By: shabib on Mercoledì 25 Settembre 2013 13:19
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Terremoti ‘periodici’ prodotti in laboratorio
Una nuova teoria sulle catastrofi naturali dello Ieni-Cnr conquista la copertina di Nature. Lo studio, realizzato in collaborazione con l’Università di Yale e Cornell e con l’Air Force Reserach Laboratory (Usa), apre nuovi scenari per la comprensione di sismi e altri eventi calamitosi
Sismi, frane, valanghe sebbene siano fenomeni non prevedibili potrebbero in alcuni casi rispettare un’agenda. E’ quanto emerge, per la prima volta, da uno studio dell’Istituto per l’energetica e le interfasi del Consiglio nazionale delle ricerche (Ieni-Cnr) di Milano, in uscita su Nature. L’esperimento, realizzato in collaborazione con l’Università di Yale e Cornell e con l’Afrl-Air Force Research Laboratory (Usa), si è guadagnato la copertina della prestigiosa rivista americana.
“Sappiamo che le catastrofi sono il risultato del lento accumularsi di una perturbazione esterna: la neve che si deposita sul pendio o il moto di una faglia”, spiega Stefano Zapperi, coautore dello studio e ricercatore dello Ieni-Cnr. “In laboratorio i nostri collaboratori dell’Afrl hanno prodotto dei micro-terremoti di intensità variabile comprimendo colonnine di nichel di dimensioni micrometriche e, come in altri esperimenti di questo tipo, abbiamo osservato che avvenivano in maniera del tutto casuale”.
Variando la velocità di compressione delle colonnine, i ricercatori hanno però “constatato che esiste un regime in cui i micro-terremoti avvengono in maniera quasi periodica, come se seguissero un ‘calendarioʼ ”, prosegue Zapperi. “Abbiamo inoltre dimostrato teoricamente che tale periodicità è dovuta alla competizione tra due effetti: la risposta ‘catastrofica’ dei micro-terremoti e una risposta lenta di sottofondo, che nella maggior parte dei casi rimane inosservata. Quando la risposta di sottofondo avviene alla stessa velocità della sollecitazione esterna, l’evento catastrofico si verifica in modo quasi periodico”.
Secondo la teoria proposta questo meccanismo è generale e dovrebbe valere anche per sistemi di dimensioni molto più grandi. “Lungo una faglia, ad esempio,tra un terremoto e un altro, l'energia viene spesso rilasciata anche tramite il lento fluire di acqua. La teoria suggerisce che se la velocità del flusso fosse simile a quella della faglia i terremoti potrebbero avvenire in modo quasi-periodico”, precisa Zapperi.
La teoria potrebbe spiegare alcune passate osservazioni di terremoti periodici: “Ma per questo sarà necessario rianalizzare e reinterpretare una vasta mole di dati sperimentali”, conclude il ricercatore dello Ieni-Cnr, a capo del progetto 'Sizeffects', finanziato dall'European Reseach Council con lo scopo proprio di capire come avviene la risposta meccanica dei materiali dalla scala atomica a quella macroscopica.
Roma, 24 ottobre 2012
La scheda
Chi: Istituto per l’energetica e le interfasi del Cnr di Milano
Che cosa: Studio a livello microscopico sulla periodicità delle catastrofi.
Quasi-periodic events in crystal plasticity
and the self-organized avalanche oscillator, Nature , 25 October 2012 Vol. 490, No. 7421.
Per informazioni: Stefano Zapperi, Ieni-Cnr, tel. 02/66173, e-mail: stefano.zapperi@cnr.it
http://www.stampa.cnr.it/docUfficioStampa/comunicati/italiano/2012/Ottobre/82_ott_2012.htm
Prevedere un terremoto è difficile, specialmente nel futuro". Lo dicono, con tragica ironia, i sismologi, frustrati dall'impossibilità di predire i movimenti tellurici della terra e di evitare, così, danni e vittime. Ma dopo gli eventi drammatici degli ultimi anni, forse qualcosa nell'ambito della prevenzione sta cambiando.
"All'indomani della scossa e dello tsunami del 2004, che hanno devastato l'Indonesia, ho provato quasi vergogna: si era potuta verificare una catastrofe del genere nonostante tutti gli sforzi compiuti dalla ricerca", ammette Ross Stein, geofisico dell'U.S. Geological Survay, l'agenzia scientifica del governo degli Stati Uniti. Eppure, aggiunge, ora gli esperti hanno scoperto qualcosa di più rispetto al passato. Tutto merito - si fa per dire - del violentissimo terremoto dell'Oceano Indiano e di quelli che hanno poi colpito Cina, Cile, Giappone e Nuova Zelanda.
La prima novità riguarda le scosse di assestamento che si susseguono dopo quella principale. Finora sono sempre state considerate come gli ultimi singulti di un terremoto in fase terminale. Invece, andrebbero valutate come prodromi di ulteriori terremoti. Stein prende ad esempio i sismi avvenuti in Cile, nel 2010, e in Giappone, l'anno seguente. "Anche se sono stati terribili, in realtà potremmo quasi dire che hanno mancato il bersaglio", dice il geofisico. Entrambi, infatti, hanno avuto un epicentro lontano circa 300 miglia (quasi 500 km) dalle popolosissime capitali, Santiago e Tokyo.
Una bella fortuna. Sì, ma non troppo, dice Stein. "I nostri studi indicano che ora le due città sono a rischio, proprio perchè quei terremoti e le scosse di assestamento successive hanno sottoposto a forte stress le faglie". Un fattore di pericolo elevato, perchè le fratture nella roccia, sotto pressione, potrebbero scivolare, scatenando sismi enormi che colpirebbero le due metropoli. "In un'area vasta come quella della capitale giapponese, il rischio è aumentato 2 o 3 volte dopo lo shock del 2011".
Ma in questo quadro preoccupante emerge una buona notizia: lo schema ricorrente nella frequenza delle scosse di assestamento dopo i megaterremoti potrebbe dare modo agli scienziati di calcolare le probabilità che se ne verifichi un altro nella stessa zona con una certa precisione. Non è però questa l'unica lezione imparata dai sismologi. Il terremoto del Giappone, infatti, è stato provocato dal margine di una placca tettonica nell'Oceano Pacifico. Gli scienziati la conoscevano, ma erano convinti che potesse fratturarsi solo in un determinato punto alla volta. Ma si sbagliavano.
"A Tohoku tutta la placca si è fratturata e si è creato un terremoto molto più vasto di quanto avremmo mai potuto immaginare", ammette Ned Field, collega di Stein. Da allora, i geofisici analizzano il sistema di faglie nel suo insieme e sanno che quando una parte arriva al punto di frattura, le altre la seguiranno. "Ci siamo resi conto che anzichè produrre un terremoto isolato di magnitudo 7, può capitare che le faglie si uniscano le une alle altre scatenando terremoti assai più ampi".
In sostanza, gli esperti hanno imparato che un sisma devastante può essere contagioso, sia nell'immediato, sia a distanza di mesi o anni. Una nuova consapevolezza che ha delle implicazioni importanti. Sulla scorta di queste nozioni, Ned Field sta infatti ridisegnando la mappa dei territori a rischio-terremoto in California: dovrebbe terminare il suo lavoro entro la fine dell'anno. L'ultima versione si basa sull'idea che se un sisma ha colpito di recente una zona, le possibilità che ne avvenga un altro nelle vicinanze aumentano.
Così i residenti delle aree più esposte potranno sottoscrivere un'assicurazione sulla casa oppure fare degli interventi antisismici per renderla più sicura.
http://scienza.panorama.it/spazio/extremamente/Ecco-quello-che-abbiamo-imparato-sui-terremoti