By: polipolio on Lunedì 26 Gennaio 2004 01:00
Intervento di Gary schilling su Borsa e finanza
Dice che
la deflazione è la norma di una buona economia (soprattutto in fasi di cambiamenti tecnologici)
i bond non sono ridicolmente cari e ancor meno le azioni
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Siamo rimasti in due a ragionare
di deflazione, io e Alan Greenspan.
Ma con una differenza rimarchevole:
il potente presidente
della Federal Reserve, che su sua personale
richiesta riceve mensilmente i
miei report, teme la deflazione «cattiva
», quella indotta da un difetto di domanda.
InsommaGreenspan si preoccupa
della «sindrome giapponese», quando
è la spesa limitata a far declinare i
prezzi e con essa l’economia stessa. Inoltre
la Fedsa,per avere studiato il caso nipponico
degli anni ’90, che una volta radicata,
la deflazione cattiva è difficilissima
da estirpare. Di fatto, le autorità di Tokyo
continuano a lottare da 10 anni, ma senza
grande successo. Perciò Greenspan è
deciso a lasciare i tassi ai minimi termini
per un «periodo considerevole» e fa spallucce
di fronte a chi gli rimprovera che,
così facendo, la Fed favorirà il riemergere
dell’inflazione nel corso del 2004.
LA DEFLAZIONE BUONA. Il mio punto
di vista è invece diverso: quella che io
prospettonon è la deflazione cattiva, imputabile
a una deficienza della domanda,
mala deflazione «buona», che al contrario
viene da un eccesso di offerta. In
questo caso non c’è la recessione, ma il
boom dell’economia. Mi spiego meglio:
storicamente, l’inflazione (rialzo dei
prezzi)regna soprattutto durante i periodi
di guerra, quando l’enorme spesa governativa
crea un eccesso di domanda.
Intempodi pace, al contrario, la deflazione
(discesa dei prezzi) è la regola. Questo
è particolarmente vero inepoche di grande
trasformazione tecnologica, come
l’ultima parte dell’800 o gli anni Venti o
il momento attuale, quando l’economia
è dominatada innovazioni radicali e dall’immensa
produttività ed eccesso di offerta
che esse comportano. Negli anni
Venti l’elettrificazione delle case e delle
fabbriche e la diffusione dell’automobile
portarono al raddoppio della produzione,
mentre i prezzi continuavano a scendere.
Alla fine dell’800, il miracolo fu la
conseguenza della Rivoluzione industriale
e delle ferrovie: l’economia crebbe
al tasso medio del 4% annuo per 26
anni, mentre i prezzi all’ingrosso scesero
del 50%. E cosa succede oggi? Credo
che il continuoboomdi computer, semiconduttori,
telecomunicazioni,biotecnologie
e tutte le altre nuove tecnologie sia
ancora una potente fonte di deflazione
buona. Anche l’imbarazzo provato dagli
investitori in Borsa nonè una novità: pure
nell’800 ci fu un continuo alternarsi di
bolle e crolli dei titoli delle ferrovie, ma
l’economia andò avanti comunque sulla
strada della deflazione buona.
MERCATI AZIONARI E OBBLIGAZIONI.
Come dicevo, a parte me e Greenspan,
nessuno prende più in considerazione
la possibilità di una deflazione. Eppure i
dati sembrerebbero suggerire l’opposto:
i prezzi al consumo sono scesi dello 0,2%
a novembre. E su base annua l’inflazione
tendenziale è attestata al minimo dal
1966 (+1,1%). Inoltre, 19 delle 67 componenti
dell’indice dei prezzi sono ora chiaramente
in deflazione. Nonostante questo,
il nuovo rialzo dei titoli del debito
(cioè il rinnovato calo dei tassi) è vissuto
dai più come un’aberrazione temporanea.
Mi permetto di dissentire: è la deflazione
imminente che sta spingendo verso
il basso i rendimenti dei titoli del debito,
e non una distorsione passeggera.
Con la deflazione all’1-2% che prevedo, i
tassi a più lungo termine scenderanno
ancora, probabilmente verso il 3%. Perciò
i bond governativi non sono affatto
così rischiosi come tutti dicono e, anzi,
potrebbero apprezzarsi ancora un po’.
C’è infine da domandarsi quali siano le
implicazioni per la Borsa, e la faccenda
non è semplice. Nel breve termine, la
transizione verso la deflazione potrebbe
essere dolorosa perché nonci siamo abituati.
Manelmedio periodo credo che l’azionario
sia abbastanza attraente: i tassi
d’interesse minimi, infatti, giustificano
quotazioni alte, come sono quelle attuali
della Borsa americana. Questo è ovvio,
perché il confronto si fa coi titoli del debito.
Inoltre i dividendi, grazie anche alle
agevolazioni fiscali, saranno rimpolpati.
Così, fra dividendo e apprezzamento in
Borsanon sarei stupito se nel medio periodo
gli investitori ottenessero il 5,5-6,5%
l’anno in termini reali (cioè aggiustato
per la deflazione). Certo, non è il 20% a
cui erano abituati durante la bolla, ma
non è neppure poco.
*Presidente di A. Gary Shilling & Co.,
ed editore del report «Insight»
www.agaryshilling.com