Potere previsionale prezzo/utile e prezzo/fatturato

 

  By: gianlini on Martedì 09 Settembre 2003 02:24

da un veloce sguardo ai dati: nortel fattura circa 10 miliardi di dollari con profitti quasi nulli e ne capitalizza 16 lucent fattura circa 8 miliardi di dollari in perdita e ne capitalizza 10 3m fattura circa 16 miliardi di dollari con un margine netto ottimo del 15 % (utile netto di 2 miliardi di dollari) ma ne capitalizza 54 non sono valori già "inflazionati"?

 

  By: panarea on Sabato 06 Settembre 2003 02:38

grazie il titolo, salvo accadimetni eccezionali, è forse uno dei migliori in italia

 

  By: angelo on Venerdì 05 Settembre 2003 20:47

Per Panarea Riguardo a Buzzi, ti segnalo cosa scrive oggi la Lex Column del Finanacial Times: il leader nel mercato tedesco del cemento - Heidelberg Cement - ha annunciato un aumento dei prezzi del 29%, con effetto da gennaio 2004. Se questo segnala una ripresa della domanda sul mercato tedesco (come penso e spero) ne beneficierà anche Dickerhoff, e quindi ne vedremo delle belle anche su Buzzi. Speriamo in bene, io intanto mi sono rimesso in posizione. Ciao, Angelo.

 

  By: angelo on Lunedì 01 Settembre 2003 19:59

Per non fare di tutti i professori un fascio, segnalo a chi può interessare la lettura di "The predictors" di Thomas A. Bass, reperibile su Amazon in inglese oppure in edizione italiana sotto lo sfortunato titolo di "Sbancare Wall Street" (Feltrinelli). Si tratta della storia vera di un gruppo di fisici che applicando la teoria del caos e le reti neurali sembra abbiano fatto un bel pò di soldi sui mercati finanziari. Il libro è scritto con lo stile del romanzo, per cui abbondano le descrizioni di persone e luoghi ma poco o nulla è detto sui metodi impiegati, ma è comunque una passabile lettura estiva. Certo, sul grado di successo è possibile avere opinioni diverse. Verso la fine, uno dei protagonisti dichiara "Abbiamo raggiunto tutti i nostri obiettivi tranne quello di diventare disgustosamente ricchi". Sarebbe anche simpatico sapere se - a distanza di un pò di tempo - i loro modelli si sono dimostrati stabili oppure no (nel testo si capisce che si sono imbattuti per lungo tempo in un fenomeno comune: risultati molto buoni nel back testing, ma incapaci di reggere alla prova del trading reale), ma è comunque un caso di professori che scendono dalla torre d'avorio e fanno realmente trading.

 

  By: panarea on Lunedì 01 Settembre 2003 17:26

ok chiarito :)) per Buzzi anch'io avevo in testa 10 (quindi ci sarebbe ancora un po' di spazio), vedremo. ciao

 

  By: angelo on Lunedì 01 Settembre 2003 17:17

Neanch'io volevo polemizzare, ma questo è uno degli argomenti su cui sono un pò sensibile. Sopporto poco quegli analisti (cioè la maggioranza) che pontificano dall'alto ma, se chiesti di mettere due Euro sulle loro convinzioni, cominciano a diventare tutti rossi in faccia e cambiano discorso. Figuriamoci i professori, nei cui studi - a mia opinione - i problemi non sono tanto di abusi statistici (possibili, ma qui entriamo in un campo minato e opinabile) quanto di un "no brain approach" nella formazione del campione analizzato. Nessun operatore selezionerebbe un portafoglio di titoli in base a un solo parametro, quale ad esempio il P/E basso, come è normale nelle loro ricerche, ricavandone dei dogmi sulle corrette modalità di investimento. Mi ricordo in proposito una frase scritta in uno dei suoi primi libri da Larry Williams: "I continue to argue with college professors about just how random or non random price action is, but let's keep in mind that it's my 45 year old cognac we're drinking". Ed allora era molto più giovane; ad oggi scommetterei che anche lui non ne può più delle discussioni accademiche. PS Riguardo a Buzzi, io ho già venduto ma non faccio testo, perchè vendo sempre troppo presto. Sui fondamentali - in mia opinione - potrebbe avere un primo target a 10 Euro, spinta dalla ristrutturazione di Dyckerhoff. Tra l'altro ho letto qualche anticipazione sulla semestrale che uscirà il prossimo 11 settembre e che sembra essere migliore delle attese.

 

  By: panarea on Sabato 30 Agosto 2003 12:10

Franco Caparrelli lo conosco bene, visto che lo vedo 2/3 volte l'anno e mi ci sono laureato insieme. Il problema degli accademici, lo sa anche lui, è che le regressioni che fanno, non tornano mai (le hp di normalità eccettera sono tutte disattese) quindi sul concreto i test statistici non sono "validi" e si torna al mondo concreto dove questo cose invece sembrano funzionare (p/e basso o small cap battono il mercato). Non volevo polemizzare, davvero, soltanto che però il confronto tra p/e medio degli ultimi 20/30 anni rispetto ad oggi mi dice poco. ciao ps complimenti x buzzi, la vedi ancora in salita o per te è arrivata?

 

  By: angelo on Venerdì 29 Agosto 2003 13:51

Beh, chiamato in causa (anche se dopo moltissimo tempo, certi argomenti sembrano gli amori di Venditti che "fanno dei giri immensi e poi ritornano"), non posso che rispondere. Il punto centrale del mio ultimo post voleva essere questo: se a qualcuno può interessare (sennò amici come prima, non ho tempo per farmi trascinare in inutili polemiche), la mia esperienza mi consiglia una estrema diffidenza verso gli studi accademico -universitari sul mercato azionario. In particolare lo spunto era una recente ricerca americana secondo la quale il miglior rapporto per identificare i titoli da acquistare è il P/SALES, una stupidaggine concettuale per la quale si sarebbe dovuto obbligare gli estensori a comprare titoli Fiat fin dal momento in cui questo ratio era inferiore alla media di mercato (avrebbero probabilmente iniziato vicino ai 25 Euro). Ma, più in generale, attraverso tali studi ho visto sostenere e confutare pressoché qualunque concetto utilizzato in pratica, dall’inutilità/utilità dell’analisi tecnica e fondamentale, all’importanza dei Beta storici per stimare i Beta futuri, sulla attendibilità delle stime di utili aziendali degli analisti, alla ricerca del multiplo infallibile per fare stock picking (prima del P/SALES c’è stato il tempo del PEG, del P/E relativo, del P/BV, dell'EVA, dell'EV/EBITDA, dell’indice q di Tobin, ogni epoca ha i suoi guru), ecc… Risultato pratico di questa montagna di carta e dello spreco di tempo e denaro da parte di intelligenze brillanti? Zero. Tutto e il contrario di tutto. Niente di realmente utilizzabile/utilizzato. I professori continuano a fare i professori lontano dai mercati (a parte qualche intrusione in stile LCTM, di cui avremmo tutti fatto volentieri a meno), e noi continuiamo ad operare con l’utilizzo di metodi empirici: chi sopravvive ai cicli di ribasso ha l’opportunità di testare sul campo e non attraverso un computer cosa funziona un po’ meglio della media. Prendiamo come esempio, proprio la questione dei P/E (si, so che dipendono dai tassi e – peraltro – anche da due o tre altre cose, comunque grazie per il ripasso). Ci viene detto che tutta una massa di studi dimostra che i portafogli con P/E basso sovraperformano perché sono più rischiosi. Il sottoscritto, senza cercare molto perché – ripeto – sono questioni a cui mettere uno stop loss in termini di tempo dedicato, può citare tutta un’altra serie di studiosi che la pensano esattamente al contrario: - Franco Caparrelli (la maggiore autorità accademica italiana sull’argomento), Il mercato azionario, Mc Graw Hill (da leggere per intero solo se si ha una laurea in matematica o qualcosa da espiare) a pag 382 cita proprio uno studio di S. BASU sui titoli del Nyse: “ I risultati indicano che il rendimento medio annuo declina se si passa dai portafogli con basso P/E verso quelli a più alto P/E. In contrasto con quanto sostento dalla teoria, il maggior rendimento dei campioni con basso P/E non è associato ad un più alto valore di rischio sistematico. D’altro canto, il valore dell’alfa di Jensen è positivo per i portafogli con asso P/E mentre è negativo per gli altri; ciò significa che i primi hanno un rendimento superiore ed i secondi inferiore a quello di equilibrio dato dalla SML (Security Market Line). A pag 386 espone una tabella, in cui tale ipotesi è riferita al mercato italiano su un campione di 42 titoli per il periodo 1979-1992: Campioni 1 2 3 ---------------------------------------------------------------------- P/E medio 8,27 17,18 57,71 Rendimento medio annuo 48,22 40,12 32,86 Rischio sistematico (Beta) 1,03 0,99 0,92 Rendimento/Beta 46,77 40,42 35,75 - Damodaran, Manuale di valutazione finanziaria, Mc Graw Hill a p.245: “Una delle irregolarità che si sono sempre manifestate nei test sul Capital Asset Pricing Model è la tendenza, a valori aggiustati per il rischio, dei titoli a basso P/E ad avere prestazioni migliori del mercato e viceversa per i titoli ad elevato P/E. Oltre agli studi di BASU, cita quelli di GOODMAN/PEAVY (1983) e LEVY/LERMAN (1985). - Persino un miscredente come Burton Malkiel nel suo bellissimo “A random walk down Wall Street” non può evitare di scrivere a 195 (5° edizione, non la più recente): “ There is some evidence that a portfolio of stocks with relatively low earnings multiples has often produced above averages rate of returns even after adjusting for risk” (affermazione che gli deve essere costato scrivere, visto che l’autore è strenuamente convinto della teoria del mercato efficiente, tanto da consigliare di comprare i fondi indice, per non pagare commissioni di gestione a scimmie intelligenti , ma che tirano a caso freccette sul listino). Bene, e adesso che abbiamo fatto sfoggio di cultura? Niente, siamo nudi come il re della famosa favola. Se vogliamo selezionare dei buoni titoli azionari per investimenti di portafoglio non abbiamo scorciatoie: per SINGOLA AZIENDA studiamo i bilancio consuntivi, le caratteristiche del settore di appartenenza, se il management è capace di affrontare le sfide del futuro; in una frase, cerchiamo di capire la capacità prospettica di generare cassa Poi vediamo quanto valuta la Borsa questa "capacità di generare cassa". In genere, se l'azienda va bene ed è interessante investire, è segnalato anche dal P/E "basso" (ci sarebbe da scrivere molto su quando un P/E è basso, ma andrei fuori tema). Certo non vale il contrario, il P/E può anche essere basso per tanti altri motivi (per esempio perchè l'azienda sta fallendo), ed è per questa ragione che gli studi che selezionano "titoli col P/E basso" facendo solo screening da Bloomberg, per me non hanno alcun valore. Quindi salutiamo i professori che ancora si azzuffano se sia più opportuno – nel valutare un’azienda – scontare il flusso futuro degli utili o dei dividendi. E ricordiamo un’altra frasetta di saggezza popolare “Chi sa fa, e chi non sa insegna”. PS La differenza di rischio tra Buzzi e Italcementi è sempre stata minima; inoltre so per conoscenza diretta del management che a Buzzi sono i migliori che abbiamo in Italia a gestire cementifici. Quindi – non mi importa niente di cosa dice il Beta, neanche i professori son d'accordo su cosa segnala il Beta - la differenza tra i due P/E era assurda e anche oggi, dopo il rialzo di Buzzi, non è giustificata. Ma sono molto contento che ci sia qualcuno a pensarla diversamente. Altrimenti, se tutti avessero capito in tempo che quotare 6 volte gli utili per un cementiero in salute è assurdo, come avrei potuto ottenere un capital gain dalla faccenda?

 

  By: panarea on Venerdì 29 Agosto 2003 11:24

Tesi? Si, già scritta 5 anni fa purtroppo. Se le interessa dovrebbe essere su Tesionline.it (almeno i primi capitoli sono gratis), altrimenti se vuole gliela mando aggratis. Letti tutto? Si, ho letto tutti gli articoli citati, solito procedimento di verifica statistico prima creano i portafogli (tipo a basso p/e, medio e alto oppure small cap, medium, e grandi) e vedono se veramente hanno ottenuto risultati in %, poi fanno la solita verifica tipo CAPM, per vedere se trovano "un rendimento in eccesso rispetto al rischio corso". A lei che sa di statistica però posso dirlo: nelle verifiche però succede di tutto: eteroschedasticità, autocorrelazione, non normalità eccettera. Per rimediare io avevo fatto un lavoro che ritenevo abbastanza moderno usando GARCH contro l'eteroschedasticità e SUR (Simingly Unrelated Regression) contro l'autocorrelazione. Le manca la statistica?

 

  By: GZ on Giovedì 28 Agosto 2003 17:37

sta scrivendo una tesi di finanza ? ha letto queste cose ?

 

  By: panarea on Giovedì 28 Agosto 2003 12:55

x angelo 1-p/e è funzione inversa dei tassi. Negli anni 70 erano + del 10%, chiaro che il p/e fosse minore. Ora i tassi sono bassi, chiaro che il p/e + alto. Le medie storiche del p/e x valutare la borsa non servono a niente. Può ancora un po' servire il confronto del p/e tra 2 società simili nello stesso momento, tipo buzzi contro italcementi, la prima sembra meno cara della seconda. 2-altro giochino società a basso p/e ottengono maggior rendimenti di quella ad alto p/e. L'argomento l ho studiato molto -S. BASU, Investment Performances of Common Stocks in Relation to their Price Earnings Ratios: a Test of the Efficient Market Hypothesis, “Journal of Finance”, XXXII, No. 3 (giugno 1977), pp. 663-682. -S. BASU, The Relationship between Earnings Yield, Market Value and Return for NYSE Common Stocks: Further Evidence, “Journal of Financial Economics”, 12, No. 1 (1983), pp. 129-156. -W. BREEN, Low Price-Earinings Ratios and Relatives, “Financial Analysts Journal”, luglio-agosto 1968, pp. 125-127. -U. CALCAGNINI, A.M. D’ARCANGELIS, Il contenuto informativo dell’ indice prezzo/utile in Italia, “Il risparmio”, No. 12, 1994, pp. 1161-1175. -R. CIASCA, Price-earnings ed efficienza del mercato, “Analisi Finanziaria” No. 26, 1996, pp. 69-89. -T. COOK, M. ROZEFF, Size and Earnings/Price Ratio Anomalies: One Effect or Two?, “Journal of Financial and Quantitative Analysis”, marzo 1984. -A. DESSANI, Strategie di investimento e rapporto P/U: un’ ulteriore verifica, “Analisi finanziaria” No. 13, 1994, pp. 97-112. -M. GIORDA, P/E ratios: verifica per la Borsa italiana, “Analisi Finanziaria”, No. 1 (1990), pp. 71-81. -D.B. KEIM, A New Look at the Effects of Firm Size and E/P Ratio on Stock Returns, “Financial Analyst Journal”, marzo-aprile, 1990, pp. 56-67. -J.D. McWILLIAMS, Prices Earnings and P.E. Ratios, “Financial Analysts Journal”, maggio-giugno 1966, pp. 137-142. -S.F. NICHOLSON, Price-Earnings Ratios, “Financial Analysts Journal”, luglio-agosto 1960, pp. 43-45. -S.F. NICHOLSON, Price Ratios in Relation to Investment Results, “Financial Analysts Journal”, gennaio-febbraio 1968, pp. 105-109. risultato: in genere i portafogli con p/e basso ottengono risultati migliori ma soltanto perchè sono + rischiosi. ZB lo sa ma fa finta di no: il risultato di un investimento si misura in % (o in soldi) il rischio in volatilità (varianza, deviazione standard chiamatela come volete). Quindi la % maggiore accanto ad un azione, un fondo o altro da sè dice poco perchè non spiega quanto rischio si è corso. Il rendimento va ponderato x il rischio corso, sempre. Questo caro ZB si applica anche alle Small cup, che sì, saranno + performanti, ma anche molto più rischiose (in termini di variazione passata dalla media=volatilità,varianza ect)

una riedizione in scala ridotta del 1999 sui titoli internet rimasti - gz  

  By: GZ on Mercoledì 27 Agosto 2003 14:51

I titoli internet americani Amazon (^AMZN#^), Ebay (^EBAY#^), USA Interactive (^IACI#^), e poi quelli più selvaggi come Ask Jeeves (^ASKJ#^), Switchboard (^SWBD#^), CNet (^CNET#^), Overstock.com, E-Loan (^EELN#^), WebEx (^WEBX#^) hanno preso fuoco di nuovo e in una giornata di rimbalzo come quella di ieri in media sono saliti del 6-7%. Questa è tutta roba il cui Prezzo/Utili o è negativo o è stratosferico I ribassisti che li vendono short ogni mese aumentano da mesi e ogni mese vengono stritolati e chi non li ha mai comprati li rimpiange. Ad es ^ASK Jeeves#www.ASKJeeves.com^ è la brutta copia (o il fratello minore) di Google come motore di ricerca e da 1 dollaro è risalito a 18 dollari in 8 mesi. Ha una valutazione assurda e dai 6 dollari in su gli Insider continuano a liquidare e i ribassisti continuano a vendere short. E il titolo sale come un panzer Si da il caso che io conosca bene uno dei top manager di ^ASK Jeeves#www.ASKJeeves.com^ da quando ero a los angeles e vedo che ogni mese continua a vendere e incassare, ha cominciato in aprile a 7 dollari e lo vedo mollare altri titoli in agosto al ritmo di qualche milione di dollari alla volta sui 16 dollari. E Ask Jeeves sale sopra 18 dollari. Il buon senso dice che questa febbre speculativa è una riedizione in scala ridotta del 1999 sui titoli internet rimasti, ma come nel 1999 non è facile capire quando finisca ed era meglio comprarli ANCHE SE GLI INSIDER VENDEVANO perchè sono dei +20% a settimana che si vedono Allo stesso tempo sai che quando finisce i titoli più solidi come Ebay e Amazon possono correggere un -20%, ma quelli come ^ASK Jeeves#www.ASKJeeves.com^ verranno sventrati del -50% in pochi giorni

 

  By: angelo on Martedì 10 Giugno 2003 12:06

Spiace dissentire ma, secondo la mia esperienza, non è proprio così. Esistono anche molti studi che dimostrano l'outperformance di portafogli formati con P/E bassi su campioni di titoli col P/E alto. In queste cose conta molto com'è formato il campione e a che momento di Borsa ci si riferisce. Un pò come capitava con la teoria del mercato efficiente, sulla quale gli studiosi americani son riusciti a dire tutto e il contrario di tutto. Ritengo invece condivisibile sostenere che il P/E basso, da solo, non è condizione NECESSARIA per un rialzo e non garantisce dai ribassi. La valutazione di un titolo azionario è operazione complessa che non può essere ricondotta al calcolo di un singolo rapporto; Nel settore biotecnologico, la mia esperienza personale è che il driver primario delle quotazioni sia il sentiment e non i fondamentali, proprio perchè la valutazione dei fondamentali è quasi impossibile per una analista esterno (gli utili eventuali e futuri dipendono spesso dall'evoluzione della ricerca, da un autorizzazione in più o in meno della FDA ecc....).

 

  By: GZ on Lunedì 09 Giugno 2003 14:11

se c'è una cosa che anche a livello accademico è stata dimostrata è che il P/E non prevede un bel niente tra i settori migliori degli ultimi 12 mesi ci sono stati l'aurifero e il biotech il biotech credo capitalizzi 180 miliardi a NY e perda 20-30 miliardi, il suo P/E è negativo anzi è l'unico settore tecnologico ora con P/E negativo ed è il settore che ha perso meno dal massimo e che è ancora un +200% sopra i livelli del 1998

 

  By: lutrom on Lunedì 09 Giugno 2003 13:24

Stock: Ask Jeeves, S&P 500

da www.soldionline.it Il potere previsionale del prezzo utile e del rapporto prezzo fatturato di Manuela Tagliani 3 giugno 2003 16.00 Sia il p/e sia il rapporto prezzo/fatturato sono fattori significativi per prevedere le performance di prezzo delle azioni. E questo potere può essere raggiunto al meglio conoscendo la distribuzione di questi due rapporti su tutte le azioni. Sia il p/e sia il rapporto prezzo/fatturato sono fattori significativi per prevedere le performance di prezzo delle azioni. Ma questi metodi sono validi anche per gli investitori privati? Nel suo libro "What works on Wall Street" James O'Shaughnessy ha fatto un'analisi estensiva di come questi rapporti riescano a prevedere future performance di prezzo. Ha scoperto una correlazione significativa tra ogni rapporto e la performance di prezzo, con alcuni rapporti che portano a migliori performance durante l'anno successivo. Il nostro obiettivo è di fornire rapporti di p/e e di prezzo fatturato che corrispondano ai decili usati da O'Shaughnessy; mostrare l'effetto del mercato orso su entrambi i rapporti; e mostrare che i rapporti prezzo/fatturato sono leggermente superiori a quelli del prezzo/utile quando vengono usati come strumento revisionale. Metodologia seguita Il rapporto prezzo/utile è rappresentato dal prezzo corrente dell'azione diviso per gli utili per azione degli ultimi dodici mesi. Il rapporto prezzo/fatturato è il prezzo corrente dell'azione diviso per il fatturato per azione degli ultimi dodici mesi. O'Shaughnessy ha usato i decili per dimostrare la correlazione tra ogni rapporto e le future performance di prezzo. Per questo articolo i due rapporti sono stati classificati dal minimo al massimo e poi divisi in decili, 10 gruppetti contenenti un eguale numero di azioni. I dati sono ricavati sulle borse americane e basati sullo Standard & Poors e, dato che i due rapporti cambiano notevolmente con l'andare del mercato, sono stati presi i picchi dello S&P 500 (2 giugno 2000 e il 2 agosto 2002 quando l'indice aveva perso, complessivamente il 42%). O'Shaughnessy ha scelto di includere solo le azioni con una capitalizzazione di mercato superiore ai 150 milioni di dollari (adeguati all'inflazione). Questo per poter focalizzare l'attenzione sulle stesse azioni che comprerebbe un gestore senza correre rischi di liquidità. Questo piccolo escamotage permette di eliminare molti titoli. Inoltre il rapporti prezzo/utile e prezzo/fatturato uguali o inferiori a zero non sono stati considerati. Il numero di azioni rimanente è stato diviso per 10 per poter calcolare in decili il numero di azioni. Il numero totale delle azioni corrisponde a 3359. Ecco alcuni risultati: il 2 agosto 2002 solo il 71% delle aziende con una capitalizzazione superiore a 150 milioni di dollari aveva un rapporto prezzo/utile superiore a zero. Le azioni rimanenti (29%) avevano dati negativi dovuti al fatto che sono state registrate perdite e non utili. Per quanto riguarda il rapporto prezzo/fatturato il dato è ancora più elevato: il 94% delle aziende aveva un rapporto prezzo/fatturato superiore a zero. La seconda tabella mostra i range per i decili sia per il p/e sia per il prezzo fatturato. Usando il p/e del 2 agosto come esempio, le 2395 azioni con una capitalizzazione di mercato superiore a 150 milioni e con p/e superiore a zero sono stati classificati dal minore al maggiore. Poi sono stati divisi in dieci gruppo con circa 240 azioni per gruppi. Il p/e minore nel decile 1 è 0.39, mentre il maggiore è 10.14, che corrisponde al minore nel decile 2. La tabella 2 fornisce buone regole su quello che potrebbe essere un ragionevole rapporto p/e o prezzo fatturato. Per esempio sempre nella stessa tabella, il p/e mediano era di 18.83, il più basso nel decile 6. Il prezzo/fatturato mediano era di 1.40. Nel prossimo appuntamento vedremo se è possibile usare questo tipo di dati per prevedere il mercato, e se non proprio per anticiparlo, almeno per seguirne gli andamenti.