Le paure dell’industria dell’auto tedesca. di F.Bosco
L’industria dell’auto è il gioiello più vistoso dell’industria tedesca, ma oggi il settore è all’inizio di una crisi che lo metterà duramente alla prova, e insieme a esso l’economia della Germania intera. Il calo della crescita cinese, la concorrenza asiatica, il Dieselgate, il gap tecnologico, il rischio hard-Brexit e la minaccia dei dazi USA sono le sfide principali di un’industria che si trova ad affrontare la prima crisi esistenziale dopo decenni di successi ininterrotti. Nel 2015 l’automotive tedesco ha retto i contraccolpi del Dieselgate. Risarcimenti e perdita di reputazione colpirono duramente, ma soprattutto grazie alla domanda cinese vendite e profitti sono rimasti alti.
Le cose sono cambiate a metà dell’anno scorso: l’industria auto tedesca è stata colpita da un calo delle vendite nel terzo e nel quarto trimestre del 2018. Il calo è arrivato proprio nel momento in cui i marchi dell’automotive dovevano trovare risorse da investire in nuove tecnologie per contrastare la concorrenza della Silicon Valley americana e dei produttori asiatici (Giappone, Corea del Sud e ora anche la Cina). A far abbassare vendite e profitti è stata l’ondata protezionistica seguita alla guerra commerciale. L’industria dell’auto tedesca oggi è molto globalizzata, sia nella supply chain che nei mercati di sbocco. Per esempio, la BMW ha 36 fabbriche sparse in 4 continenti, i SUV venduti in Europa e Cina vengono fabbricati negli Stati Uniti.
Quando Donald Trump ha introdotto i dazi contro la Cina, i cinesi hanno reagito introducendo a loro volta dazi del 40% sulle auto importate dagli USA. Il dazio cinese agli americani ha colpito i tedeschi. La BMW ci ha rimesso 300 milioni di euro, una perdita difficile da gestire per la casa bavarese. L’altra minaccia sul fronte delle tariffe doganali viene dalla Brexit. In caso di una Brexit senza nessun accordo, tra il Regno Unito e l’UE entrerebbero automaticamente in vigore i dazi del WTO. Per i produttori di auto tedesche quello d’oltremanica è il quarto mercato di sbocco, il contraccolpo sarebbe micidiale. Tra l’altro, la BMW in UK possiede la Mini e la Rolls Royce. E poi c’è Trump, che da qui a maggio deve decidere se introdurre o meno dazi del 25% sulle auto importate dall’Unione Europa (adesso è il 2,5%). Ancora non è chiaro fino a che punto si spingerà, tutto potrebbe risolversi con un nuovo accordo commerciale senza che la minaccia venga mai attuata, ma il rischio di perdere miliardi di dollari di interscambio è concreto.
Tornando a guardare l’Estremo Oriente, nel 2018 le vendite di auto tedesche verso la Cina sono scese del 2,8%. La sola Volkswagen si aspettava una crescita del 4% ma si è trovata invece a fare i conti con un misero 0,5%. Con la crescita cinese in calo, anche il 2019 non si prospetta come un anno in cui si potrà contare sul traino della domanda cinese. Dalla Cina arriva un altro problema. L’anno scorso Beijing ha imposto delle quote ai suoi produttori nazionali, la richiesta è vendere una certa percentuale di vetture ibride ed elettriche sul totale, pena il pagamento di multe salate. I produttori nazionali sono in grado di soddisfare la crescenta richiesta di auto elettriche e ibride, l’obiettivo dei cinesi è proprio quello di stimolare lo sviluppo tecnologico e proiettarsi verso le auto del futuro.
Per i giganti dell’auto tedeschi questo invece è un problema. Negli ultimi decenni l’automotive tedesco ha puntato molto sul diesel — anche falsando i test sulle emissioni — e i produttori si sono adagiati su una tecnologia sostanzialmente superata trascurando lo sviluppo di quelle nuove. Adesso devono sbrigarsi per colmare il gap tecnologico e convertire le produzioni. Il problema però è che i mirabolanti modelli presentati alle fiere sono ancora lontani dalla produzione di massa, probabilmente ci vorranno anni. Prima del 2021 sulle strade non sono previste Mercedes-Benz e BMW nuove e completamente elettriche.
La minaccia tecnologica arriva anche dai produttori di oltreoceano. Secondo gli esperti, per quel che riguarda le innovazioni ingegneristiche Tesla è 2–3 anni avanti rispetto alle auto tedesche. Forse è un’esagerazione, ma la tendenza ha il suo riscontro nel mercato. Negli USA i produttori della California stanno sorpassando i rivali nel settore delle auto elettriche. Nel settore delle auto di lusso, Tesla sta addirittura sorpassando i modelli di riferimento a benzina di BMW, Mercedes e Porsche. Oltre a Tesla, c’è l’assalto dei grandi giganti dell’high tech: Uber, Apple e Google stanno investendo cifre pazzesche nello sviluppo di auto a guida autonoma. Oggi sembra una prospettiva lontana, ma già in passato si è visto che la disruptive innovation quando arriva non fa sconti e si afferma in brevissimo tempo.
Adesso i produttori tedeschi stanno investendo nel tentativo di recuperare il gap tecnologico. La Volkswagen investirà 30 miliardi di euro in quattro anni per sviluppare auto elettriche. Il CEO di Volkswagen ha detto che per trasformare tutto il settore ci vogliono circa 100 miliardi di euro. La minaccia ha indotto le aziende a cercare forme di cooperazione impensabili solo pochi anni fa. Ieri hanno trovato conferma le voci di un accordo tra Volkswagen e Toyota per fare di Argo il nucleo di una joint venture paritetica, in una forma simile a quella già esistente tra Volkswagen e Ford sempre per lo sviluppo di auto a guida autonoma. Anche BMW e Daimler sono vicine a un accordo per la creazione di una joint venture, dopo aver già unite le sussidiarie di car-sharing.
L’automotive tedesco ha preso atto dell’urgenza della situazione, scommettendo su nuovi prodotti, nuove strutture e mobilitando enormi investimenti tecnologici. Ma con l’aumentare dei rischi economici e geopolitici, questo potrebbe non essere sufficiente a salvarlo da una tempesta perfetta che potrebbe costringere tutti a un severo ridimensionamento. Mai dimenticare la storia di Nokia e BlackBerry. Adesso il rischio più immediato è quello doganale. La minaccia di Trump non va presa alla leggera, la possibilità che la metta in pratica è concreta, così come quella di una Brexit senza nessun accordo.