Per chi fosse curioso delle percentuali rispetto a chi è vaccinato e non vaccinato, cioè volesse controllare l’incidenza anche in base al numero di persone vaccinate e non, anticipiamo che avrebbe una sorpresa. Dai 40 anni in su, questi numeri si traducono in percentuale di “casi positivi” maggiori tra i vaccinati (solo per i giovani è il contrario).
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In verità il “sorpasso” dei positivi tra i vax rispetto ai no va, comprende anche la popolazione inglese tra i 30 e 39 anni che il report week 42, riferito alle 4 settimane precedenti, mostra in questi termini:
No vax ogni 100.000 persone – 751,1 contagi
Vax con dp. dose ogni 100.000 - 956,7 contagi
Tra l’altro fra i 40 e 49 anni i vaccinati si contagiano quasi 3 volte di più.
No vax ogni 100.000 persone – 772,9 contagi
Vax con dp. dose ogni 100.000 - 1731,3 contagi
Se a questo si aggiunge il fatto che la popolazione sotto i 18 anni contribuisce per il 44% dei casi covid registrati, si comprende perfettamente la strategia seguita dagli inglesi e, presumo, da danesi e scandinavi.
Ne parlavo giorni fa.
Non impedire che il virus circoli (pochissime restrizioni) per favorire la diffusione fra la popolazione più giovane (più forte e meno a rischio) e conseguire una diffusa immunità naturale che, secondo molti, è migliore di quella prodotta dal vaccino.
Proteggere le fasce più deboli con la terza dose per limitare quanto più possibile lo stress delle strutture ospedaliere.
Perché qui bisogna fare i conti con la realtà.
Se è vero che il vaccino protegge per almeno 6 mesi dagli effetti gravi della malattia, è altrettanto vero che non riduce il contagio e quel che è peggio produce a “fine corsa” l’inquietante effetto di INCREMENTARE di brutto i casi covid con il rischio di compromettere il sistema immunitario dei plurivaccinati.
Il vaccino che, come una droga, fa star meglio per un po', ma che abusandone obbliga alla dipendenza.
La scelta inglese è coraggiosa e, a mio avviso, la miglior cosa da fare.