volentieri (e continuerò fino a quando ciuco e/o u.i.llie tenteranno di nasconderlo con i loro intelligentissimi ed appropriatissimi commenti)
La storia del Comitato Terapie Precoci meriterebbe di essere raccontata in uno di quei grandi film alla Steven Spielberg, dove persone comuni vengono scosse da una consapevolezza improvvisa e qualcosa le spinge a trasformare le loro esistenze, fino a quel momento perfettamente normali, in vite rivoluzionarie. (Altro che il film sull'inventore della bomba atomica). Comincia con i bollettini dei morti, le lugubri conferenze stampa che blindano le persone in casa, le immagini di Bergamo, i camion militari che trasportano le bare di gente morta per una malattia gravissima e sconosciuta. Fin da subito, però, alcuni medici si accorgono dell'assurdità di affrontare una patologia che viene definita mortale con l'attesa, in fondo lo sanno anche i bambini che ogni malattia prima si cura e meglio è. Allora visitano come hanno sempre fatto, provano con dei farmaci di uso comune, ignorano il clima di terrore. Nelle loro teste risuonano i principi a cui hanno prestato giuramento il giorno in cui sono diventati medici. Un avvocato, noto per delle cause calcistiche di rilievo nazionale, si propone di organizzarli, li raccoglie insieme, elabora un meccanismo per smistare le richieste attraverso un gruppo Facebook. Intanto viene formalizzato un protocollo, lo discutono con luminari di tutto il mondo, lo sottopongono a degli studi. L'influenza è più pesante di quelle stagionali, ma la cura funziona, i medici e i volontari ricevono continue conferme di guarigione, anche da persone di 80, 90 anni. Da decine diventano centinaia, da centinia migliaia. Salvare vite fa scorrere l'adrenalina, medici e volontari lavorano di notte, rinunciano al proprio tempo libero. Ma in televisione continua il bollettino dei morti e gli annunci delle istutuzioni, che dovrebbero evitare il panico, sembrano sempre più una strategia di manipolazione psicologica per generare allarme: "rinunciamo all'autunno per salvare il Natale, rinunciamo al Natale per salvare la Pasqua..." I medici vogliono spiegare al ministro che il modo di curare esiste, ma il ministro si rifiuta di incontrarli. Allora il noto avvocato passa alle manifere forti: ricorre al TAR per abolire il protocollo Tachipirina e vigile attesa, il TAR gli dà ragione, ma il consiglio di Stato impugna la sentenza. Ormai è chiaro che quel protocollo non è solo un errore. E' qualcosa di indicibile, che fa paura solo pensare. Per smuovere le istituzioni vengono organizzate due manifestazioni: una a Roma e una Milano. Le piazze si riempiono, partecipano decine di migliaia di persone. Dalle piazze sale spontaneo un grido rivolto al governo: "criminali". I media ignorano, oppure minimizzano. Un sito di fact checking, diretto da un noto giornalista televisivo, arriva a dire che si tratta della "solita manifestazione". Eppure mai, nella storia repubblicana, si era vista una piazza con migliaia di medici che, invece di aumenti di stupendio o diritti sindacali, chiedono di poter curare le persone efficacemente. Il ministero continua ad ignorare le richieste di confronto, anche quando una terza manifestazione viene organizzata proprio davanti al suo portone. Quando inizia la vaccinazione è impossibile allontanare il sospetto che negare le cure serviva proprio a giustificare la violenta campagna di inoculazioni. Ma questo non si può dire perché si rischia di essere etichettati come complottisti.
Purtroppo l'unica cosa che manca a questa storia è un lieto fine. Le dichiarazioni del presidente di AIFA, che a Porta a Porta lo scorso maggio ha candidamente ammesso che "non serviva certo tachipirina e vigile attesa bensì gli antinfiammatori", lascia un sapore ancora più amaro, molto lontano dal bisogno di giustizia che prova chi ha vissuto questa storia.
Sono stato onorato di aver partecipato alla loro festa, dopo mesi e anni di battaglie e di fatica. Non mi aspetto certo che qualche produttore rinunci alla sua commedia della rimpatriata tra cinquantenni per fare un film su di loro, ma per tutti noi, spero che abbiano il loro lieto fine.
Adalberto Gianuario.