del 40% dai massimi, a causa della correlazione con l'america, ma a A DIFFERENZA DELLE SOCIETA' OCCIDENTALI i loro UTILI NON SONO CALATI in valore assoluto dal 1999. Ovvero la globalizzazione elettronica dei mercati fa sì che tutti seguano come pecore l'S&P 500, ma poi si crea una divergenza crescente tra la realtà economica di un area e la sua performance in borsa. In parole povere le borse asiatiche in base agli utili delle società quota non avrebbero dovuto scendere tanto, lo hanno fatto per seguire gli S&P. Il risultato è che ora : i) sono le borse più a buon mercato del mondo in termini di dividendi e utili e tassi di crescita ii) sono meno rischiose e hanno già cominciato nel 2002 a performare meglio di quelle occidentali L'unico problema è che sono più "scomode" nel senso che dall'Italia se ne sa poco e i titoli quotati a NY o Londra sono un 10% del totale. --------------------------------GREED & fear --------------- Author: Christopher Wood One of the big disappointments of 2002 for GREED & fear was that Asia ex-Japan's correlation with Wall Street remains high. The rolling 26-week correlation between the MSCI AC Asia Free ex-Japan index and the S&P 500 was at 0.65 at the end of 2002, compared with 0.21 at the beginning of 1999. It would be wonderful if more Asian markets had done what Indonesia and Thailand did. That is to rise by 38% and 24% respectively in US-dollar terms in a year when the S&P500 declined by 23% and Nasdaq by 32%. But of course, they did not. So long as this Wall Street correlation persists, GREED & fear is obliged to focus primarily on Wall Street in discussing Asian stock-market strategy, as it is America which is the prime driver of the absolute performance of Asian stock markets. This remains, for now at least, a fact of life. The relative call remains much easier, as it has for the past three years. Asia ex-Japan massively outperformed yet again in 2002, both against the S&P 500 and the MSCI AC World Free index. The MSCI AC Asia Free ex-Japan index declined by 10% in 2002, while the S&P500 and MSCI AC World Free index declined by 23% and 21% respectively. This outperformance is because Asia ex-Japan is now a defensive asset class in the context of global equities. It has cheap valuations and high dividend yields. It is also less "risky" in the sense that it has become significantly less volatile in recent months than either the American stock market or Europe's major equity markets. The annualised volatility of the MSCI AC Asia Free ex-Japan index's daily performance in 2H02 was 22%, compared with 32% and 34% on the S&P 500 and MSCI Europe index respectively. This reflects a reversal of traditional patterns. The annualised volatility of the MSCI AC Asia Free ex-Japan index was 24% for the period of 1996-2000, compared with 18% and 16% on the S&P500 and MSCI Europe over the same period. The reduced volatility of Asia reflects the fact that the region's stock markets are discounting long-entrenched deflationary conditions which have been in place ever since the Asian Crisis of 1997, while stock markets in America and Europe remain in the demoralising process of discounting the move to a more deflationary environment. Asia ex-Japan's continuing relative outperformance, its continuing superior valuations and income streams and its reduced volatility, all justify the continued and long-standing recommendation here that global investors should overweight Asia ex-Japan aggressively in a global portfolio. It should be noted that the region comprises only 3% of the MSCI AC World Free index. The recommendation in the new quarterly Asia Maxima published this week (Asia Maxima: The final countdown, January-March 2003) is that relative-return global-equity investors should be five times overweight Asia ex-Japan in a global-equity portfolio. If this is outside their tracking-error capability, and it is a reality of modern portfolio management that tracking-error constraints are a major inhibition on "active" fund managers, then the recommendation here is that they should overweight Asia ex-Japan to the maximum degree possible. For the reality of the past three years is that the region has derated spectacularly even as the fundamentals have improved. The MSCI AC Asia Free ex-Japan index has declined by 46% in the past three years. Yet during this same three-year period, profits in Asia have been rising, as have returns on equity, while corporate Asia has also deleveraged significantly. The result has been a massive derating of Asian stocks which is not justified by the improving fundamental trend and can only be explained by Wall Street correlation. Consequently, Asia ex-Japan is now trading at 12x trailing earnings, compared with a multiple of 20x at the beginning of 2000. If these are the facts of investment life for portfolio managers in Asia, the big-picture issue globally is when the Federal Reserve, and perhaps other major central banks, move from targeting interest rates to outright monetisation and inflation. This can be described as the final countdown to printing money. For the continuing lack of evidence of a revival in business investment, combined with the mounting evidence that the consumer is slowing, mean that the Federal Reserve has begun to prepare investors for such a radical change in monetary policy. Investors have been listening, which is why the US dollar has been falling and gold has been rallying. Both trends are expected to continue. For such a change in monetary policy to be justified, Wall Street will likely have to have re-tested October's stock-market lows. And certainly the American stock market suffered technical deterioration in the final days of 2002. The 200-day moving average of the Dow broke on 31 December below 9,000 for the first time since April 1999, while the 200-day moving average of the S&P 500 is now at the lowest level since March 1998. The Dow and the S&P 500 index are now 2.4% and 2.5% below their 50-day moving average respectively, and 7.3% and 8.2% below their 200-day moving averages. Still all is not lost for the optimistically inclined. For the formal adoption of money printing by the Fed, and perhaps also by the European and Japanese central banks, will prompt another high-beta bear market rally in global stock markets led by Wall Street. This is because investors will initially believe, however erroneously, that such a policy will work. This bear-market rally will get added re-enforcement, from an Asian standpoint, if the Bank of Japan (BoJ) is seen to have joined the Fed in such pre-emptive monetarism. In this respect, investors should keep a close watch on an announcement expected later this month on who will replace Masaru Hayami as the BoJ governor. Hayami is due to retire on 19 March. Modificato da - gz on 1/3/2003 11:24:23

L'Asia è la migliore - gz  

  By: GZ on Lunedì 02 Dicembre 2002 13:03

Negli ultimi 6 mesi le borse asiatiche hanno mostrato una volatilità (ad es come deviazione standard delle chiusure) inferiore a quella delle borse europee e americane. Questo per la prima volta da non so quanti anni, non ho fatto uno studio, ma a occhio direi che è la prima volta da sempre. Non solo quindi il loro rendimento in % è stato in media migliore (hanno perso quasi tutte meno delle occidentali) ma anche con meno rischio (meno volatilità). Inoltre come noto la bassa volatilità tende ad accompagnare le borse quando salgono (" è toro") e l'alta volatilità quando scendono ("è orso") Modificato da - gz on 12/2/2002 12:5:1

l'Asia consuma e spende ora - gz  

  By: GZ on Lunedì 28 Ottobre 2002 10:33

Stock: Cina iShares MSCI, Copper, Comex

Come noto cinesi, giapponesi, coreani e thailandesi hanno sempre avuto i tassi di risparmio più alti del mondo (la mia filippina ha già risparmiato e comprato una casa e terreno al suo paese..) e hanno sempre puntato solo a esportare più che a consumare come volano di crescita economica. Ma dopo il crac del 1997 e il rallentamento delle economie occidentali degli gli ultimi due anni piano piano si sono messi anche loro a puntare sulla domanda interna attraverso il credito al consumo. Questo spiega ad esempio perchè la Corea crescal al 4-5% e la Thailandia cresca al 5-6% quest'anno. Leggere questa affascinante storia del WSJ sull'impatto che le carte di credito e il credito al consumo sta avendo in asia nello sviluppare la domanda e il mercato interno. ------------------------------------------------------------- ANGKOK -- Tanawan Prampridi, a secretary at a water-filter factory, has been living large since she started using credit cards. In the first half of the year, the 24-year-old bought three big-ticket items that each cost more than her 12,000-baht ($274) monthly salary: a Sony VCR, a Karaoke VCD machine and a 13,900-baht Nokia mobile phone as a gift for her younger sister. "I never would have been able to afford the electrical appliances. But with credit cards, it's easier to make a decision," says Ms. Prampridi. "I can pay for it in installments." That is music to the ears of Thailand's bankers, retailers and economic czars. Thailand is on a campaign to wean itself from exports as the global economy wobbles, following the example of nations such as South Korea that have broadened their economic base by strengthening the domestic, consumer-led segments of their economies. Credit cards are the weapon of choice in this battle. Suddenly in Thailand, banks are making credit cards -- once offered only to the country's well-heeled elite -- accessible to average consumers. And in April, the Bank of Thailand allowed banks to set their own minimum income bar on credit-card applicants, a move designed to level the playing field with the country's aggressive finance companies. Thailand's efforts mirror similar moves across export-dependent Asia, where economic planners have used government policy to promote consumer spending through opening the borrowing spigot, particularly through credit cards. Credit-card receivables in Asia ex-Japan increased fivefold from 1996 through last year, when they totaled $101 billion; UBS Warburg predicts that figure will more than double by 2005. Asia's sudden shift to cheap consumer credit has sparked a sharp rise in credit-card delinquencies, a trend economists say needs to be closely watched. But in the meantime, credit cards and other consumer borrowing have helped engineer an important shift in the region's economies. Korea, which has moved the fastest down this path, managed last year to break the traditional link between exports and consumption. On the back of massive credit-card issuance, nonfarm income grew by 7.9% and private consumption grew 8.4% in 2001 from the previous year, even as exports fell 13%, according to UBS Warburg. "That's partly due to banks saying `here's credit, go spend', and partly because credit growth boosted income growth in the services sector," says Arup Raha, chief economist of UBS Warburg. "It actually generated income in the retail, wholesale and financial sectors." If Ms. Prampridi is any measure, the Bank of Thailand's efforts are showing early signs of effecting the same kind of structural change. The bespectacled secretary, who graduated with an English degree two years ago, is the first person in her family to use a credit card. Walking through a Tesco Lotus hypermarket in Bangkok one recent night, Ms. Prampridi tosses shampoo, tissues and laundry detergent into her cart. The small purchases, like her weekly haul of groceries, goes onto her credit card. Ms. Pampridi owes nearly twice her monthly salary on two credit cards, but she isn't particularly concerned. "I always pay the minimum, or more than the minimum if I can. I'm very disciplined." Thailand's credit-card market started to gain steam last year when finance companies such as Aeon Thana Sinsap (Thailand) PCL and GE Capital began aggressively courting middle-income consumers. The number of bank-issued credit cards in issue in Thailand surged 36% to 2.6 million in the first quarter of 2002 over the previous year. GE Capital, for example, set up a joint venture with a local bank last year that gives credit cards to consumers who earn as little as 10,000 baht a month. And GE also has issued 1.3 million store-specific, private-label cards through grocery, electronics and department stores to consumers who earn as little as 7,000 baht a month. The central bank's deregulatory move in April was designed to level the playing field for banks, which have operated under tighter restrictions. As part of that move, the central bank lowered the minimum age from 22 to 20, and the minimum required payment to 5% of the monthly bill from 10%. Now banks in Thailand are aggressively marketing cards through telemarketers, kiosks in malls and subway stations, and a flood of direct mail. Enticing consumers to borrow and spend, however, can prove a double-edged sword; credit-card delinquency and personal-bankruptcy cases have soared in Korea and Hong Kong in the wake of explosive issuance growth. In Korea, the credit-card bills overdue by 30 days or more reached 7.9% of total credit-card lending in the second quarter, well above the 4.6% rate in the U.S. That rate was just 1.7% in Hong Kong, but banks there said they expect to write off a larger percentage of their credit-card lending than U.S. banks. The experience in Korea and Hong Kong has raised concerns in Thailand. Varakorn Samakoses, director of the Institute of Economic Studies at Dhurakijpundit University, says consumer credit is a good thing, but that it is happening too quickly. "I don't think Thai people are used to these facilities. Especially the lower and middle class, and that's where the danger lies," he says. Thailand has two fledgling credit bureaus, neither of which have signed up a complete roster of banks and finance companies, never mind other credit-based companies, such as department stores and mobile-phone companies. So people like Narong Kongnun slip easily through the cracks. Mr. Kongnun, an administrative assistant at a logistics company, got a credit card last month so he could pay off street lenders. Mr. Kongun ran into financial trouble two years ago when disease wiped out a shrimp farm he had bought with his cousins. He had used his paddy fields in the south as collateral for a loan for the farm, lost 400,000 baht and is still paying the banks off. He has since borrowed about 30,000 baht from people he deems "friends," who charge 60% per annum, to stretch his 14,000 baht per month salary. "I got this card mainly to get cash advances. I realize the interest (rate) is high," he says, looking weary. "But when it's necessary, it's necessary." Besides, he says, he can get into only so much trouble: the ceiling on the card is just 10,000 baht. Ms. Prystay is a staff reporter in The Wall Street Journal's Kuala Lumpur bureau. Edited by - gz on 10/28/2002 9:47:30