By: Moderatore on Mercoledì 28 Maggio 2003 22:40
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Capitalia
Un titolo ancora basso. Un patto da rifare. I soci Fondazione e Toro in uscita. Saranno il signor Ariston e Angelucci i salvatori?
di Massimo Mucchetti - espresso 26/5
Cesare Geronzi, il vincitore della battaglia di Mediobanca, ha ora un´emergenza domestica: ricostruire a propria immagine e somiglianza, quasi fosse un novello Cuccia, un nucleo stabile di soci eccellenti al vertice di ^Capitalia#^, il gruppo creditizio nato dalla fusione tra Banca di Roma e Bipop-Carire. E poi blindare questo nucleo in un nuovo patto di sindacato che sostituisca il vecchio, scaduto il 6 dicembre 2002. La Borsa valuta tuttora Capitalia un po´ meno della metà del suo patrimonio netto contabile. Ma la ripresina delle quotazioni e una trimestrale in nero consentono al navigato banchiere capitolino di raccontare ai nuovi amici che il peggio è ormai passato. Se questi ci credono tutto diventerà più facile, compreso il buon esito dell´ispezione della Vigilanza, il cui capo, Bruno Bianchi, ha rinviato la quiescenza proprio per seguire la scottante pratica.
Nel parterre di Capitalia, in verità, scalpitano azionisti di peso che ambiscono alla promozione sociale come il palazzinaro romano Stefano Ricucci, la banca libica Lafico e la Regione Sicilia. Ma sarebbero partner imbarazzanti, sia pure per ragioni diverse. Porre fine a una relazione come quella che Ricucci aveva con la star televisiva Anna Falchi può diventare un titolo di merito nel mondo talvolta ipocrita dell´alta finanza, e tuttavia un litigio tra fidanzati non rende più trasparente l´origine di una fortuna né può far dimenticare le modalità di un ingresso in Capitalia fatto senza chiedere permesso e con i soldi di un banchiere rampante come Gianpiero Fiorani, della Popolare di Lodi. Il governatore della Sicilia, Antonio Cuffaro, si è detto pronto a conferire al patto il ´suo´ 3 per cento. Ma Geronzi ricorda ancora le sette camicie che l´incontenibile Totò gli fece sudare in occasione dell´incorporazione del Banco di Sicilia. Tirarselo in casa, magari a fare da ago della bilancia, rasenterebbe il masochismo.
I libici, poi, sono i libici. Come può la Banca d´Italia, che tiene al palo da anni spagnoli, francesi e tedeschi, investitori per bene, fratelli in Eurolandia, dare via libera ai capitali di una dittatura araba che ha preso le distanze dal terrorismo solo dopo aver ricevuto in testa le bombe americane? Cesare Geronzi deve cercare sostenitori più presentabili a palazzo. Corteggia dunque soci come Salvatore Ligresti, che ha contribuito alla conquista del potere in Mediobanca da parte di Capitalia e di Unicredito. Ma Ligresti, pur avendo già un 2,8 per cento di Capitalia, mostra freddezza. Tra i big ci sarebbe anche Romain Zaleski: peccato abbia già un rapporto previlegiato con Banca Intesa.
Il convento di Capitalia, insomma, al momento passa poco. Tanto più se l´urgenza vera non consiste tanto nell´associare due o tre grandi azionisti rimasti finora ai margini quanto nel trovare compratori graditi per le azioni messe in vendita dai sostenitori pentiti: la fondazione Ente Cassa di Risparmio di Roma e la Toro. La prima ha un 4 per cento da ricollocare e comunque, in attesa di disfarsi di tutta la partecipazione, non intende aderire ad altri sindacati azionari. L´altra conserverà un 2 per cento di cortesia, ma vuol vendere il 4,6 che le resta. La nuova proprietà, che fa capo alla De Agostini, ha concesso a Geronzi il diritto di scegliere il compratore, senza troppa fretta, certo, ma senza lungaggini. Geronzi deve dunque trovare acquirenti per un 13-14 per cento. Impresa non da poco, ma a Roma c´è un gioiellino che fa proprio al caso del potente Cesare. È la Cofiri, l´ex finanziaria dell´Iri che Gilberto Gabrielli voleva trasformare in banca e poi quotare in Borsa. Tra Gabrielli, che ha il 20 per cento di Cofiri, e i suoi soci di maggioranza, Vittorio Merloni e Giampaolo Angelucci, che si dividono equamente il resto, sono scoppiati contrasti insanabili. La Cofiri è dunque in vendita e Gabrielli ha ceduto la presidenza a Ernesto Monti.
Con 120 milioni di euro di liquidità e 3 miliardi di prestiti, parecchi dei quali garantiti dallo Stato, e dunque cartolarizzabili con profitto, la Cofiri sembra fatta apposta per aiutare Capitalia a migliorare i suoi ratios e a sistemare i suoi assetti azionari. Da quanto risulta a ´L´espresso´, le trattative sono già cominciate. Nei piani interni di stock option, che Gabrielli aveva proposto per il management, Cofiri è valutata poco più di 400 milioni di euro. Ma molto dipende, se si arriverà a un´intesa, da come avverranno i pagamenti.
Al momento, non è ancora chiaro se a comprare sarà direttamente Capitalia o se Geronzi affiderà il compito al Mediocredito centrale che fa già il mestiere della Cofiri e che, in seguito, la potrebbe incorporare. In ogni caso, se la strada è ancora da tracciare, il traguardo è uno solo: Merloni, re degli elettrodomestici ed ex presidente di Confindustria, e Angelucci, barone delle cliniche romane ed editore del quotidiano ´Libero´, dovrebbero reinvestire tutto comprando le azioni Capitalia messe in vendita dalla fondazione e dalla Toro e aderire al nuovo patto di sindacato. Rispetto a una compagnia di assicurazione e a una fondazione, si tratta di soci di minor peso finanziario, ma forse di maggior peso imprenditoriale. Merloni e Angelucci non hanno bisogno di crediti particolari. Vanno bene. Ma rendere un favore a Geronzi e al suo influente amico di via Nazionale male non fa.