Grossi Guai sui Fondi ING (per i credito di imposta) ? - karim
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By: karim on Venerdì 31 Ottobre 2003 13:51
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Ing
Non sono proprio sicuro di quello che sto dicendo, anche perché la cosa mi sembra talmente demenziale da apparire poco credibile. Insomma io riporto quello che mi è sembrato di capire, se poi sbaglio, spero che qualcuno più preparato di me mi corregga.
Se vi fate un giro su www.morningstars.it ed andate a spulciare la composizione del portafoglio di alcuni fondi High Tech, noterete che in alcuni casi vi è grande abbondanza di liquidità.
Per esempio che ING Internet e ING Telecommunications hanno una liquidità pari al 60-70% del portafoglio.
In realtà non si tratta di vera e propria liquidità, ma di credito di imposta che deriva dal macchinoso sistema fiscale che contraddistingue il nostro paese. Infatti, contrariamente agli altri paesi dove le tasse sul capital gain si pagano al momento del disinvestimento o della dichiarazione dei redditi, qui da noi il fondo comune provvede a calcolare le tasse ogni giorno, e ne tiene conto nella valorizzazione quotidiana della quota.
A fine anno, se il fondo è in guadagno, paga il 12,50% che è già stato accantonato, se invece è in perdita si trascina il credito di imposta che potrà compensare con i guadagni degli anni successivi.
Vi sono però due problemi:
1) Il credito d’imposta entra nel calcolo della quota, quindi in caso di minus valenza, il valore del fondo sarà in parte dato dai titoli e in parte dal credito d’imposta.
2) Si hanno 4 anni di tempo per compensare, dopo di che il fisco si intasca tutto allegramente.
Questo porta alle seguenti situazioni paradossali:
Ipotizziamo che un fondo internet acquistato nel 2000, all’apice del suo splendore, quotasse 100.
I titoli che aveva in portafoglio fino ad oggi si sono fumati il 90%. I titoli valgono 10, ma grazie al prodigioso meccanismo fiscale, il fondo potrà inglobare nella quota il credito d’imposta pari al 12.5% della perdita:
90 x 12,5% = 11,25.
Quindi il valore della quota non sarà 10, ma 10 + 11.25 = 21.5.
Il sottoscrittore che oggi investe 21.500 euro, avrà acquistato 10.000 euro di titoli tecnologici e 11.500 euro di credito dallo stato.
Quindi il sottoscrittore paga alla Sgr e alla banca depositaria diverse commissioni sul valore della quota, di cui più della metà non hanno giustificazione, in quanto il credito di imposta non può essere gestito né investito .
Si ritrova un fondo mezzo monco che si muove come se avesse il 50% di liquidità bloccata.
Se per disgrazia poi il valore dei titoli rimanesse invariato per altri quattro anni succederebbe questo:
a fine 2004 non si potrebbe più recuperare il credito del 2000, a fine del 2005 non si potrebbe recuperare quello del 2001 e così via fino al 2007.
Detto in altre parole se l’indice tecnologico da oggi rimane invariato fino al 2007, nello stesso periodo il fondo avrà accusato una perdita secca pari al –53,5%. (ammettendo che i riscatti compensino le sottoscrizioni)
Qualcuno afferma che il problema non sussiste, in quanto la compensazione può essere fatta anche fra fondi diversi della stessa famiglia, oppure che il gestore può riportare la leva finanziaria a livello di benchmark con l’ausilio dei derivati.
Sta di fatto che, almeno nel caso ING, il problema finora non è stato risolto, e il primo danno agli investitori è già stato consumato, in quanto coloro che hanno investito intormo ai minimi di mercato confindando nel rialzo del settore tecnologico, hanno riportato un guadagno ridottissimo, in quanto il fondo non era allineato al benchmark. Inoltre rischiano ancora, almeno in parte, la perdita del credito d’imposta. (senza contare il surplus di commissioni)
In ogni caso, diventa difficile comprendere per quale motivo bisogna ricorrere a degli artifici contabili e all’ausilio dei derivati (con tutte le difficoltà che comportano) per riuscire a smussare un problema, quando sarebbe infinitamente più semplice evitare di crearlo.
Saluti
Karim