By: guidone on Venerdì 30 Agosto 2013 11:30
Il 2 Agosto ha avuto il tempismo degno della leggenda del trading.
"Un consistente numero di analisti è affetto da una patologia contagiosa: l’asimmetria analitica. Si può guarire, ma lo sforzo da compiere è notevole. Facili da cogliere i sintomi: si tende ad avere una visione unipolare. Negli anni recenti, questo disturbo, che nella sociologia assume i contorni della dissonanza cognitiva, si manifesta in termini di amplificazione del portato dei segnali ribassisti e di negazione della valenza dei segnali rialzisti.
Gli esempi sono copiosi: si denuncia l’ipercomprato del mercato, ma si evita di comprare quando si scende in ipervenduto. Si urla al crollo imminente quando si taglia verso il basso una media mobile, ma si evita di comprare quando la medesima è riattraversata verso l’alto. Si gira alla larga dal mercato quando si approcciano finestre stagionali sfavorevoli (“Sell in May”…), ma si rimane egualmente distanti quando la stagionalità torna ad arridere. E così via.
Di recente, questo curioso fenomeno si è manifestato a proposito del famigerato “Hindenburg Omen”. Un pattern del quale ci siamo qui occupati e che a ben vedere gode di una percentuale di successo abbastanza irrisoria. Non ha influito l’inconsistenza di questa recente presunta minaccia, né il precedente clamorosamente sbagliato del 24 luglio 2012: un giorno prima del minimo.
Ma a distanza di oltre due mesi, nessuno si è preso la briga di avvisare i “poveri” investitori del superamento della minaccia. Insomma, si invitano i passeggeri dell’aereo ad assumere la posizione di crash per una forte turbolenza, ma una volta superato il pericolo il pilota si dimentica di invitarli ad assumere una posizione naturale. Crampi e ansie fino all’atterraggio…
L’asimmetria analitica ha colpito in modo particolarmente pesante con riferimento ad un indicatore macro-economico, giustamente evocato un anno fa di questi tempi: gli ordini di beni durevoli, con esclusione della spesa per la difesa e per l’acquisto di velivoli. Al netto, è un misuratore abbastanza credibile della congiuntura economica: se famiglie e imprese hanno fiducia nel futuro compreranno beni ad utilità pluriennale; investiranno, insomma. E anche nel mercato azionario.
Il grafico dell’indicatore in questione, in effetti, ha il pregio di manifestare tendenze molto lineari; che finiscono con il coincidere con le tendenze di Wall Street. Difatti gli ordini di beni durevoli hanno tagliato verso il basso a novembre 2000 e a luglio 2008: non proprio sui massimi di mercato, ma giusto in tempo per evitare pesanti bagni di sangue.
Questo indicatore è tornato alla ribalta giusto un anno fa, quando penetrò la sua media mobile di sostegno, confermando le ansie che serpeggiavano di questi tempi (qualcuno ricorderà l’acceso dibattito sulla stessa sopravvivenza dell’euro). Un segnale ribassista? Certo.
Tuttavia quel segnale è stato rovesciato a novembre, quando gli ordini di beni durevoli risalirono oltre la media mobile. A gennaio questo dato ha raggiunto un nuovo massimo assoluto, migliorato proprio con la recente release di giugno. Dove sono gli inviti di segno opposto rispetto a quelli – autorevoli e qualificati – di un anno fa?
Questa chiacchierata sotto all’ombrellone, non tanto per il perfido gusto di ironizzare sulle magre fortune dei ribassisti, in crisi da più di quattro anni; quanto per ricordare che la previsione sull’andamento futuro del mercato è esercizio troppo complesso per essere ridotto all’esame di un solo indicatore. Fosse anche il più brillante e dal track record inappuntabile