costano di più di quello che rendono - gz
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By: GZ on Giovedì 08 Agosto 2002 13:10
la cosa straordinaria del rapporto mediobanca, l'unico che faccia questa analisi in italia, è che praticamente ogni anno riassume la situazione delle aziende italiane principali in questo modo:
il costo medio del capitale è l'8% (ad es quest'anno) e il rendimento medio sul capitale investito il 5%.
Quindi il saldo totale di 1600 aziende italiane analizzate è che si è distrutto valore per, ad es quest'anno, 10 miliardi di euro.
La cosa curiosa è che ci si preoccupa molto e solo dell'america e del fatto che guadagnino o meno le aziende americane, ma in un paese come l'italia le aziende medio grandi costano di più di quello che rendono e se va bene pareggiano.
Ed è sempre stato così, anche negli anni d'oro della borsa.
Poi dicono che la valutazione del mercato e il P/E è quello che conta.
------------------------------------------------------------------------------------------Rapporto Mediobanca: nel 2001 le industrie hanno distrutto valore per 10 miliardi di euro
MILANO - Industrie deboli. Che investono molto nella finanza, poco nel loro futuro. E si ritrovano, adesso, un doppio conto da pagare. Vendono meno sui mercati internazionali. E però non «compensano» più su altri fronti: il pessimo vento delle Borse colpisce in pieno anche qui. Risultato: gli utili ne escono dimezzati, il capitale finisce per costare più di quel che rende. Per gli azionisti, in altre parole, non c’è creazione, ma distruzione di valore.
LA FRENATA - Non è brillante, quest’anno, la tradizionale fotografia scattata da Mediobanca all’industria italiana. Non così drammatica come la congiuntura poteva lasciar pensare, ma certamente nemmeno rassicurante. Perché quel che ne esce (e il campione è più che rappresentativo: i «Dati cumulativi di 1925 società italiane» coprono all’incirca la metà dell’universo aziendale italiano) è un Paese il cui sistema produttivo marcia a due velocità. E con evidenti problemi strutturali.
Da una parte c’è il terziario, che continua a svilupparsi e a produrre buoni utili. Dall’altra l’industria in senso stretto, che invece non appare in buona salute. Cosicché si può certo dire che l’azienda Italia, nel complesso, tiene. Che, anzi, continua a crescere. Ma quel fatturato 2001 che appare in aumento del 3,3% (contro il 17,7% dell’anno precedente) nasconde due diverse realtà: disaggregando i dati del campione, gli analisti di Mediobanca mostrano un terziario che arriva al 14,2% (comunque in leggero rallentamento rispetto al 17,4% nel 2000) e un’industria che è invece ferma allo 0,8% (era al 17,8 un anno fa). E se il mercato interno, tutto sommato, non va malissimo come si temeva (il fatturato-Italia mantiene un »3,8% dopo il boom del 18,1% nel 2000), la spia si accende sul fronte export: l’incremento, rispetto a un anno fa, è stato di appena l’1,8%.
UTILI DAL TERZIARIO - Il trend non cambia con gli altri indicatori. A partire dalla redditività. C’è un crollo, generalizzato, degli utili netti: dai 20,664 miliardi registrati nel 2000 ai 9,913 archiviati nel 2001 ne sono stati bruciati la metà (-52% il dato esatto). E se è vero che qui, dove è forte l’effetto del cambiamento di segno delle partite straordinarie (attive un anno fa, passive ora), non ci sono sensibili differenze tra industria e terziario, il dualismo torna marcato quando si passa ad analizzare il risultato corrente. L’industria continua a perdere, in sostanza, il terziario migliora. E non di poco: tra gli 8 miliardi del 2000 e i 9,141 del 2001 c’è un incremento che arriva al 14,2%.
È ancora un’ottima performance. Non basta, tuttavia, a compensare il -12,3% (da 20,361 a 17,866 miliardi) sopportato dall’industria. E la conseguenza è che, se i dati della gestione «ordinaria» tengono e sono di gran lunga migliori rispetto al crollo degli utili netti, anche qui la media finale si presenta con un calo: l’intero campione Mediobanca chiude con una flessione: -4,8% rispetto ai 28,367 miliardi del 2000.
FINANZA E DEBITI - Non è un «male» nuovo, ma si è accentuato ancora di più. Le imprese italiane - e qui il discorso è generalizzato - mostrano in media una scarsa propensione a investimenti strettamente industriali (resta sempre elevato il tasso di sostituzione degli impianti, 46% nel triennio 1999-2001, ma c’è un rallentamento all’1,6% della spesa per investimenti tecnici, scesi a un quarto del livello di dieci anni fa). È così la finanza che continua ad assorbire la fetta maggiore degli impieghi: ben il 62% del totale, cifra che va in parallelo alla crescita di un indebitamento «agevolato» dai bassi tassi d’interesse e arrivato a superare i 60 miliardi.
CAPITALI IN ROSSO - Tanta finanza a scapito dell’industria non ha intaccato, con l’inversione di tendenza sui mercati borsistici, soltanto la possibilità di aumentare gli utili con plusvalenze e poste straordinarie. Ha pesanti riflessi strutturali. E finisce col risentirne, inevitabilmente, anche il capitale. Il cui rendimento al netto delle imposte, secondo i dati Mediobanca, è di poco superiore al 5%. Il costo però è intorno all’8%. Risultato: distruzione secca di valore. E non per poco: dieci miliardi.
Edited by - gz on 8/8/2002 11:12:6