se non ci lasciate riformare la costituzione per realizzare l’autocrazia che vuole la grande finanza, la grande finanza vi lascia senza soldi”. - Moderatore
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By: Moderatore on Domenica 27 Luglio 2014 01:38
^da Marco Della Luna, "DOVE PORTANO QUESTE RIFORME", 24 luglio#http://marcodellaluna.info/sito/2014/07/23/dove-portano-queste-riforme/^
….Diversamente da altri, io non biasimo moralmente i progettisti e gli autori di quanto sopra. Non dico che sono criminali perché sacrificano il 99% della popolazione agli interessi dell’ 1%. Infatti, il loro modello socioeconomico deflativo-parassitario-autocratico è più adeguato a ciò che i popoli sono, al loro effettivo livello mentale e di consapevolezza, che non è molto diverso da quello del bestiame, come dimostra la bovina docilità con cui si lasciano “riformare”. Il modello democratico, e anche il modello (post)keynesiano, presuppongono che l’uomo mediano e il popolo siano qualcosa che in realtà non sono affatto, quindi semplicemente non possono funzionare. Il modello socioeconomico deflativo ha, inoltre, il vantaggio di riuscire a imporre coercitivamente e dall’alto, di fronte al raggiungimento dei limiti fisici dello sviluppo e alla necessità di ripiegare, la necessaria decrescita ecologica dei consumi e della stessa popolazione, che in regime di democrazie nazionali non si potrebbe ottenere.
….Keynes denunciava nel 1925 esaminando le conseguenze dellapolitica economica del governo Churchill (Keynes, 1925): #i# Poiché il pubblico afferra sempre meglio le cause particolari che le cause generali, la depressione verrà attribuita alle tensioni industriali che l’accompagneranno, al piano Dawes, alla Cina, alle inevitabili conseguenze della grande guerra, ai dazi, alle tasse, a qualunque cosa al mondo fuorché alla politica monetaria generale, che è stata il motore di tutto.”#/i#. Alcune evidenti realtà, confermate dai fatti:
-in un sistema basato sulla moneta-debito, salvo ripudiare il debito o condonarlo o eliminare i creditori, è matematicamente impossibile azzerare o anche solo ridurre il debito complessivo;
-quindi chi lo propone come principio di virtuosità o come obiettivo o è un cretino o è un mistificatore;
-un singolo paese, se è competitivo nelle esportazioni, può ridurre e persino azzerare il proprio debito estero realizzando avanzi della bilancia delle partite correnti, cioè prendendo denaro da altri paesi, ma ciò matematicamente aggrava in pari misura l’indebitamento estero di questi altri paesi; analogamente, un particolare cittadino, un’impresa, un ente pubblico può chiudere i propri debiti accumulando attivi negli scambi con gli altri soggetti economici, ma ciò si traduce in un pari aumento dell’indebitamento di questi; tuttavia, siccome l’indebitamento complessivo inarrestabilmente cresce per effetto dell’accumularsi degli interessi, tutti i paesi, tutti gli altri soggetti in competizione tra loro tendono ad affondare nell’indebitamento (in metafora: su una barca che sta affondando io mi posso salvare arrampicandomi sulle tue spalle, ma solo provvisoriamente);
-ridurre il debito aggregato implica ridurre la liquidità nel sistema, perché tutta la liquidità è debito-credito;
-quindi comporta un aumento delle insolvenze e dei fallimenti;
-causa inoltre calo della domanda aggregata, quindi calo degli investimenti produttivi, i quali vengono fatti in base alle aspettative di redditività al netto delle tasse; sicché se i potenziali investitori vedono che la prospettiva è di tagli alla spesa pubblica, alta tassazione, riduzione del debito-liquidità, allora prevederanno che la domanda sarà bassa, cioè che non ci sarà domanda solvibile per i loro prodotti, perciò investiranno altrove.
Attualmente in Italia abbiamo un programma di tagli alla spesa pubblica, una pressione fiscale che non può calare anche a causa dei 40 miliardi all’anno di riduzione del debito pubblico che il governo dovrà fare in esecuzione del Fiscal Compact, un reddito e una capacità di spesa in picchiata anche a causa dell’alta disoccupazione e maloccupazione, soprattutto giovanili; inoltre le banche stanno riducendo il credito alle imprese e alle famiglie e tengono altissimi i tassi: sanno che gli aspiranti mutuatari, data la mancanza di continuità del loro reddito, non avranno i mezzi per ripagare i prestiti, quindi logicamente non erogano prestiti, se non raramente e con spread altissimi, al decuplo dell’Euribor, per compensare il rischio – dicono. Quindi oggettivamente non ci sono le condizioni per un’uscita dalla depressione economica. Anzi, è in corso un avvitamento recessivo, che determinerebbe rendimenti altissimi sul debito pubblico, senonché qualcuno -la BCE e/o la Fed-, comprando sul mercato secondario, e distorcendo il mercato, li tiene artificialmente bassi – come fa ancora più vistosamente con le nuove emissioni del debito pubblico greco.
D’altronde le banche italiane (ma non solo italiane) sono piene di sofferenze sommerse, ossia non dichiarate, e magari fanno aumenti di capitale di miliardi, uno dopo l’altro, per un multiplo della valorizzazione di borsa, ogni volta bruciando la liquidità acquista, in base a bilanci falsi, che nascondono questa realtà. Se essa affiorasse, avremmo il global meltdown del sistema bancario. A quale cliente una banca presterebbe il triplo di quello che vale in borsa? Qui siamo davvero “au bord du gouffre”! Eppure il sistema globale non pare aver esaurito la sua capacità di rilanciare e differire. I numeri sono infiniti, quindi, essendo la moneta fatta di numeri, infinita è anche la possibilità di rinviare la soluzione degli squilibri finanziari…
Negli ultimi 20 anni o poco più un altro fattore è all’opera, a danno dell’economia reale e dell’occupazione: il settore speculativo, remunerando i capitali in esso investiti in tempi assai più brevi del settore produttivo dell’economia (consideriamo che un’operazione speculativa può durare mesi o giorni, mentre il ritorno negli investimenti industriali si può avere solo dopo anni), quindi dando rendimenti maggiori di quest’ultimo, sottrae al medesimo molti capitali, tendendo a lasciarlo a secco. Addirittura vediamo che molte banche, dopo aver ricevuto fondi pubblici o della banca centrale, non li prestano, ma li usano in parte per comperare titoli pubblici al fine di migliorare la loro capitalizzazione e di lucrare le cedole, e in parte per speculare, fare trading, in proprio.
Conseguenza di questa competizione sui rendimenti, è che il settore produttivo, per cercare di trattenere i capitali offrendo loro una remunerazione competitiva col settore speculativo, si forza di dare, anno per anno, i massimi utili-dividendi possibili, e a tal fine fa alcune cose aventi un impatto negativo sull’occupazione, sulla produzione e sulla competitività, soprattutto nel lungo periodo:
a)riduce la produzione dal livello che dà il massimo ricavo totale al livello che dà il massimo ritorno sul capitale investito (quindi fa tagli agli impianti e alle maestranze);
b)riduce quanto possibile le spese correnti (compresi salari e manutenzione) nonché per investimenti (compresa l’innovazione) necessari a mantenere le posizioni sul mercato, cioè sacrifica gli obiettivi di medio e lungo termine a quelli di budget – da qui il termine budgetismo, che indica questa distorsione della politica aziendale.
L’ottimizzazione del bilancio è anche richiesta dal bisogno di avere un buon rating dell’affidabilità bancaria, onde mantenere le linee di credito e contenere i tassi di interesse.
Consideriamo anche che i managers degli investitori istituzionali come i fondi di risparmio e quelli pensionistici sono pagati in ragione al volume degli investimenti che attirano, e che questo dipende dai rendimenti che raggiungono, e che questi rendimenti a loro volta dipendono dai rendimenti delle azioni, ad esempio, che hanno in portafoglio. I rendimenti delle azioni dipendono ampiamente dai dividendi che si prevede che staccheranno, quindi di nuovo dalla prestazione anno per anno. Anno per anno, perché i managers restano usualmente in carica pochi anni, sicché non si interessano a come andrà una determinata corporation nel medio o lungo termine. La strategia delle imprese dell’economia reale avrebbe bisogno di pianificazioni e respiro di molti anni, specialmente in campi ad alta tecnologia; ma tutto cospira a distorcerla in funzione dei criteri dell’economia improduttiva. “Tutto questo è il mercato, quindi va bene, interferire sarebbe sbagliato” obietteranno alcuni. In effetti, è il mercato finanziario che interferisce con quello produttivo, cioè con quel mercato che, secondo la teoria, se libero e trasparente, dovrebbe, in base alle leggi sue proprie, portare alla piena occupazione e alla stabilità. E le interferenze del mercato finanziario nuocciono palesemente a quello produttivo. Molte società valide, quando si quotano in borsa, incominciano in effetti a subire queste interferenze disturbanti, che le fanno degenerare gestionalmente. Ciò succede regolarmente con le banche italiane che vanno in borsa. L’idea che la borsa serva a finanziare e a premiare la buona gestione delle imprese è smentita e capovolta dai fatti.
Alla luce di quanto sopra detto, possiamo tranquillamente concludere che, quando un leader comunitario, soprattutto un leader italiano, promette crescita o impegno per la crescita, promette la sospirata flessibilità, promette che l’UE porta allo sviluppo – quando promette queste cose, e insieme dice che “le regole europee”, “il risanamento”, “il rigore di bilancio” saranno rispettati, mente sapendo di mentire, mente per imbonire la gente: il modello che viene implementato attraverso l’UE e l’Italia in particolare non vuole crescita, lavoro, sicurezza, rilancio produttivo, ma stagnazione.
Come non vuole partecipazione popolare né diritti sociali. Al massimo sono ammessi interventi di riduzione del disagio sociale per prevenire che evolva in sommossa, o sussidii a categorie sociali realizzati a spese di altre categorie sociali (come gli 80 euro di Renzi), in una logica di divide et impera. Logica peraltro applicata anche tra gli Stati membri: consentire ad alcuni (Germania e soci) un relativo (e provvisorio) sviluppo a spese degli altri, onde avere il loro appoggio per completare l’opera di inversione costituzionale. Che si appalesa, oramai, come un’opera eversiva.
E quando ci dicono “fare le riforme istituzionali è condizione per ottenere flessibilità di bilancio dall’Europa”, il significato è: “se non ci lasciate riformare la costituzione per realizzare l’autocrazia che vuole la grande finanza, la grande finanza vi lascia senza soldi”.