By: DOTT JOSE on Mercoledì 11 Settembre 2002 13:03
sentite sto Vidal ( e lo stesso del bagnoschiuma ?)
"America, stai pagando la tua guerra perpetua"
Lo scrittore Gore Vidal dice agli americani che l'Empire predestinato alla
rovina non è una legge di gravità, volendo si può rinunciare all'Empire a
favore della libertà e del benessere
"Non siamo andati in Afghanistan per catturare Osama ma perché i talebani
rinviavano all'infinito la costruzione di un oleodotto che avrebbe
trasportato il petrolio del Caspio. E' il momento di ritirare il nostro
Empire: ci è costato miliardi di dollari e non serve a
nessuno"
Gore Vidal, 76 anni, ha passato la vita a criticare gli impulsi imperiali
americani, e attraverso una ventina di romanzi e centinaia di saggi ha
sostenuto con forza la necessità che gli Stati Uniti tornino alle loro
radici jeffersoniane, la smettano di immischiarsi nelle faccende di altre
nazioni e in quelle private dei propri
cittadini. E' questo il filo conduttore dell'ultimo best-seller di Vidal -
una raccolta di saggi pubblicati sull'onda dell'11 settembre dal titolo
Perpetual War for Perpetual Peace: How We Got to Be so Hated ("Guerra
perpetua per la pace perpetua: come siamo arrivati a essere tanto odiati",
tradotto in Italia con il titolo "La fine della
libertà"). Per rispondere all'interrogativo, Vidal parte dal presupposto che
non abbiamo il diritto di domandarci che cosa abbia motivato gli autori dei
due più grandi attacchi terroristici della nostra storia, la bomba di
Oklahoma City nel 1995 e la distruzione delle Torri Gemelle nel settembre
scorso. "E' una legge della fisica -
dice Vidal -: non esiste in natura azione senza reazione. La stessa cosa
sembra valere per la natura umana, cioè la storia". L'"azione" cui Vidal si
riferisce è la prepotenza dell'Empire americano all'estero (illustrato da
venti pagine di grafici sulle
avventure militari statunitensi oltreoceano dalla fine della seconda guerra
mondiale) e l'innesto di uno stato di polizia in patria. L'inevitabile
"reazione" non è altro che l'opera sanguinaria frutto delle mani di Osama
bin Laden e di Timothy McVeigh. "Ciascuno -
scrive - arrabbiato per le avventate aggressioni del nostro governo ad altre
società", e quindi "provocato" a rispondere con orrenda violenza.
-Lei sta sostenendo che i tremila civili americani uccisi l'11 settembre si
meritavano in qualche modo il loro destino?
"Non credo che noi, popolo americano, ci meritassimo ciò che è accaduto. Né
ci meritiamo i governi che abbiamo avuto negli ultimi quarant'anni. Sono i
nostri governi ad averci procurato tutto questo con le loro azioni in giro
per il mondo. Nel mio nuovo libro c'è un elenco che dà al lettore un'idea di
quanto siamo stati impegnati in
interventi militari. Purtroppo riceviamo soltanto la disinformazione dei
canali ufficiali. Gli americani non immaginano l'entità delle malefatte del
loro governo. Il numero di interventi militari messi a segno contro altri
Paesi senza essere stati provocati ammonta a oltre 250 dal 1947-48. Sono
interventi di rilievo, da Panama all'Iran. E
l'elenco non è neppure completo. Non comprende paesi come il Cile, perché è
stata un'operazione della Cia. Mi sono limitato a elencare gli attacchi
militari".
"Il governo gioca con la relativa innocenza degli americani, o per essere
più precisi con la loro ignoranza. Ecco probabilmente il motivo per cui
dalla seconda guerra mondiale la geografia non viene praticamente più
insegnata: per mantenere la gente all'oscuro su dove stiamo bombardando.
Perché la Enron lo vuole. O perché la Unocal, la grande compagnia
petrolifera, vuole una guerra da qualche parte".
"E la gente dei Paesi che ricevono le nostre bombe si arrabbia. Gli afgani
non avevano niente a che fare con quanto è successo al nostro Paese l'11
settembre. L'Arabia Saudita invece sì. Quando siamo andati in Afghanistan,
al nostro capo delle operazioni militari è stato chiesto quanto tempo ci
sarebbe voluto per trovare Osama bin Laden. E il generale, piuttosto
sorpreso, ha risposto che non era quello il
motivo per cui eravamo lì".
-"Ah no? E qual è la storia allora? Ci hanno così spiegato che i talebani
sono gente molto molto cattiva, che tratta molto male le donne. A loro non
interessano sicuramente i diritti delle donne, mentre noi in fatto di
diritti delle donne siamo molto forti; e dobbiamo essere con Bush su questa
cosa perché sta togliendo quei sacchi di patate dalla testa delle donne".
"Beh, no, la storia non è proprio così. La storia vera è che questa è una
stretta imperiale sulle risorse energetiche. Fino a oggi la nostra
principale fonte di petrolio importato è stato il Golfo Persico. Siamo
andati là, in Afghanistan, non per prendere Osama e infliggergli la nostra
vendetta. Ci siamo andati in parte perché i
talebani stavano diventando troppo inaffidabili. E poi perché la Unocal, la
compagnia californiana, aveva stipulato un accordo con loro per un oleodotto
che trasportasse il petrolio del Caspio, la riserva petrolifera più ricca al
mondo. Con l'oleodotto volevano fare arrivare il petrolio in Pakistan, a
Karachi, passando dall'Afghanistan, e da lì mandarlo via mare in Cina".
-Eppure al di là dell'elenco degli interventi militari americani riportati
nel suo libro, non crede che esistano altre forze del male?
"Oh sì. Ma qui viene scelto il gruppo sbagliato, una delle famiglie più
ricche al mondo - i bin Laden. Sono estremamente vicini alla famiglia reale
dell'Arabia Saudita, che ha portato noi americani a farle da guardia del
corpo contro possibili rivolte da parte del suo stesso popolo. Un popolo
ancora più fondamentalista di quanto non lo
siano i suoi sovrani. Abbiamo quindi a che fare con un'entità potente.
Quello che non è vero però è il mito che gente come lui sbuchi dal nulla".
-Eppure gli americani sembrano abbastanza sensibili a quella sorta di
sciovinistico "club del nemico del mese" che viene fuori da
Washington. Tuttora la maggioranza dichiara di appoggiare George W.
Bush, soprattutto sulla questione della guerra.
"Spero che lei non creda alle cifre. Non sa come vengono manipolati i
sondaggi? E' semplice. Dopo l'11 settembre il paese era veramente scioccato
e terrorizzato. Bush fa una misera danza di guerra e parla dell'"asse del
male" e di tutti i paesi che ha intenzione di braccare. E lo vediamo lì che
reagisce, che bombarda l'Afghanistan.
Be', potrebbe anche bombardare la Danimarca. La Danimarca non ha avuto a che
fare con l'11 settembre? Nemmeno l'Afghanistan. Non gli afghani, almeno.
Quindi ci domandano sempre la stessa cosa: sei orgoglioso del tuo
presidente? Sei con lui mentre ci difende? Ma finiranno per capirlo".
-Finiranno chi? Gli americani?
"Sì, gli americani. Ai quali fanno queste domande veloci. "Lei approva
l'operato del presidente"? "Oh, sì, sì. O sì, ha fatto saltare in aria tutte
quelle città con i nomi strani...". Ma ciò non significa che amino Bush.
Quando lascerà l'incarico sarà il
presidente più impopolare di tutta la storia. Le istituzioni erano troppo
pronte con il Patriot Act (la legislazione di emergenza anti-terrorismo
approvata a fine ottobre 2001 tra le accuse di molti democratici, giuristi e
delle associazioni per i diritti civili, ndr)
appena siamo stati colpiti. Bush e i suoi uomini erano pronti a togliere l'
habeas corpus, il legittimo processo, l'inviolabilità delle comunicazioni
tra avvocato difensore e assistito. E questo significa che sono già al loro
stato di polizia".
-Secondo lei gli Stati Uniti dovrebbero prendere armi e bagagli e tornarsene
a casa da tutto il pianeta?
"Sì, senza eccezione alcuna. Noi non siamo i poliziotti del mondo. Non
riusciamo nemmeno a mantenere il controllo negli Stati Uniti, salvo per
rubare denaro alla gente e in generale provocare distruzione. Nella maggior
parte del Paese la polizia è vista
abbastanza spesso, e giustamente, come il nemico. Credo che sia il momento
di mandare in pensione l'Empire - non sta facendo del bene a nessuno. Ci è
costato cifre incalcolabili, e questo mi fa pensare che sia destinato a
crollare da solo perché alla fine non saranno rimasti abbastanza soldi per
farlo funzionare".