Silentium post Clamores

 

  By: Moderatore on Venerdì 11 Febbraio 2005 16:13

----------------------------da FINANZA E MERCATI 11/02---------------- Il Leone di Trieste sorprende ancora. Generali ha chiuso il 2004 con una raccolta record di 56,3 miliardi (+13%) superando i target del piano industriale. Immediata la reazione a Piazza Affari: il titolo ha toccato i massimi da maggio 2002 a quota 26,15 euro per poi chiudere a 25,92 euro (-0,23%). Il 4 febbraio qualche anticipazione era arrivata dall’amministratore delegato, Giovanni Perissinotto, che aveva parlato di «anno di crescita eccezionale». Ieri la conferma: il consiglio di amministrazione presieduto da Antoine Bernheim ha esaminato le prime indicazioni relative alla raccolta dell’esercizio. I risultati definitivi saranno approvati dal board il 24 marzo. I premi consolidati sono saliti a circa 56,3 miliardi, superando l’obiettivo di 53,3 miliardi fissato per il 2004 nel piano industriale, con un incremento del 13,6% rispetto al 2003. Buona anche la performance nel ramo vita dove la crescita è stata del 17,5% a quota 36,9 miliardi, al di sopra del target di 34,2 miliardi. A crescere è stato soprattutto il volume dei premi di nuova produzione, salito del 31,3% rispetto a fine 2003 attestandosi a 20,8 miliardi. Nel ramo danni i premi consolidati hanno raggiunto i 19,4 miliardi rispetto all’obiettivo di 19,1 miliardi (+6,8%). In Italia la raccolta complessiva è cresciuta del 14,8% a 22,2 miliardi. Il volume dei premi vita di nuova produzione è salito a 11,1 miliardi (+32%) grazie soprattutto alla rete di agenzie (+19,4%). Confermato anche lo sviluppo del canale bancassicurativo (+47,8%) che continua a mostrare un ottimo potenziale di crescita. Nei mercati stranieri presidiati dalle Generali il volume dei premi è salito del 12,8% a 34,1 miliardi con un volume dei premi di nuova produzione salito del 34% a 9,7 miliardi soprattutto in Francia (+51,9%) e in Germania (+54,4%). Quest’anno l’attenzione sarà concentrata sull’Europa orientale: le acquisizioni sono «un’opportunità che il gruppo desidera perseguire», ha infatti sottolineato la settimana scorsa Perissinotto. ----------------------------------------------------------------------

 

  By: GZ on Mercoledì 20 Ottobre 2004 17:03

se usi il metodo del consulente mckinsey 11 mila miliardi il PIL USA spesa militare 4% circa, max storico 6% ==> spesa tot attuale militare 400-450 miliardi

 

  By: polipolio on Mercoledì 20 Ottobre 2004 16:53

Questa dei 4 miliardi al giorno l'avevo già sanzionata anche io uno o due mesi fa. Com'è che continua a tornar fuori?

Non bisogna esagerare a trovare sempre problemi - gz  

  By: GZ on Mercoledì 20 Ottobre 2004 16:12

...Si parla di una spesa di 4 miliardi di dollari al giorno che se eliminato risanerebbe totalmente il deficit di bilancio e forse creerebbe un surplus. ... --------------------------- Intervistavano un gestore molto bravo e diceva che tra le cose che lo rendono ottimista c'era il "....basso livello di spesa militare attuale...". Il giornalista gli ha fatto due occhi così e quello gli ha spiegato: per dare un idea fino al 1990 quando è crollata l'URSS gli USA spendevano il 6% del PIL in armamenti. Oggi, nonostante l'Iraq, spendono sul 4% del PIL e sotto Clinton erano scesi al 3%. (La fine dell'URSS e la bolla speculativa del Nasdaq che creava miliardi di capital gain sono state il motivo per cui il bilancio statale era andato in pareggio nel 1998-2000.) "...4 miliardi di dollari al giorno...?" 4 miliardi X 360 (o 250 giorni lavorativi) = più di 1.000 miliardi di dollari circa. E' vero che nessuno ha mai visto un miliardo di dollari per cui 100 o 1.000 sembrano uguali, ma la guerra in Iraq costa finora sui 100 miliardi e si pensa che possa arrivare a 200 miliardi addizionali al massimo. Il costo totale, diretto e indiretto dei 4 aerei schiantati contro NY e Washington l'11 settembre, includendo poi anche tutte le misure di sicurezza aggiuntive a tutti i livelli adottate è PARI O SUPERIORE a quello dell'intervento in Iraq. Per le dimensioni dell'economia americana si potrebbe affrontare un altra guerra simile all'Iraq e Afganistan e si spenderebbe ancora solo al livello degli anni '50, '60, '70 e '80. Morale: l'URSS costava molto, ma molto di più di Zarqawi e soci e un altro 11 settembre da in un ora ti viene a costare quando rovesciare due regimi come quello di Saddam e dei Talebani. Il problema non è economico.

 

  By: Leofab on Mercoledì 20 Ottobre 2004 15:38

Due sono i temi che dominano i mercati in questo momento: il rialzo del petrolio e chi vincerà le elezioni presidenziali in America. L'Europa ed i suoi problemi vengono completamente ignorati ma è bene ricordarsi: la mancata osservanza del patto di stabilità da parte delle principali nazioni, la disoccupazione in aumento, la discordia quasi etnica del parlamento europeo. Come sempre la croce viene gettata sull'America che deve sopportare quasi da sola l'onere di una guerra che ha già mandato in forte deficit il bilancio federale ed il dollaro. Si parla di una spesa di 4 miliardi di dollari al giorno che se eliminato risanerebbe totalmente il deficit di bilancio e forse creerebbe un surplus. L'altro tema dominante è il prezzo del petrolio che in questo momento sta facendo una semplice correzione da ipercomprato ma che, una volta terminata potrebbe salire fino a 65$ al barile. Stranamente il rialzo del petrolio non si è ritrasferito sugli indici del costo della vita sia all'ingrosso che al dettaglio ma è possibile che i canoni con cui vengono calcolati questi indici debbano essere rivisti in base alle mutate condizioni economiche.Il mercato abbligazionario americano ha finito il rally dai minimi rischiando un nuovo ribasso oltre il supporto a 110. La Fed potrebbe ripetere l'errore degli anni '70 quando per contrastare il caro petrolio creò liquidità in eccesso e quindi un'inflazione che si avvicinò al 15%. Staremmo quindi su cedenze brevi sul mercato obligazionario per evitare il rischio dell'aumento dei tassi. Quest'aumento sarebbe deleterio per la borsa ma di grosso aiuto per il dollaro che tornerebbe ad avere un differenziale posistivo dei rendimenti rispetto all'euro ed allo yen giapponese. Resta sempre l'incognita della Cina e del cambio dello Yen giapponese in particolare. Ma pare che la Cina non voglia toccare questo cambio per almeno altri 10 anni.

 

  By: cisha on Lunedì 18 Ottobre 2004 18:17

Mentre la scorsa settimana gli analisti ed in primis JPMORGAN e gli altri pirati d'affari hanno chiamato il top sulle materie prime, trasporti e petrolio inducendo molti a vendere (non il sottoscritto che invece ha comprato) oggi vediamo tutto il settore che noi poveri buoi dovevamo vendere, ed in particolare i drilling, SU e tutti gli altri tecnologici per primi, GIU'...ed ormai si è capito che anche quest'anno a forza di perdere tempo suonare trombe stonate e allarmi vari i fondi prenderanno l'ennesima cantonata. Una domanda per GZ: ma se il settore sfonda la media a 52 settimane e si avventura nel mitico vuoto cosmico del non ancora tracciato e/o analizzato ...che si fa...ci si può fidare o no del solo istinto??

Indici europei al massimo dell'anno e Pessimismo dei gestori - gz  

  By: GZ on Lunedì 18 Ottobre 2004 16:38

Questo articolo del corriere economia di oggi da un quadro realistico di quello che pensano i gestori. E' positivo che ora che il Mibtel ha appena superato il massimo degll'anno ed è al livello più alto da giugno 2002 e la borsa inglese (la maggiore in europa) è al massimo degli ultimi due anni, prevalga il pessimismo ------------------------------------------------- ^Veri saldi o numeri da prendere con le pinze?#http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=GIUDIT13^ Veri saldi o numeri da prendere con le pinze? .... L’elaborazione di Corriere Economia su dati Bloomberg (inizio ottobre) mostra che anche i p/e dello Standard & Poor’s di New York (19), del Dax di Francoforte (22) o dell’Ibex di Madrid (15) sono sotto le medie degli ultimi anni. Che oscillano, appunto, tra 24 e 30, con punte di 40. In più c’è il paragone con i bond: i Btp a cinque anni rendono il 3,29% (nel 2000 4,67%), mentre il rendimento cedolare medio del Mib 30 è al 3,76%. Insomma se l’equilibrio tra prezzi e utili tornasse uguale a quello della media degli ultimi anni, ci sarebbe spazio per recuperi importanti ( vedi tabella ). Ma allora è vero che i prezzi oggi sono tornati convenienti? «Sì, anche se non c’è da gridare al miracolo», spiega Pietro Cirenei , direttore generale di Bipiemme gestioni . I p/e degli ultimi quattro anni, infatti, soffrono ancora delle distorsioni nate nel 1999-2000. Il paragone tra i p/e attuali e quelli di serie storiche più lunghe metterebbero in evidenza una minore distanza. «Questo non toglie validità alla tesi della convenienza - prosegue Cirenei - che funziona in tutta Europa rispetto ad altri mercati». Piazza Affari, poi, visto il particolare mix difensivo del nostro listino pieno di utilities e telecom, titoli con rapporti tra prezzo e utile tradizionalmente contenuti, continuerà ad offrire buone opportunità in un panorama di crescita economica non troppo aggressiva come quello che si può prevedere oggi. In conclusione - se la macchina tiene il passo e il petrolio scende dagli attuali record - dice ancora Cirenei, «è ragionevole aspettarsi nei prossimi 12 mesi un potenziale di performance del 10% per le nostre Borse». La sorte degli utili, strettamente legata a quella del barile, è però un punto di domanda che offusca parecchio l’orizzonte dei più inclini al pessimismo. «Mi aspetto un altro 2-3% di rialzo entro la fine dell’anno, prima delle elezioni americane - dice Giovanni Fiocchi , alla guida di Leonardo sgr - poi preferisco sospendere il giudizio». Secondo Fiocchi, nonostante l’incontestabile basso livello dei prezzi, siamo in una Borsa poco convinta, che si muove sulla base di flussi tecnici. «Certo puntando sui nostri big difensivi un piccolo risparmiatore con ragionevoli aspettative di lungo periodo non sbaglia, ma fare previsioni sugli utili, sulla crescita economica mondiale, sull’andamento delle materie prime e sul petrolio per i prossimi 12 mesi è davvero arduo». E quindi anche il ragionamento sulla convenienza attuale dei prezzi di Borsa diventa difficile. Il vero problema delle azioni si chiama disaffezione, dice Angelo Abbondio, memoria storica di Piazza Affari e presidente di Symphonia sgr . «Le azioni sono l’unica merce che, da cinque anni a questa parte, costa di meno». Il problema è che pochi le vogliono. Mentre cinque anni fa tutti le compravano, ignorando qualsiasi canone di razionalità. Ma i timori sulla crescita e il petrolio alle stelle non influenzano le sorti delle azioni? «Certo, ma non quanto il disinteresse». Ancora figlio, secondo Abbondio, delle scelte sbagliate fatte quando impazzava la moda. Quanto agli utili, conclude Abbondio, in Piazza Affari ci sono titoli come «Eni, Enel, Generali o i telefonici che nel 2005 faranno gli stessi profitti di quest’anno se non di più». Anche Fausto Artoni , gestore senior di Azimut sgr, condivide l’idea della disaffezione. E aggiunge che dire quando si riaccenderà l’interesse è difficile. «I rapporti prezzo utile si sono abbassati, ma anche appiattiti». Oggi non vengono assegnati particolari premi a chi dichiara di crescere più in fretta. «Una volta i p/e pari a 10-11 volte erano tipici di titoli difensivi, oggi sono ordinaria amministrazione anche per le banche o per settori che in, altre epoche storiche, viaggiavano sopra le 20», spiega Artoni. Perché? Di fronte all’esplosione dell’incertezza, la gente ha capito che la cosa più facile da vendere sono le azioni. Chi compra cerca ricchi dividendi, ai piani di investimento viene riservato poco entusiasmo. Oggi la Borsa è sì un posto pieno di buone occasioni, conclude Artoni, «ma potrebbe servire molta pazienza per avere la conferma che, quelli fatti adesso, erano veri affari».

 

  By: GZ on Mercoledì 13 Ottobre 2004 17:30

Sembra proprio che ci sia del valore in Generali come diceva sabato Muchetti sul corriere che ho riportato qui sotto

Assicurazioni Generali ci sarebbe del valore - gz  

  By: GZ on Domenica 10 Ottobre 2004 17:38

Ci sarebbe del valore, ma è penalizzata dal fatto di non aver tenuto niente in azioni dopo il 2002 ---------------------------------- ^Generali, l’opzione Winterthur e la sfida europea dello sviluppo#http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=ECONOMIA&doc=ILMUCCHET^ Stesso patrimonio ma meno fatturato di Axa, sul Leone pesa la differente propensione al rischio Il gruppo dirigente delle Assicurazioni Generali, confermato per tre anni nonostante le informali riserve dell'azionista Unicredito, è ora atteso alla prova dello sviluppo. La prima occasione di verifica viene dal Credit Suisse First Boston, che ha appena messo in vendita la compagnia svizzera Winterthur. Per dimensione, 22 miliardi di euro di premi, e distribuzione geografica del portafoglio, Winterthur può interessare le Generali: con una simile acquisizione, arriverebbero a una raccolta premi di 72 miliardi, seconde in Europa dietro la tedesca Allianz e davanti alla francese Axa e all'olandese Ing. Ma il gruppo elvetico è pieno di problemi e il prezzo richiesto, 5 miliardi, potrebbe rivelarsi eccessivo. Perciò Trieste ostenta scetticismo: il problema non sarebbe come finanziare l'investimento (basterebbe fare un po' di debiti e monetizzare alcune partecipazioni con emissioni obbligazionarie), ma come evitare un'altra operazione Ina-Assitalia, che dopo 3 anni non dà ancora ritorni adeguati. Dalle Generali ci si attende molto. In questo periodo i rendimenti delle assicurazioni sono in ripresa. In Italia, in particolare, i rami danni, tradizionalmente deficitari, tornano a esibire un saldo tecnico positivo grazie alle nuove tariffe e al consistente aumento della Rc auto. Favorevoli sono anche i mercati finanziari, e ciò consente massicce riprese di valore sugli investimenti dopo le batoste che costrinsero molti a vendere l'argenteria di casa. Tanto per aver un'idea: l'utile corrente del sistema è cresciuto in Italia del 65% nel 2003 e ancora sta migliorando. Rialzano così la testa le gestioni aggressive, estranee al dna di Generali. E perciò si dice, irritando il presidente Antoine Bernheim, che il Leone potrebbe guadagnare di più. Il paragone con Axa illumina bene la situazione. Al 30 giugno 2004, il gruppo francese, costruito in un quarto di secolo da Claude Bebear, dichiara un valore intrinseco (patrimonio netto rettificato ai prezzi di mercato più valore attualizzato delle polizze emesse) di 22.694 milioni. Alla stessa data, l'ultracentenario gruppo italiano viaggia sui 22.212 milioni. Come si vede, la differenza di base patrimoniale è minima. Lo stesso non si può dire del fatturato: 37,3 miliardi di premi nel primo semestre 2004 Axa, 27,2 Generali. E ben diverso è anche l'utile: 1,4 miliardi i francesi, 742 milioni gli italiani. La ragione principale che spiega la differente reazione al ciclo finanziario sta nella maggior esposizione all'investimento azionario di Axa (25% del portafoglio) rispetto a Generali (10%). Ma pesa anche un'attività assicurativo-finanziaria determinata da un uso diverso delle risorse. Meglio Axa, dunque? Dipende dalla propensione al rischio dell'azionariato, giacché pure questa medaglia ha il suo rovescio. La Borsa riconosce ad Axa un premio maggiore sul valore intrinseco. I francesi capitalizzano 32,8 miliardi rispetto ai 29,3 di Generali. E' un vantaggio che si spiega anche con il comportamento degli azionisti eccellenti: più composto e determinato quello di Finaxa, la holding delle mutue transalpine, più invasivo nello stile e incerte sulle strategie quello di Mediobanca e degli altri più recenti soci bancari. E tuttavia, nella prima parte del 2004, in parallelo con il maggior dinamismo del titolo, va notata la crescita della raccolta premi del gruppo Generali, che si traduce anche in un maggior aumento del valore intrinseco (569 milioni contro i 158 dei francesi). Un fatto che, unito all’elevato grado di copertura dei rischi, aiuta a capire come mai Standard & Poor's abbia ridotto il rating a tutte le grandi compagnie, tranne Ing e, appunto, Generali.

 

  By: Moderatore on Sabato 23 Agosto 2003 19:34

-------------Tra gli «insider» convinti del rally Doris e Zunino sono in prima fila Passando ai raggi x le più recenti comunicazioni di internal dealing emerge una prevalenza di acquisti da parte dei big delle quotate italiane ---------------------------- di Lorenzo Dilena - 23-08-2003 www.borsaefinanza.it Quali tra i manager di Piazza Affari crede fermamente nella ripresa? Se è vero quel che dicono in America, la risposta migliore a questa domanda va cercata nelle comunicazioni di internal dealing, le transazioni che i dirigenti effettuano sui titoli della propria società. E allora non ci sono dubbi, da inizio anno il più coerente e il più convinto «rialzista» è stato il presidente di Mediolanum, l’inossidabile Ennio Doris, ottimista per natura, da sempre determinato sostenitore delle ragioni della Borsa. Tra gennaio e oggi, giorno dopo giorno, Doris ha investito 3,4 milioni di euro in titoli Mediolanum: la perserveranza e la fiducia del manager, titolare di un pacchetto di circa il 29,4% della società attiva nel settore assicurativo e nel risparmio gestito. La politica del pac (i piani di accumulo del capitale in fondi) Doris l’ha applicata a se stesso e a Mediolanum: certo, in questo caso, le cifre in ballo sono incomparabili con quelle che un comune risparmiatore può mettere da parte mese dopo mese, ma quello che conta è la coerenza del comportamento. Che in questo caso è stato premiante per il capo di Mediolanum: acquistate a una media di 4,56 euro, le azioni valgono oggi il 14% in più. Al primo posto ex aequo con Doris c’è Luigi Zunino, i cui acquisti, seppure alternati a qualche dismissione, si sono concentrati nei mesi di giugno-luglio. Il patron di Risanamento ha comprato azioni per circa 3,5 milioni, tramite la controllata Domus Fin. Tra i «bullish» figura anche Giuseppe Lucchini che, nonostante le difficoltà dell’azienda di famiglia e l’esborso sostenuto per il rilancio del gruppo siderurgico, ha investito quasi 90 mila euro in azioni della Tim, di cui è consigliere di amministrazione. Hanno comprato anche, in occasione dell’aumento di capitale della Popolare di Lodi, il presidente della banca, Giovanni Benevento (128mila euro) e l’ad Gianpiero Fiorani (236mila euro). Massimo Ferrari ha sborsato oltre 65mila euro per rilevare sul mercato 150mila azioni Finecogroup, la società del gruppo Capitalia di cui è direttore generale. Tra gennaio e marzo, Paolo Panerai, presidente e azionista di maggioranza di Class Editori, ha comprato circa 170mila azioni, a prezzi via via decrescenti, per una cifra complessiva di 239,5 mila euro. CHI VENDE. Appaiono in ritirata, i manager della new economy italiana: Alberto Trondoli, direttore generale di e.Biscom, ha venduto azioni per 1,4 milioni; il consigliere Bruno Bottini ha ceduto quasi 86 mila euro di azioni Opengate. Un caso a parte costituisce Finmatica: mentre Barrie Webster, manager del gruppo Finmatica, ha smobilizzato titoli per oltre 860 mila euro, Pier Luigi Crudele, patron della società, ha acquistato, in data primo agosto, 38,7 milioni di euro. Il che contribuisce a spiegare la performance della società, che negli ultimi 20 giorni ha guadagnato circa il 5 per cento. Tra gli scettici del rally ci sono anche i vertici di Meliorbanca, la banca d’affari guidata da Pier Domenico Gallo. Quest’ultimo, tra maggio e giugno, ha venduto azioni Meliorbanca per un controvalore di 4 milioni di euro, praticamente in coincidenza con l’annuncio dell’aumento di capitale da 50 milioni. Si sono alleggeriti anche il vicepresidente della banca, Ferruccio Piantini, per oltre 2,3 milioni, e il consigliere Riccardo Riccardi, che ha venduto titoli per una somma complessiva di 667mila euro. Smobilizzazioni più modeste hanno interessato anche alti dirigenti di Banca Intesa ed Eni, mentre Vittorio Merloni ha fatto cassa per oltre 0,5 milioni. Operazione a somma (quasi) zero, invece, per Giovanni Brumana, già direttore generale e oggi consigliere della Popolare di Intra: tre mesi fa ha sottoscritto azioni della banca per 180mila euro, in coincidenza con l’operazione di aumento di capitale, ma a luglio ha smobilizzato l’investimento vendendo per un importo di 197mila. Rimangono tuttavia al suo attivo 33 mila euro di obbligazioni convertibili e relativi diritti, un investimento che, però, non può essere assimilato all’acquisto di azioni, data la protezione del capitale offerta da questo tipo di valori mobiliari.

 

  By: GZ on Mercoledì 23 Luglio 2003 23:02

il "Barometro", perlomeno quello calcolato oggi con le opinioni di chi era sul sito, direbbe Buy

 

  By: teskio01 on Sabato 12 Luglio 2003 18:14

Stock: Generali

ci si chiede se qualcuno se lo sa calcolare questo "barometro" e soprattutto se ha gli attributi per mostrarlo! non mi riferisco ad una incollatura di Mr. Arch, ma a qualcuno che ha cognizione di quello che dice... da mesi si parla dell' uovo di colombo... che non c'è mai, e anzi viene mitizzato ed esaltato quasi a sembrare di voler provocare la reazione di qualcuno che ti porti la conferma, la soluzione....la certezza! ed allora si accodano commenti, date, preveggenze di movimento...che sono in attesa di conferma! tanto rumore per nulla?