By: fcoa on Giovedì 18 Ottobre 2007 13:38
interessante,grazie.
copio-incollo:
Dove porta l’euro forte
Maurizio Blondet
17/10/2007
L’euro s’è apprezzato sul dollaro… del 70% dall’ottobre 2006, quando ebbe il suo minimo storico.
Il 70% in un anno.
Il robusto surplus commerciale dell’Europa verso gli USA sta, come ovvio, rapidamente riducendosi a nulla.
Ma c’è di peggio.
Siccome le monete asiatiche emergenti sono legate al dollaro, l’euro si è apprezzato altrettanto rovinosamente verso quelle.
In particolare, il rifiuto della Cina di rivalutare il suo yuan «pone sulle spalle della sola Europa il peso di curare lo sbilancio commerciale degli Stati Uniti», scrive l’economista di Oxford Thomas Palley (1).
Il deficit commerciale europeo verso la Cina, che era di 54 miliardi di euro nel 2002, è salito nel 2006 a 128 miliardi.
Secondo la Camera di commercio europea, salirà entro il 2007 a 260 miliardi.
In altre parole, dice Palley, «l’Europa si trova attualmente sulla stessa china che gli USA imboccarono deliberatamente dagli anni ‘90. Una china che significa crescenti deficit commerciali, investimenti industriali minori, e perdita di lavoro nell’industria».
Le imprese europee saranno ancor più incentivate a chiudere le fabbriche qui per spostare le lavorazioni in Cina ed Asia; il vantaggio per la Cina sarà doppio, perché oltre al surplus commerciale aumenterà il suo attivo nella bilancia dei pagamenti, beneficiando di accelerate iniezioni di capitali esteri in investimenti diretti.
L’Europa invece soffrirà di disoccupazione, riduzione della domanda e dei profitti.
Secondo Palley, solo la Germania può ancora farcela con un euro così forte.
Ma «Italia, Spagna e i Paesi mediterranei subiranno duri colpi».
E gli Stati del centroEuropa che sono nuovi membri o aspiranti membri della UE saranno, puramente e semplicemente, devastati.
Non con questo che la Cina possa cantar vittoria.
Poiché ha appoggiato la sua moneta al dollaro troppo in basso, sta conoscendo un’inflazione del 19%, come ai tempi di Tienanmen.
E già parecchi hedge funds fanno ampi giri, come avvoltoi; stanno già scommettendo sul fatto che la Cina non potrà mantenere il suo legame col dollaro troppo a lungo: le sue riserve di 1.430 miliardi di dollari sono una benedizione malefica.
Dovrà far salire il renminbi, lo voglia o no.
«Tutti noi stiamo mettendo più valuta possibile in Cina in ogni modo, perché sappiamo che il renminbi deve salire», ha detto il presidente della Nomura Bank, Junichi Ujiie, al giornalista Ambrose Evans-Pritchard: «E’ una vittoria certa».
E’ lo stesso gioco che George Soros scatenò nel ‘92 contro lira e sterlina, solo a rovescio (allora fu contro monete deboli, ora contro monete forti): puntare contro una moneta, dissanguarne la Banca Centrale impegnata nella inutile difesa, fino alla «fluttuazione» obbligata.
E un bel po’ di miliardi in tasca.
Gli avvoltoi girano attorno ai Paesi baltici, che fanno fatica a restare agganciati all’euro altissimo: in Lettonia l’inflazione è all’11%, in Lituania ed Estonia al 9%, e i prezzi immobiliari nelle tre capitali sono più alti che a Berlino.
Gli avvoltoi girano attorno alla Bulgaria, dove l’inflazione è al 12%.
I Soros e i suoi rapaci aspettano al varco anche l’Arabia Saudita.
Questa non ha tagliato i tassi d’interesse quanto li ha tagliati la Federal Reserve, e ciò rende impossibile, prima o poi, mantenere l’aggancio al dollaro.
Già è in corso un «carry trade»: dollari a fiumi lasciano gli USA e le altre casse e riserve del mondo per l’Arabia, dove lucrano più alti interessi.
Più dollari arrivano, più sale l’inflazione, ormai al 18%.
Per contrastare gli speculatori e frenare la rivalutazione della propria moneta, il regno saudita dovrebbe comprare ancor più dollari, il che significa più inflazione.
Alcuni Paesi del Golfo, come il Kuweit, hanno gettato la spugna, facendo fluttuare la propria divisa; altri, come il Qatar, hanno ridotto (dal 99% al 45%) la parte di dollari nelle loro riserve.
Lo stimolo, sotto forma di liquidità iniettata da USA, Europa e Giappone per salvare le banche esposte coi sub-prime, ha aumentato dovunque il volume di moneta M3.
Anche in India la massa è aumentata del 19%, in Russia di un temibile 41%, in Venezuela del 69%. Per conseguenza, l’inflazione sta crescendo dovunque: in Russia al 9% (ma almeno ha il fondo di stabilizzazione).
Il Vietnam, quando l’inflazione ha superato il 9%, ha rinunciato all’aggancio al dollaro; Singapore e Corea si liberano di dollari dalle riserve.