Unità a forza - Moderatore
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By: Moderatore on Giovedì 11 Agosto 2011 22:12
leggendo commenti del genere viene il dubbio che abbiano abolito lo studio della storia alle superiori. In Italia dal 1848 al 1870 si è combattuto di continuo, solo nel 1848-1849 ci sono state una decina di battaglie, l'Italia è stato il campo di battaglia più gettonato per 25 anni in Europa.
L'unico esercito italiano che si è distinto per combattere in quasi tutte le battaglie nelle guerre del 1847-1849, 1859-1861, 1866 e poi 1870 che sono una ventina di battaglie grandi e piccole era quello piemontese, affiancato da corpi di volontari. I prussiani non hanno dovuto combattere tanto. Il Regno di Sardegna non aveva debito prima di imbarcarsi in questa serie di guerre, tutto il famoso debito che aveva alla fine quando l'Italia è stata unificata rifletteva quasi interamente tutte queste guerre.
Detto questo probabilmente era meglio se i piemontesi non combattevano tanto e lasciavano l'Italia come era da più o 1000 anni, dopotutto Svizzera, Belgio, Danimarca, Norvegia sono stati di dimensione identica a quella dei vari piccoli stati italiani del 1850 e stanno benissimo. La Catalogna si è conquistata un autonomia notevole nell'ultimo ventennio come i paesi baschi e così la Scozia che ora tiene un referendum in cui è in ballo la separazione dall'Inghilterra, il Belgio è senza governo DA DUE ANNI ORMAI perchè Valloni e Fiamminghi si stanno separando, Cechi e Slovacchi si sono separati felicemente, Lettoni, Estoni e Lituani sono contenti di essere indipendenti per la prima volta nella storia, Serbi, Croati, Sloveni, Bosniaci e Kosovari si sono divisi, la Russia o URSS si è divisa in quindici stati nel 1990 tornando agli stessi confini del 1613 !!!!.
La tendenza naturale dei popoli sarebbe di separarsi su basi etniche, li rimettono assieme spesso con la forza le elites
La cosa paradossale era che l'impero austro-ungarico era stato messo assieme quasi pacificamente, più che altro con matrimoni dinastici ed era piuttosto pacifico e civile. L'Italia invece è stata messa assieme quasi solo con la forza, con una serie infinita di guerre e guerricciole ed intrighi con la Francia, scontrandosi continuamente con i poveri austriaci. Nella leggenda dei vincitori erano guerre patriottiche, ma il supporto veniva da fasce di studenti ed intellettuali, la stragrande maggioranza dei lombardi o veneti stavano discretamente con l'Austria, dei toscani con il Duca, dei meridionali con i Borboni, dei parmensi con gli Estensi o Maria Luigia...forse solo nel centro-italia il regime del Papa era un poco impopolare... ma forse nemmeno quello
----------- 1848 -------------
Prima Campagna militare
Il 23 marzo 1848 i primi contingenti dell'esercito sardo-piemontese varcarono il Ticino, seguiti dal grosso dell'esercito il 26. Si trattava di cinque divisioni che, al passaggio del Ticino, ricevettero una nuova bandiera: il tricolore.
Con lentezza, Carlo Alberto mosse all'inseguimento del feldmaresciallo Radetzky e, avanzando lungo la direttrice Pavia-Lodi-Crema-Brescia, lo raggiunse al di là del fiume Mincio, sotto le fortezze del quadrilatero.
In questa fase del conflitto parteciparono al conflitto, inviando delle truppe, il papa Pio IX, il granduca Leopoldo II di Toscana e il re di Napoli: ai circa 30.000 soldati piemontesi se ne aggiunsero 7.000 pontifici, 7.000 toscani e 16.000 napoletani.
Il 30 aprile avvenne la carica dello Squadrone dei Reali Carabinieri di scorta al re Carlo Alberto che aprì la strada alla battaglia di Pastrengo, l'episodio non fu decisivo ai fini bellici ma diede morale ai Piemontesi e ai patrioti di tutta Italia. Questa storica carica dei Carabinieri a cavallo, e poi la battaglia di Santa Lucia, sotto le mura di Verona, il 6 maggio, ispirarono un eccessivo ottimismo alle forze anti-austriache.
L'esercito sabaudo, infatti, non seppe sfruttare il successo ottenuto dando agio agli Austriaci di riorganizzarsi e passare all'offensiva attaccando da Mantova nel punto momentaneamente più debole dello schieramento italiano, quello in mano alle truppe toscano-napoletane, costituite in gran parte da volontari universitari posizionati su un terreno difficile da difendere. Investiti in pieno dall'attacco di un esercito di militari di professione, il 28 i toscano-napoletani resistettero nella Battaglia di Curtatone e Montanara per diverse ore, permettendo ai piemontesi di riorganizzarsi su posizioni più sicure. Il 30 maggio l'esercito sabaudo infine respinse la controffensiva austriaca nella battaglia di Goito e lo stesso giorno si arrese la fortezza austriaca di Peschiera. Quel giorno Carlo Alberto venne acclamato dalle sue truppe "Re d'Italia".
Nel frattempo, Pio IX aveva pronunciato la famosa allocuzione Non semel al concistoro del 29 aprile, in cui si sconfessava l'azione del suo esercito, inizialmente penetrato in Veneto, su Padova e Vicenza, a copertura della città-fortezza di Venezia in rivolta. Il cambio di posizione fu causato dall'impossibilita' politica di combattere una grande potenza cattolica quale era l'Austria col rischio di un possibile scisma dei cattolici austriaci.[1] Il discorso papale del 29 aprile 1848 mise in risalto le contraddizioni del pensiero neoguelfo causa l'evidente incompatibilità della posizione del Papa come capo della Chiesa Universale ed allo stesso tempo Capo di uno Stato italiano, cioè tra il potere spirituale e quello temporale. Il ritiro dell'appoggio alla guerra contro l'Austria innescherà una crisi politica romana che porterà' il 24 novembre alla fuga del Papa a Gaeta e conseguentemente alla proclamazione della Repubblica Romana.
Le truppe pontificie ed il loro comandante Giovanni Durando non gli ubbidirono, ma l'allocuzione diede l'occasione a Ferdinando II di Borbone per predisporre la sua ritirata dal conflitto, proprio quando le sue truppe avevano ormai raggiunto il Po ed erano in procinto di entrare in Veneto, a sostegno dell'esercito romano inviato da Pio IX. Tuttavia numerosi appartenenti all'artiglieria e al genio dell'esercito Borbonico, fra cui lo stesso comandante Guglielmo Pepe, proseguirono la guerra come volontari.
Certamente, l'azione di Ferdinando II fu determinata dalle ambiguità di Carlo Alberto riguardo al Ducato di Parma (retto da una dinastia borbonica ma che la popolazione voleva annettere al Regno di Sardegna) e dalla situazione in Sicilia (sconvolta, sin da gennaio, da una rivoluzione che aveva relegato il "Real Esercito" nella sola piazzaforte di Messina, aveva resuscitato l'antico Regno di Sicilia ed inviato una delegazione a Torino per offrire la Corona a un Principe sabaudo, pur senza incontrare alcun incoraggiamento da parte di Carlo Alberto). Tuttavia, è certo che egli non avrebbe potuto permettersi tanto, in assenza del cambio di campo papale.
Del corpo di spedizione napoletano rifiutarono l'ordine l'artiglieria e il genio (le «armi dotte»); pertanto sotto la guida del generale Guglielmo Pepe, un vecchio patriota, e la partecipazione di giovani quali i fratelli Luigi e Carlo Mezzacapo, Enrico Cosenz, Cesare Rosaroll, Alessandro Poerio, Girolamo Calà Ulloa e numerosi altri,...
Molti altri volontari parteciparono al conflitto. Si possono ricordare gli studenti delle Università di Pisa e Siena ed i moltissimi volontari inquadrati dal governo provvisorio della Lombardia nei Corpi Volontari Lombardi, .... Garibaldi e Mazzini rientrarono in Italia per partecipare alla guerra, ma la loro accoglienza da parte dei Savoia fu tiepida. Tanto che Garibaldi poté partecipare solo alle ultime fasi, conducendo una piccola guerriglia in provincia di Como, al confine con il Canton Ticino, cui prese parte anche il volontario Natale Agostino Giuseppe Imperatori di Lugano
La controffensiva dell'Austria
Nel frattempo la linea del fronte restava fra il Mincio e Verona. Nessuno dei successi ottenuti da Carlo Alberto era stato decisivo e, sfruttando i timori del Re e del generale Eusebio Bava (e non assecondando l'opinione del gen. Ettore De Sonnaz, la cui condotta successiva durante la guerra fu comunque molto controversa), l'esercito piemontese si limitò a tallonare da presso quello austriaco in piena ritirata dopo le Cinque giornate di Milano, con Radetzky che non faceva mistero di considerare perso il Lombardo-Veneto. L'incapacità di assumere l'iniziativa da parte piemontese dette invece modo agli austro-ungarici di ritirarsi senza perdite nel Quadrilatero, potentemente difeso. La posizione strategica di Radetzky a questo punto si era notevolmente rinforzata, anche grazie all'arrivo di un corpo d'armata formato dal conte Nugent sull'Isonzo e di altri rinforzi dal Tirolo.
Riconquistata Vicenza, il 10 giugno, gli imperiali ripresero l'offensiva contro l'esercito sardo-piemontese, battuto tra il 23 e il 25 luglio in una serie di scontri passati alla storia come prima battaglia di Custoza, dove proprio il De Sonnaz diede prova di inazione.
Lo stesso giorno Carlo Alberto ricevette una delegazione guidata dal podestà di Milano Casati, che recava l'esito trionfale del Plebiscito che sanciva l'unione della Lombardia al Regno di Sardegna.
Di lì cominciò una veloce, ma ordinata, ritirata verso l'Adda e Milano, dove si svolse, il 4 agosto la battaglia di Milano, al termine della quale Carlo Alberto si risolse a chiedere un armistizio.
Il 5 agosto venne firmata la capitolazione. Il 6 agosto gli Austriaci rientrarono a Milano da Porta Romana. Il 9 agosto la tregua venne ratificata con la firma, a Vigevano, dell'armistizio di Salasco (dal nome del generale Carlo Canera di Salasco). L'Impero Austriaco rientrava nei suoi antichi confini, stabiliti nel 1815 dal congresso di Vienna. Tutte le città liberate tornavano nelle mani degli austriaci, con l'eccezione di Venezia, che si preparava a subire un lungo assedio.
Aveva così fine la prima fase moderata del '48 italiano. L'articolo 6 dell'armistizio prevedeva una durata minima di sei settimane: entrambi i contendenti principali (Carlo Alberto e Radetzky) sapevano che la tregua era temporanea, in quanto, essendo mancata una decisiva sconfitta sarda si sarebbe giunti, presto o tardi, alla ripresa delle ostilità. Il prestigio militare di Carlo Alberto era tuttavia fortemente indebolito. Al Parlamento Subalpino avevano ripreso vigore le tendenze radicali e, l'anno successivo, si sarebbe assistito alla iniziativa «democratica».
---------------- 1859 ---------------
Seconda campagna militare
Carlo Alberto ruppe la tregua con l'Austria il 20 marzo, solo per venire pesantemente sconfitto a Novara, il 22-23 marzo, ed abdicò in favore di Vittorio Emanuele II. La fine della guerra fu segnata dall'armistizio di Vignale, concordato il 24 marzo, firmato il 26 e seguito dalla pace di Milano del 6 agosto 1849.
Nelle giornate successive Radetzky chiuse anche la partita con i patrioti lombardi, soffocando sul nascere alcuni tentativi di ribellione (Como) e soffocandone nel sangue altri (Brescia). Mentre continuava unicamente l'assedio di Venezia.
La strada era, quindi, libera per le nuove invasioni straniere. Il primo a muovere fu Luigi Napoleone, che il 24 aprile fece sbarcare a Civitavecchia un corpo di spedizione francese, guidato dal generale Oudinot. Questi tentò l'assalto a Roma il 30 aprile, ma venne malamente sconfitto. Ripiegò a Civitavecchia e chiese rinforzi. La strada era, quindi, libera per le nuove invasioni di Radetzky in Toscana, Emilia, Marche. Tutto ciò indusse Luigi Buonaparte, non ancora Imperatore, ad inviare contro Roma complessivamente oltre 30.000 soldati ed un possente parco d'assedio. Il 1º giugno il generale francese Oudinot, piegò dopo una lunghissima resistenza la Repubblica Romana. Stremata dall'assedio austriaco, dalla fame e da un'epidemia di colera, anche Venezia dovette alla fine arrendersi, sottoscrivendo la resa il 23 agosto 1849.
Seguì un corpo di spedizione napoletano, fermato da Garibaldi a Palestrina, il 9 maggio. Poi una prima armata austriaca, guidata dal d'Aspre, che assalì e saccheggiò Livorno l'11 maggio ed occupò Firenze il 25 maggio, seguita da una seconda, che assediò e prese Bologna il 15 maggio. Verso la fine di maggio arrivò a Gaeta un corpo di spedizione spagnolo, che giunse solo, e era stato inviato ad occupare l'Umbria, cosa che avvenne senza scontri memorabili.
Gli Austriaci si diressero allora verso Ancona per occupare anche questa città che aveva aderito alla Repubblica Romana ed aveva promesso a Garibaldi concreto aiuto nel difenderla. Gli Austriaci incontrarono però un'eroica ed imprevista resistenza (premiata nel 1899 con medaglia d'oro al valor militare).
L'assedio vide impegnati nella difesa di Ancona italiani provenienti da tutte le Marche e dalla Lombardia, in totale circa cinquemila uomini contro più di cinquantamila austriaci. Era chiaro che in gioco non era né la sorte di una città, ormai quasi segnata a causa della sproporzione di forze, né solo quella della Repubblica Romana; fu invece una prova di forza che gli Italiani affrontarono senza reali speranze di ottenere la vittoria, allo scopo di impedire agli Austriaci di recarsi a Roma e di dimostrare l'attaccamento ai propri ideali di libertà ed indipendenza.
L'assedio fu navale e terrestre contemporaneamente, e si segnalarono Antonio ed Augusto Elia, padre e figlio, molto legati a Garibaldi. Ora, a resistere agli Austriaci, in Italia erano rimaste solo Roma, Venezia ed Ancona. Dopo 26 giorni di aspri combattimenti (cadde il capitano cremasco Giovanni Gervasoni) il 21 giugno il capoluogo marchigiano deve cedere, e gli Austriaci concessero l'onore delle armi ai difensori. La brutale fucilazione di Antonio Elia mostrò che oramai Ancona aveva fatto il possibile; ora il vessillo della libertà doveva essere difeso a Roma e a Venezia
Garibaldi, Aguyar (a cavallo) e Nino Bixio durante l'assedio di Roma. Disegno del 1854 di William Luson Thomas basato sullo schizzo di George Housman Thomas realizzato nel 1849
La necessità di riscattare la sconfitta del 30 aprile, e il desiderio di compensare i successi del Radetzky in Toscana, Emilia, Marche, indussero Luigi Buonaparte, non ancora Imperatore, ad inviare contro Roma complessivamente oltre 30.000 soldati ed un possente parco d'assedio.
Il 1º giugno il generale francese Oudinot rinnegò un trattato di alleanza negoziato dal Lesseps ed annunciò la ripresa delle ostilità: Roma venne assaltata all'alba del 3 giugno. La resistenza fu assai più ostica del previsto e la città fu oggetto di pesanti bombardamenti.
L'ultima battaglia la si combatté il 30 giugno con enormi perdite da entrambe le parti, dopo un giorno di tregua per raccogliere morti e feriti fu stipulata, il 2 luglio 1849 la resa della Repubblica Romana.
Lo stesso giorno Garibaldi radunò in piazza San Pietro 4.700 volontari ed uscì verso est con il vago intento di sollevare le province per poi raggiungere Venezia assediata; venne inseguito dal d'Aspre sino a Comacchio, perse la moglie, fuggì miracolosamente sino in Liguria e, di lì, nel 1850 passò a New York presso Antonio Meucci.
Il 12 aprile Pio IX fece ritorno a Roma ed abrogò la Costituzione concessa nel marzo di due anni prima.
Dopo la resa di Ancona e di Roma, la città di Venezia rimase l'ultima a non aver ancora ceduto ai nemici dell'indipendenza italiana. Gli Austriaci avevano tentato di avvicinarsi alla città lagunare lungo il ponte della ferrovia, ma, a causa della forte resistenza, furono costretti a retrocedere. Iniziarono allora un pesante bombardamento contro la città stessa. Una prima richiesta di resa da parte del comandante in capo delle forze austriache, feldmaresciallo Radetzky, fu sdegnosamente respinta. Dopo lunghissima resistenza, ultima tra tutte le città italiane, stremata anche dalla fame e da un'epidemia di colera, dovette infine arrendersi, sottoscrivendo la resa il 23 agosto 1849.
Dall'inizio del 1859 il governo piemontese adottò un comportamento smaccatamente provocatorio nei confronti dell'Impero Austriaco, operando una politica di forte riarmo e, quindi, contravvenendo agli impegni assunti con il trattato di pace del 6 agosto 1849. Condizione necessaria dell'accordo franco-sardo, infatti, era che fosse l'Austria a dichiarare guerra.
In previsione degli eventi, erano tornati in Italia Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi: a quest'ultimo fu affidato il compito di organizzare un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, consentendo l'arruolamento di fuoriusciti dal Lombardo-Veneto, posto sotto il dominio dell'Impero Austriaco.
Quest'ultimo, non informato degli accordi di Plombières[senza fonte], decise di fare la prima mossa, con l'intento di replicare l'operazione così ben riuscita al maresciallo Josef Radetzky contro Carlo Alberto, a Novara nel 1849. Il 30 aprile l'Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna: la Francia era impegnata in un'alleanza difensiva che Napoleone III, non senza resistenze interne, decise di onorare
Già il 29 aprile l'esercito austriaco di Gyulai attraversò il Ticino nei pressi di Pavia ed invase il territorio piemontese, il 30 occupò Novara, Mortara e, più a nord, Gozzano, il 2 maggio Vercelli, il 7 Biella. L'azione non veniva ostacolata dall'esercito piemontese, accampato a sud fra Alessandria, Valenza e Casale. Gli austriaci arrivarono sino a 50 km da Torino.
A questo punto, tuttavia, Gyulai invertì ordine di marcia e si ritirò oltre il Sesia e poi verso la Lombardia: un ordine espresso da Vienna, infatti, gli aveva suggerito che "il miglior teatro di operazioni è il Mincio", lì dove gli Austriaci avevano, appena 11 anni prima, domato l'avanzata piemontese e salvato i propri domini in Italia. Così facendo, tuttavia, gli austriaci rinunciavano a battere separatamente piemontesi e francesi, e consentivano il ricongiungimento dei due eserciti. Il comando austriaco, inoltre, operava una totale inversione strategica, che difficilmente può essere spiegata senza ipotizzare una certa confusione. Certamente non ne fu responsabile Gyulai, al quale, semmai, può essere rimproverata una certa debolezza nell'azione.
La 2ª divisione del generale Joseph Vinoy, appartenente al IV Corpo dell'armata francese, raggiunge il Piemonte attraverso il valico del Moncenisio, il 5 maggio 1859
Il 14 maggio 1859 Napoleone III, partito il 10 maggio da Parigi e sbarcato il 12 a Genova, raggiunse il campo di Alessandria per assumere il comando dell'esercito franco-piemontese.
Con il grosso dell'esercito rientrato al di qua del Ticino e del Po, il 20 maggio 1859 Gyulai comandò una grande ricognizione a sud di Pavia. Essa venne fermata a Montebello (20-21 maggio) dai francesi del generale Forey, futuro maresciallo di Francia, con l'intervento determinante della cavalleria sarda del colonnello Morelli di Popolo.
Il 30 ed il 31 maggio i piemontesi di Enrico Cialdini e di Giacomo Durando riportarono una brillante vittoria alla Battaglia di Palestro. Un contrattacco fu affidato al terzo reggimento degli zuavi del colonnello de Chabron, al quale prese parte lo stesso re Vittorio Emanuele II di Savoia, che fu gratificato del titolo di caporale degli zuavi.
Parallelamente avanzavano anche i francesi, che il 2 giugno varcarono il Ticino: essi assicurarono il passaggio battendo gli Austriaci alla battaglia di Turbigo. Gyulai aveva concentrato le proprie forze nei pressi della cittadina di Magenta dove venne assalito il 4 giugno dai francesi i quali riportarono una brillante vittoria. La vittoria è principalmente da attribuire a Patrice de Mac-Mahon e al d'Angely, che in tal modo si guadagnarono sul campo la promozione a maresciallo di Francia, ma vi ebbero un ruolo primario anche il de Wimpffen e il generale Fanti, a capo dell'unico reparto sardo impegnato.
Il 5 giugno l'esercito sconfitto sgombrava Milano, dove entrava il 7 giugno Mac-Mahon (preceduto dalle truppe algerine dei Turcos), per preparare l'8 giugno l'ingresso trionfale di Napoleone III e di Vittorio Emanuele attraverso l'arco della Pace e la piazza d'armi (oggi Parco Sempione), dove era schierata la Guardia imperiale, fra le acclamazioni della popolazione. Il 9 giugno il consiglio comunale di Milano votò per acclamazione un indirizzo che, ribadendo la validità del plebiscito del 1848, sanciva l’annessione della Lombardia al Regno di Vittorio Emanuele II.
Il 22 maggio i Cacciatori delle Alpi, passarono in Lombardia dal Lago Maggiore a Sesto Calende, con l'obiettivo di operare nella fascia prealpina in appoggio alla offensiva principale. Il 26 difesero Varese da un attacco di superiori forze austriache guidate dal generale Urban. Il 27 maggio batterono il nemico alla battaglia di San Fermo ed occuparono Como, la città maggiore dell'area. Dopo Magenta da lì seguì la ritirata austriaca: l'8 giugno Garibaldi era a Bergamo, il 13 a Brescia, entrambe già evacuate dagli Austriaci.
[modifica] Occupazione delle isole di Lussino e di Cherso
La flotta franco-sarda prese possesso dell'Isola di Lussino nel golfo del Quarnaro e scesero a terra 3.000 uomini accolti festosamente dalla popolazione che sventolava il tricolore. A loro volta le autorità locali, convinte che ormai il passaggio di sovranità fosse imminente, ricevettero con tutti gli onori i comandanti della flotta. Successivamente i franco-sardi si insediarono anche nell'isola di Cherso
Nel frattempo gli Austriaci si raccolsero oltre l’Adda, tappa per le fortezze del Quadrilatero. Gyulai, infatti, aveva intenzione di portare le due armate austriache entro i confini del "quadrilatero", ricalcando la vittoriosa strategia di Radetzky durante la prima guerra di indipendenza.
La sera del 6 giugno, una brigata di retroguardia forte di circa 8.000 uomini, oltre a due squadroni di dragoni ed ussari si insediò nella cittadella fortificata di Melegnano che ospitava un ponte in pietra ad arcata unica sul fiume Lambro, adatto al passaggio di carriaggi e truppe, allo scopo di rallentare l'avanzata dell'esercito franco-sardo. La sera dell'8 giugno la città venne presa dai francesi dopo sanguinosissimi combattimenti che causarono 1.000 caduti fra gli attaccanti e 1.200 tra i difensori.
Il grosso dell'esercito austriaco aveva proseguito, indisturbato, la sua marcia ed era stato raggiunto a Verona dall'imperatore Francesco Giuseppe che, indispettito dall'apparente arrendevolezza del Gyulai, aveva deciso di assumere il comando delle operazioni in prima persona.
I franco-piemontesi ripresero la marcia il 12 giugno: il 13 passarono l'Adda, il 14 raggiunsero Bergamo e Brescia, il 16 passarono l'Oglio, il 21 erano oltre il Chiese. Essi erano giunti, rapidamente, dove Gyulai li aveva attirati, in quella striscia di Lombardia delimitata ad ovest dal Chiese, ad est dal Mincio e a nord dal lago di Garda.
Incalzato dal malcontento della pubblica opinione viennese, derivante dalla lunga serie di sconfitte subite dall'esercito austriaco, l'imperatore decise improvvisamente di mutare la strategia difensiva di Gyulai e di prendere l'iniziativa. Confortato dal parere di uno stato maggiore più portato all'adulazione che all'analisi, Francesco Giuseppe diede ordine alle truppe di ripassare il Mincio, tornando ad occupare le posizioni evacuate pochi giorni prima. Gli austriaci non immaginavano che l'esercito franco-sardo avesse già passato il Chiese ed i francesi non credevano di trovarsi di fronte entrambe le armate austriache, convinti che la battaglia decisiva si sarebbe svolta oltre il Mincio, come appariva logico e tatticamente favorevole agli austriaci.
I reciproci avvistamenti avvenuti alle ultime luci del 23 giugno, convinsero i francesi di aver preso contatto con l'attardata retroguardia austriaca e gli austriaci di aver preso contatto con le prime avanguardie francesi in ricognizione. Così non era: i due eserciti si trovavano frontalmente schierati, divisi da pochissimi chilometri ed accomunati dall'essere l'uno dell'altro ignari
Il 24 giugno i franco-piemontesi vinsero una grande battaglia (normalmente divisa in battaglia di Solferino e battaglia di San Martino), iniziata con un massiccio attacco francese (battaglia di Medole). Al termine dello scontro gli Austriaci furono rigettati oltre il Mincio, ma lì ebbero la possibilità di appoggiarsi alle loro grandi fortezze e ricevere rinforzi dalle varie parti del loro vasto impero. Napoleone III decise, quindi, di avviare colloqui di pace e prese contatto con Francesco Giuseppe. Le operazioni militari non vennero sostanzialmente più riprese. L'8 luglio fu sottoscritto un accordo di sospensione delle ostilità. L'11 luglio i due imperatori si incontrarono in località Villafranca di Verona. Lo stesso giorno e il 12 luglio (quando firmò anche Vittorio Emanuele II) fu sottoscritto l'armistizio di Villafranca.
La pace di Zurigo fu negoziata e siglata fra il 10 e l'11 novembre 1859: gli Asburgo cedevano la Lombardia alla Francia, che l'avrebbe assegnata ai Savoia, mentre l'Austria conservava il Veneto, le fortezze di Mantova e Peschiera. I sovrani di Modena, Parma e Toscana (Asburgo-Lorena di Toscana), che nel frattempo erano stati costretti alla fuga da rivolte popolari, rese possibili dalla presenza dell'esercito francese, avrebbero dovuto essere reintegrati nei loro Stati, così come i governanti papalini a Bologna. Tutti gli stati italiani, incluso il Veneto ancora austriaco, avrebbero dovuto unirsi in una confederazione italiana, presieduta dal papa Pio IX. Questo accordo però spaventò molti liberali federalisti come il toscano Bettino Ricasoli, che - seppur riluttante - si decise a porre sempre di più le sorti del suo antico stato nelle mani dei Savoia[1].
[modifica] Conseguenze: l'annessione dei ducati
Il trattato era tanto lontano dalla realtà politica, da presentare almeno tre vantaggi per il regno sabaudo
la confederazione italiana garantiva, di fatto, la continuazione di un ruolo austriaco nella penisola, risultando sgradita anche ai francesi;
le popolazioni dell'Emilia e dell'Italia centrale mostrarono insofferenza all'ipotesi di ritorno dei loro governanti e Cavour seppe convincere le cancellerie europee dei rischi di derive repubblicane, dovuti alla cospirazione mazziniana;
il vantaggio territoriale era decisamente inferiore a quanto pattuito a Plombières e quindi, il Piemonte non era più tenuto a cedere Nizza e la Savoia. Per contro, Napoleone III necessitava di tali compensazioni territoriali, per giustificare alla propria opinione pubblica l'enorme prezzo in vite umane sostenute dalla Francia.
Non mancavano, quindi, i margini di manovra e Cavour seppe metterli a frutto, compiendo quello che è il suo vero capolavoro da ex-primo ministro, fra l'11 luglio 1859 ed il 19 gennaio 1860, e poi ancora al governo dal 20 gennaio.
Nei mesi successivi, infatti, il Piemonte annesse, oltre alla Lombardia, anche Parma, Modena, l'Emilia, la Romagna e la Toscana. Mancavano le Marche e l'Umbria, che venivano nel frattempo riprese dai papalini (uno dei più sanguinosi episodi della "riconquista" papale fu il massacro di Perugia del 20 giugno 1859). Solo a seguito di detti avvenimenti il 24 marzo 1860 il Piemonte accettò di firmare il Trattato di Torino, in base al quale venivano cedute la Savoia e Nizza (tranne Tenda, che la Francia poté pretendere solo nel 1947, a seguito del Trattato di Pace che chiuse la seconda guerra mondiale).
[modifica] Il seguito: la spedizione dei Mille
Con tali operazioni si compì di fatto la prima fase dell'unità d'Italia; rimanevano ancora separati dal Regno d'Italia Roma e gran parte del Lazio, possesso del Papa, ed il Veneto, in mano agli Austriaci.