By: ditropan on Venerdì 18 Novembre 2005 00:58
Derivati: altro disastro
Maurizio Blondet
17/11/2005
PECHINO - Il prezzo del rame è schizzato alle stelle, il signor Liu Qibing è scomparso da giorni, e il London Metal Exchange (LME) è sull'orlo di un abisso.
Fatto è che il signor Liu Qibing si è esposto enormemente, vendendo «short» (allo scoperto) fra le 100 e le 200 mila tonnellate di rame.
Rame che non aveva, ma che pensava di comprare dopo il ribasso: aveva scommesso infatti - questo è il senso delle vendite short - sul ribasso del metallo rosso, utilizzando alcuni dei più semplici prodotti derivati finanziari, i future e gli swap.
Invece il rame è rincarato, e Liu non si è fatto più vedere.
Ora, in mancanza di sue manovre, 100-200 mila tonnellate di rame dovrebbero essere consegnate fisicamente nei magazzini del LME (in Corea e a Singapore) entro il 21 dicembre prossimo.
Pochi sperano che Liu riappaia e compri, ai prezzi maggiorati, quell'enorme cumulo di lingotti da consegnare, regolarizzando la sua posizione: forse è già stato inghiottito dal Laogai, il Gulag cinese; forse ha ricevuto in testa il proiettile di prammatica, il cui costo sarà addebitato ai familiari.
Il guaio è che Liu Qibing non è un privato speculatore.
E' il trader che opera nel settore metalli per lo State Reserve Bureau (SRB), l'ente di Stato cinese che gestisce e controlla l'approvvigionamento di materie prime strategiche.
E il guaio aggiuntivo, ora, è che lo statale SRB sostiene di conoscere appena mister Liu, e di non averlo incaricato del trading.
«Le sue posizioni short sono le sue, non le nostre», ha detto alla Reuter un portavoce dell'ente di Pechino.
La scusa ovviamente non regge.
Liu era alla Borsa Metalli di Londra da 10 anni, e tutti lo conoscevano come l'uomo del SRB.
Lo Stato cinese controlla e autorizza uno per uno i privati e le aziende cinesi che operano sui mercati internazionali.
Liu non può che essere stato autorizzato, non solo; aveva l'obbligo di sottoporre le sue esposizioni commerciali alle autorità regolatrici cinesi.
D'altra parte, per fare commerci di tali volumi, non poteva non avere - e non esibire - le prove che la sua solvibilità era garantita dall'organizzazione per cui diceva di lavorare.
Dunque, sarebbe lo Stato cinese a sobbarcarsi le conseguenze, comprando chilo per chilo, a prezzi crescenti, il rame da consegnare come da contratto.
Ma Pechino sembra intenzionata a disconoscere Liu e i suoi contratti; anche se ne frattempo ha messo all'asta un po' di rame delle sue riserve strategiche con l'evidente intento (fallito) di far calare i prezzi, ed ha proclamato di avere riserve «molte volte» maggiori delle promesse di mister Liu; ufficialmente il regime continua a ripetere che il solo scopo del suo SRB è quello di «stabilizzare» i prezzi mondiali dei metalli, con interventi marginali e non con arrischiate speculazioni.
Che consegni la merce nella sua totalità, è impossibile.
Ecco perché la Borsa dei Metalli di Londra trema: un altro, ennesimo buco sta per aprirsi nel mercato senza regole dei derivati.
A conti fatti, nel caso migliore, un buco nero di 356 miliardi di euro: tanto valgono 100 mila tonnellate di rame ai prezzi correnti.
Con effetti aggiuntivi di scarsità drammatica nelle forniture industriali, crisi, chiusura di aziende, licenziamenti.
E' un altro lieto risultato della globalizzazione.
L'abolizione imposta del controllo sui cambi, mercati finanziari «competitivi» e «creativi» su scala mondiale, e la tecnologia informatica, hanno creato mille nuove opportunità per ogni tipo di malversazione, al di fuori di ogni controllo: il riciclaggio di denaro sporco avviene soprattutto grazie alla finanza derivata, e si calcola che vi faccia passare 3 mila miliardi di dollari: un capitale siderale che alimenta il mercato della droga, delle armi, degli esseri umani e della prostituzione, delle contraffazioni di marchi e di medicinali, la violazione dei brevetti da Paesi con sistemi legali semi-barbari quale appunto la Cina.
Uno Stato delinquenziale cui sono state spalancate le porte del «mercato», perché ha «un ruolo-guida nell'economia mondiale» e (come dice il nostro ministro Fini, detto Kippà) «è impossibile isolarla».
Allora va bene così; si chiama a giocare al casinò del mondo un noto baro.
Ed ora, patetico, il Financial Times invita il baro di Pechino a «una maggiore trasparenza», a più «responsabilità», perché la roulette di Londra possa continuare a girare (1).
Un giorno forse si potrà fare il conto di quanto la globalizzazione ha nuociuto agli esseri umani e alla stessa economia: quanti capitali ha distrutto e incenerito e quanti uomini ha ammazzato la sua disumana «efficienza competitiva».
Ma oggi no: questo sistema imposto, che porta via ogni certezza della vita alle persone normali - che vedono il loro posto di lavoro emigrare in Cina e India, che vedono morire i loro risparmi in qualche speculazione in corso all'altro capo del mondo - piace ai padroni del vapore, e a loro - a qualcuno di loro - porta profitti.
Il tempo non è maturo; bisognerà aspettare la catastrofe.
Maurizio Blondet
Note
1) R. McGregor e Geoff Dyer, «China denies links to trader», Financial Times, 16 novembre 2005.