By: vilcojote on Sabato 20 Ottobre 2007 17:22
Giuliano Ferrara, ex comunista, scrittore dei testi del Berluska e ministro nel suo governo, direttore del Foglio, si e' innamorato del Partito Democratico. Ve lo segnalo come fenomeno del caos totale in cui si trova la politica italiana in questi mesi.
dal Foglio di oggi
Come fare un partito nuovo
Due vie: riempirlo di chiacchiere o prendere una decisione rivoluzionaria
Alla fine del mese la Costituente del Partito democratico si riunisce a Milano in rappresentanza non degli iscritti di Quercia e Margherita ma di tre milioni e mezzo di cittadini. E il suo gruppo dirigente, intorno al leader che ha ottenuto l’onction démocratique o unzione democratica (citazione da Mitterrand, non dal Cav.), dovrà decidere come fare un partito nuovo, e cioè realizzare la promessa che ha portato alle primarie tanta gente diversa, mondi incomprimibili in una ordinaria platea di iscritti o militanti di partito (comprese le monachelle elettrici, un vescovo, i banchieri e molti elettori di altri partiti della sinistra e di altre aree della società, imprenditori, professionisti, tanto popolo che non si iscriverebbe per molte ragioni a un partito tradizionale). Secondo il nostro modesto avviso l’unico vero modo di creare una radicale novità è di scegliere la costruzione di un partito senza tessere, senza organi dirigenti a ogni livello territoriale e locale, senza consigli nazionali, congressi e correnti.
Mentre arrivano dei sì o dei segnali di interesse inaspettati dal vicepresidente del Consiglio Rutelli, dal ministro dell’Istruzione pubblica Fioroni, dallo stesso leader Veltroni e da numerosi soggetti del dibattito pubblico interno ed esterno alla politica dei partiti, il ministro della Sanità, Livia Turco, dice che si vuole tenere strette le tessere della Fgci, del Pci, del Pds e dei Ds, esprimendo una rispettabile posizione di nostalgia personale verso la propria storia, insomma accucciandosi in un archivio. Il ministro dello Sviluppo, Pierluigi Bersani, ci segnala che l’Italia non è l’America e non si può fare un partito “liquido”. Dall’89 ad oggi Bersani è vissuto onorevolmente nella liquidità, passando da un nome all’altro di partito, da un simbolo a un altro, con la botanica al posto dell’ideologia, e infine si ritrova nell’organismo costituente di un partito che non c’è, il quale deve decidere il proprio futuro. E questo in un paese in cui tutti i partiti che hanno firmato la Costituzione non esistono più da molti anni, e il partito di maggioranza relativa è ormai stabilmente un partito personale e carismatico, con radicamenti molteplici nel territorio, un po’ americano e un po’ sudamericano, un po’ politico e un po’ extra o antipolitico. La novità rivoluzionaria è già alle nostre spalle, verrebbe di dire a Bersani, e l’Italia è anomala anche perché invece di un partito socialista di tipo europeo, che dovrebbe attenersi ai consigli di Anthony Giddens, egli stesso ha contribuito a costruire un partito democratico dal nome americano, che dovrebbe valutare con più attenzione e meno pregiudizi i modesti consigli che arrivano dalla società.
Lo ripeteremo fino alla noia. Non proponiamo un partito depoliticizzato, freddo, astratto, solo elettorale, e magari infiltrato dalle lobby del denaro e del potere e della reazione sempre in agguato. Proponiamo un modello che è implicito nel nome del partito che è stato varato con le primarie e nelle primarie stesse e nel loro straordinario e innovativo e rivoluzionario risultato: un partito dei cittadini, che serve la politica come strumento per selezionare la classe dirigente a ogni livello, rimettendo ad essa le politiche pubbliche nel funzionamento ordinario delle istituzioni, e alimentando e nutrendo questa selezione con l’attività della società organizzata in movimenti e gruppi di interesse e correnti di cultura e di idee. Non è un’idea liquida, è un’idea solida, e per ora a occhio e croce l’unica su piazza. L’unica che verrebbe percepita come un fattore vero, serio, responsabile e inventivo di innovazione politica, civile e istituzionale, senza recintare di nuovo una massa di elettori che partecipano alla scelta di una leadership per il governo del paese nell’orto di un esercito di iscritti che servono alla misurazione di rapporti di forza interni tra dirigenti che alimentano la vita d’apparato, il dibattio interno e i suoi inevitabili gerghi. Sia detto senza alcun moralismo antipolitico, visto che la storia di partiti e apparati è stata gloriosa, ha prodotto insieme ad alcune evidenti storture anche il meglio della nostra vita democratica repubblicana, ma appartiene a un passato irriproducibile.
Si dice: senza tessere è troppo, facciamo un partito snello, ché oltretutto quelli pesanti sono ormai inconcepibili. Ma siamo alle solite vie del mezzo, e stavolta minacciano di non funzionare. Di risolversi in una estenuante chiacchiera. L’innovazione deve essere un fatto, non può più essere solo un discorso. E un fatto all’altezza delle primarie e del loro significato. Su una base culturale condivisa, muniti della sola carta d’identità e di qualche euro, i cittadini iscritti nelle liste elettorali primarie dei democratici possono scegliere di aderire a un progetto di partito-strumento che ha per anima idee, programmi e persone destinate al governo delle città, delle regioni, del paese. La fine del partito tradizionale, chiuso, sarebbe una rivoluzione che si ripercuoterebbe sulle istituzioni e sull’intero sistema politico, con effetti benefici. Prendersi qualche rischio per fare una cosa nuova e proporre un’Italia politica nuova: non era questo il senso del Partito democratico?
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