L'ostacolo all'uscita dell'Italia dalla depressione sono "i mercati finanziari" - GZ
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By: GZ on Venerdì 26 Settembre 2014 14:03
Dopo sei anni di crisi gli economisti italiani ufficiali hanno cambiato "un poco" idea (^Luigi Zingales: "perché ho cambiato un po’ idea su euro e Merkel" 21 sett 2014#http://www.formiche.net/2014/09/21/luigi-zingales-perche-ho-cambiato-idea-euro-merkel/^). Anche Draghi come noto un mese fa #i# ha cambiato un poco idea#/i# visto che ha dichiarato che bisognerebbe trovare il mondo di spendere un poco di più e che bisogna far risalire un poco l'inflazione. Draghi ha detto solo "un poco" (solo qualche decina di mld in infrastrutture e forse un punto e mezzo di inflazione in più, perchè punta sempre a dare soldi alle banche perchè li prestino...)
Giavazzi e Tabellini (che erano per l'austerità) a fine agosto hanno fatto un voltafaccia e ^scritto che si deve creare della moneta per finanziare i deficit#http://www.voxeu.org/article/how-jumpstart-eurozone-economy^, invece di finanziarli sempre con debito. L'obiezione che subito hanno ricevuto da altri economisti italiani noti è che ^creare moneta spaventa i mercati finanziari, vedi Roberto Perrotti#http://www.voxeu.org/article/eurozone-recovery-there-are-no-shortcuts^. Perrotti scrive: "sì, in teoria è giusto creare 80 mld e ridurre le tasse,... ma nel mondo reale i bond hanno un rischio, se stampi 80 mld provochi panico dei mercati, crash dei titoli di stato... poi le banche che ne sono piene vanno sotto.." (#i# in the real world, government debt can be and is risky, and markets do not like to see it increase – particularly in countries with a high initial level of debt or spending. Without a commitment to decreasing spending in the future, financial markets might panic.."). #/i#
#F_START# size=5 color=black #F_MID#Questa obiezione è corretta, i mercati finanziari non vogliono che si crei moneta#F_END#, come ho sottolineato più volte, per il semplice e fondamentale motivo che i mercati finanziari sono essenzialmente mercati del DEBITO.
Semplificando al massimo, più moneta crei e meno occorre indebitarsi, meno bonds occorrono e in più i bonds calano di valore. Questo non va bene perchè il business delle banche, dei mega fondi, degli hedge funds e altre istituzioni finanziarie è IL DEBITO
Questo è il problema oggi fondamentale che gli economisti accademici, da Giavazzi a Zingales ad Allesina a quelli keynesiani anti-austerità a quelli per il ritorno alla lira non sembrano capire (perchè lo stesso vale ovviamente anche per il ritorno alla lira). Ci sono di mezzo i "mercati finanziari" globali, i quali se necessario spazzano via i governi in pochi giorni (Berlusconi docet)
Ora come rispondono Giavazzi e Tabellini all'obiezione di Perrotti, che si incarica di spiegargli che al mercato finanziario non va che si crei moneta per ridurre le tasse e far uscire l'Italia dalla Depressione ? Dicono che agli inglesi e americani il gioco è riuscito, hanno aumentato i deficit pubblici finanziandoli con moneta dal 2009 e non c'è stato nessuna "destabilizzazione", come pudicamente chiamano la reazione dei mercati Giavazzi e Tabellini (^"Un’unica via per la ripresa dell’Eurozona"#http://www.lavoce.info/ununica-via-per-ripresa-delleurozona/^, 19 sett 2014)
#ALLEGATO_1#
Sorvolano però sul fatto che c'è stata inflazione tra il 3 e il 4% dal 2010 in poi in USa e UK, i rendimenti reali dei loro bonds sono andati negativi perchè la FED e la BCE ne comprava tonnellate e sono tuttora rendimenti negativi cioè pagano l'1% e rotti (a cinque anni) con inflazione al 2% e rotti. I "mercati finanziari" con gli inglesi e americani non hanno fatto una piega, per ora, per cui potrebbero sopportare un 3-4% inflazione anche da noi ?
Il New York Times ad es. ha reportage dedicato ai benefici dell'inflazione, citando tutti quelli che la vedono necessaria ora come soluzione, con gente come ^Ken Rogoff che parla di un +6% di inflazione per gli USA come obiettivo#http://www.nytimes.com/2013/10/27/business/economy/in-fed-and-out-many-now-think-inflation-helps.html?pagewanted=2&_r=2&emc=eta1^ (per gli USA!, immagina per l'Italia). Come si sa i keynesiani "de sinistra" sono in genere un poco inflazionisti, inutile negarlo, Krugman, Rogoff, Stiglitz.. mentre quelli di "Chicago" (Lucas, Cochrane...) e i tedeschi invece no, preferiscono un inflazione zero o quasi.
Come si sa però anche TUTTE LE BANCHE CENTRALI HANNO DA 25 ANNI UN OBIETTIVO DI INFLAZIONE INTORNO AL 2%, cioè la teoria e la prassi ufficiale è che l'inflazione zero faccia male. Ci sono paesi come il Canada dove da 20 anni la Bank of Canada ogni singolo anno centra il 2% di inflazione, (a volte 2,2% a volte 1,8%...non sbagliano mai un anno).
Ora Draghi dichiara che vuole far salire l'inflazione EU, così come ha fatto il Giappone l'anno scorso e come hanno fatto inglesi e americani, che avevano inflazione 0% nel 2009 e l'hanno fatta risalire tra 2% e il 4% successivamente creando moneta. Perchè ovviamente non ci piove#F_START# size=3 color=magenta #F_MID# che creando moneta puoi creare inflazione e il problema è solo la percentuale giusta#F_END#, a seconda delle circostanze quello che prescrive il dottore sarà un 2% o un 3% o un 4% o un 5%...
C'è chi dice che in certi casi anche un 6% è necessario (come Ken Rogoff) e come ho mostrato quando l'Italia aveva inflazione vicina al 10% negli anni '70 il suo PIL cresceva lo stesso anche del 3-4% l'anno. Ma negli anni '70 i movimenti dei capitali erano vincolati e limitati in tanti modi, oggi invece sono totalmente liberi. Tra parentesi i keynesiani di oggi non si ricordano mai che il loro Keynes a partire dal 1936 circa si era convertito al protezionismo e ai controlli sui capitali. In più, oltre a liberalizzare completamente i movimenti di capitale si è anche impedito, negli anni '80, agli stati di creare moneta. Risultato: il debito è triplicato e chi ha in mano il debito (i bonds) oggi comanda il mondo
Dato che il debito ora è tre volte e mezzo il PIL medio in occidente e che il mercato del debito (bonds) è senza vincoli e senza limiti e muove migliaia di miliardi attraverso il mondo nello spazio di ore... sai qual'è infatti la conseguenza ? Oggi chi detiene il debito, chi ha e muove i bonds sui mercati finanziari, tiene per le palle i governi e le nazioni
#F_START# size=3 color=magenta #F_MID#Se non neutralizzi allora i "mercati finanziari" globali non puoi fare niente#F_END# , perchè questi sono in pratica un eufemismo per i creditori, chi vive con gli interessi del debito.
L'ostacolo vero all'uscita dell'Italia dalla depressione sono "i mercati finanziari", cioè "I CREDITORI", quelli che vivono di debito, incassando interessi (e speculando sul debito). Lasciamo da parte il fatto che questi a loro volta si indebitano e usano leva finanziaria, cioè non è vero che sono "risparmi" che vengono investiti (vedi Pimco, che ha rivelato quest'anno di aver comprato 70 MILIARDI DI DOLLARI DI FUTURES per aumentare la sua leva).
#F_START# size=3 color=black #F_MID# Nel mondo dei mercati finanziari (del debito)
non vogliono i default
non vogliono l'inflazione
non vogliono la svalutazione#F_END#
Vogliono ricevere i loro interessi in valuta che non si svaluta, con interessi di 2 o 3 punti sopra l'inflazione e senza rischio, come hanno fatto per gli ultimi 30 anni. Dal loro punto di vista è comprensibile, così come è comprensibile che i dipendenti del Senato vogliano mantenere i loro stipendi da 300mila euro l'anno, i magistrati della Corte Costituzionale i loro 500mila euro, quelli della Regione Sicilia...
#F_START# size=3 color=black #F_MID# Nel mondo invece del lavoro, delle imprese, della produzione, delle famiglie... la svalutazione, l'inflazione o anche il default possono essere utili.#F_END#, dato che in aggregato e in maggioranza invece hanno debiti
Il fatto è che oggi mercati finanziari sono colossali, 80 mila miliardi di bonds che circolano ovunque, senza limiti, di continuo, trattati e in mano a mega istituzioni finanziarie che assumono i politici e funzionari di stato. Per cui oggi "i mercati" effettivamente dominano la politica economica e quindi dominano le nazioni
Riassumiamo: finalmente, dopo soli sei anni, gli economisti ufficiali si accorgono che si può creare moneta, se ne manca in giro, che non è vero che "non ci sono i soldi", perchè i soldi possono essere creati senza alcun costo dalla banca centrale o dallo stato (e anche le banche in realtà li creano dal niente senza costo..). E' un passo avanti, ma ovviamente data la depressione in cui son cadute Spagna, Italia, Portogallo, Grecia e la crisi della Francia stessa occorrerebbe ora creare centinaia di miliardi e quindi inevitabilmente l'inflazione può salire anche lei, diciamo dallo 0% al 4%. Draghi parla di tornare al 2%, ma se fai dei deficit ora in Italia di 80 miliardi addizionali (oltre i 45 mld attuali di deficit annuo), lo stato spenderà sempre per 800 mld, ma incasserà di tasse meno di 680 mld per un deficit di 125 mld circa l'anno.
I "mercati finanziari" accetteranno che l'Italia faccia deficit annui di 125 miliardi (e Spagna, Francia ecc.. anche loro per numeri simili) ?
Notare che se torni alla lira il problema è peggiore, perchè in quel caso un inflazione del 6% o anche 8% è probabile e hai anche una perdita secca del 20 o 30% causa svalutazione per i detentori esteri di BTP, per cui la probabilità di un crash del mercato obbligazionario è maggiore
Sia che cerchi di creare moneta all'interno dell'Euro (sperando che la BCE finanzi lei comprando BTP con moneta che lei crea dal niente), sia che pensi di ritornare alla Lira il problema alla fine è sempre lo stesso: un "panico dei mercati finanziari" cioè un crash dei bonds...
---#i#
Giavazzi e Tabellini rispondono tre giorni fa
^"Un’unica via per la ripresa dell’Eurozona"#http://www.lavoce.info/ununica-via-per-ripresa-delleurozona/^
19 sett 2014 Francesco Giavazzi e Guido Tabellini
L’affermazione che una politica fiscale anticiclica accompagnata da quantitative easing sia economicamente destabilizzante non è giustificata alla luce delle esperienze di Stati Uniti e Regno Unito. Resta l’unica strategia con più probabilità di successo nella situazione attuale.
POLITICHE FISCALI ANTI-CICLICHE: STABILIZZANTI O DESTABILIZZANTI?
In un recente articolo su lavoce.info, Roberto Perotti scrive di non essere d’accordo con la nostra proposta di una espansione monetaria e fiscale coordinate nell’area dell’euro, attuate tramite #F_START# size=4 color=magenta #F_MID#una temporanea riduzione delle tasse finanziata con emissione di moneta#F_END# . Roberto Perotti non mette in discussione l’efficacia della proposta nello stimolare la domanda aggregata. Ma sostiene che un’espansione temporanea del deficit di bilancio dell’ordine del 5 per cento del Pil non possa essere riassorbita in modo credibile attraverso un piano di tagli futuri della spesa. E afferma che riassorbire un taglio delle tasse di oggi attraverso aumenti di tasse future sarebbe destabilizzante, economicamente e politicamente.
Le politiche avviate negli Stati Uniti e nel Regno Unito durante la grande recessione contraddicono la seconda parte dell’argomentazione di Perotti, come mostra la tavola qui sotto. Gli Stati Uniti hanno fatto crescere il loro deficit di bilancio di quasi il 7 per cento del Pil in un anno, attraverso una combinazione di maggiori spese e minori entrate. Meno della metà di questo aumento è dovuta all’effetto degli stabilizzatori fiscali, il resto riflette scelte politiche discrezionali.
Negli anni successivi questa espansione del bilancio federale è stata riassorbita. In parte perché l’aumento del deficit era riconducibile a misure “una tantum”, adottate per salvare alcune istituzioni finanziarie; in parte, il riequilibrio è avvenuto in modo automatico con la ripresa dell’economia; e in parte è stato ottenuto attraverso cambiamenti nella politica di bilancio, come ad esempio il “Sequester” del 2013. Al netto degli effetti degli stabilizzatori automatici, le spese federali si sono ridotte di più del 2,5 percento del Pil tra il punto più basso del ciclo economico e oggi, mentre le entrare federali (sempre al netto degli stabilizzatori automatici) sono cresciute di circa il 3 per cento del Pil durante lo stesso periodo (fonte: Congressional Budget Office).
Nel Regno Unito l’espansione del deficit è stata simile a quella degli Stati Uniti: + 6,4 per cento in un solo anno, anche in questo caso ottenuta attraverso una combinazione di maggiore spesa e minori entrate fiscali, e per i due terzi dovuta a decisioni di policy. L’espansione fiscale è stata poi completamente riassorbita nel periodo 2010-2013, con circa metà della contrazione (56 per cento) dovuta a misure di policy, quasi interamente sul lato della spesa.
Nell’Eurozona l’espansione fiscale del 2008-2009 è stata minore – con il disavanzo complessivo dell’area che ha registrato un aumento del 4,2 per cento del Pil, circa due terzi di Stati Uniti e Regno Unito. Metà di questa espansione è stata ottenuta attraverso misure di policy. Come nel Regno Unito, l’espansione fiscale è stata in seguito completamente riassorbita, ma con due differenze significative. Le misure discrezionali prese per realizzare la contrazione sono state di un ordine di grandezza doppio rispetto a quelle che hanno accompagnato l’espansione: una contrazione del 4 per cento del Pil nel periodo 2010-2014 rispetto a una espansione discrezionale pari al 2 per cento del Pil nel 2008-2009. Ma quello che è ancora più importante è che lo stimolo di politica fiscale è stato pro-ciclico, in quanto è stato attuato nel mezzo della crisi di debito sovrano che ha ristretto il credito e aumentato l’incertezza economica nel Sud dell’Europa. Inoltre, in molti paesi ha preso solo la forma di un’impennata delle tasse. Il risultato sono stati due anni di recessione che hanno eroso parte dei miglioramenti di bilancio.
C’è un consenso quasi unanime tra gli economisti sul fatto che le politiche anti-cicliche messe in atto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, accompagnate da un eccezionale allentamento monetario, abbiano contribuito a stabilizzare le fluttuazioni cicliche e spieghino la ripresa molto più veloce di queste economie rispetto all’Eurozona (sebbene l’epicentro della crisi finanziaria sia stato proprio nei paesi anglosassoni e non nell’Europa continentale). L’affermazione che, nelle condizioni attuali, una politica fiscale anticiclica accompagnata da quantitative easing sia economicamente destabilizzante è quindi difficile da comprendere, anche se fosse realizzata interamente attraverso riduzioni di imposte non accompagnate da tagli di spesa futuri.
Come si è visto, nei paesi anglosassoni il ritorno della crescita ha contribuito in maniera rilevante a riassorbire i disavanzi. E questo è esattamente il punto: accadrebbe lo stesso anche nell’Eurozona.
Tra il 2009 e il 2013, dopo che l’output gap nell’Eurozona è passato dal +3,2 per cento al -3 per cento, il saldo di bilancio complessivo aggiustato per il ciclo si è ridotto di circa 4 punti percentuali di Pil. In alcuni paesi, la restrizione pro-ciclica è avvenuta principalmente attraverso tagli alla spese (in Spagna in particolare) ed è stata più innocua. Altrove, come in Italia, si è basata interamente su un inasprimento delle tasse e ha prodotto una grave e duratura recessione. Parte del taglio alle tasse che proponiamo semplicemente cancellerebbe gli aumenti pro-ciclici delle imposte varati in questi paesi al culmine della crisi del debito sovrano. Quando redditi e prezzi cominceranno di nuovo a salire, una parte dell’espansione di bilancio si ridurrà automaticamente senza la necessità di alcun intervento, come è avvenuto negli Usa e nel Regno Unito. Se l’elasticità del bilancio al ciclo fosse simmetrica (non è necessariamente così) e utilizzando i numeri del deterioramento di bilancio sperimentato nell’area euro tra il 2007 e il 2009 (un calo ciclico del bilancio, cioè al netto degli interventi, del 2 per cento del Pil, a fronte di un peggioramento dell’output gap del 6,6 per cento), un azzeramento dell’output gap dal livello attuale (-3,8 per cento alla fine del 2013) migliorerebbe automaticamente il deficit dell’Eurozona dell’1,2 per cento del Pil, un numero relativamente piccolo, ma non trascurabile.
AZZARDO MORALE E CREDIBILITÀ DI FUTURI TAGLI ALLA SPESA
Roberto Perotti ripropone inoltre la tesi secondo la quale politiche monetarie e fiscali non stringenti creerebbero un azzardo morale, in particolare nei paesi del Sud Europa. Non c’è dubbio che i Governi cdi Italia e Francia potrebbero non avere la volontà politica, o la maggioranza in Parlamento, per portare avanti le importanti riforme strutturali che sarebbero nell’interesse di lungo periodo di questi paesi. Ma non è per niente certo che prolungare la depressione sia la ricetta migliore per favorire una maggiore disponibilità a realizzare le riforme. Anzi, è molto probabile che sia vero il contrario, per due motivi. Primo, una stagnazione ancor più lunga e un più alto tasso di disoccupazione possono solo rafforzare i partiti più radicali e populisti in tutta Europa. La recente crescita del Movimento 5 Stelle in Italia e dei sentimenti anti-euro in Francia non sono avvenuti per caso, sono la conseguenza dei fallimenti economici del progetto europeo. Secondo, l’opposizione politica ai tagli alla spesa e alle riforme strutturali tende a essere più forte quando l’economia è depressa, perché gli elettori percepiscono tali misure come veicoli di un ulteriore abbassamento della domanda aggregata e di un aumento dei licenziamenti.
La sequenza corretta, dal punto di vista sia economico che politico, è dunque una sostituzione intertemporale: tagli alle tasse espansivi ora per far ripartire la crescita e tagli alla spesa via via che l’economia si riprende. Per dare credibilità alle misure future, i tagli di spesa potrebbero essere votati subito dal Parlamento, rimandandone però avanti nel tempo l’entrata in vigore, e con un impegno di legge (una clausola di salvaguardia) ad alzare le tasse di un ammontare corrispondente se i tagli alla spesa dovessero essere abbandonati.
ESISTE UNA STRATEGIA ALTERNATIVA?
La strategia alternativa suggerita da Perotti – passi incrementali e simultanei per ridurre spesa e tassazione allo stesso tempo – può funzionare in tempi normali, ma è politicamente troppo difficile da percorrere nelle attuali circostanze. Inoltre, e più importante, non coglie assolutamente il punto centrale: in questo momento abbiamo bisogno di un importante sforzo coordinato per far ripartire la domanda aggregata nell’Eurozona. Non si può lasciare questo compito alla sola Bce, pena il fallimento.
Il nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha proposto di aumentare gli investimenti pubblici per un totale cumulato di 300 miliardi di euro nei prossimi anni. Tuttavia, è probabile che anche questa strategia non riesca nell’intento, perché la spinta alla domanda aggregata arriverebbe troppo tardi e perché le risorse sono troppo scarse per fare la differenza (il ministro delle Finanze della Germania, Schauble, ha già ridotto la cifra totale, lasciando intendere che la somma complessiva dovrebbe includere i fondi strutturali e dovrebbe essere finanziata anche dal settore privato).
L’intervento di Mario Draghi a Jackson Hole, il suo riconoscimento che la crescita in Europa è vincolata dalla carenza di domanda, che la politica appropriata per allentare i vincoli è uno sforzo coordinato di politica monetaria e fiscale, e che la politica monetaria può giocare solo il ruolo di accompagnare la crescita, ma può difficilmente esserne il motore, ha cambiato il panorama politico. Se i governi dell’area euro non colgono questa opportunità e continuano a cercare scappatoie, passeranno alla storia come i responsabili della distruzione dello sforzo, che dura da sessanta anni, per costruire un continente senza guerre. Sfortunatamente sembrano proprio determinati a farlo.#/i#