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La speculazione nelle bollette di luce e gas
IL CASO. L’Autorità per l’energia ha deciso: dal 1° ottobre il costo di rifornimento del gas sarà indicizzato non più ad Amsterdam, ma in Italia. Ma siamo sicuri che sia vera svolta?
Edizione del 19 agosto 2022
Luigi Pandolfi
Martedì scorso, il prezzo del metano è andato sopra i 240 euro per Mwh (erano 18 euro a marzo 2021). Un nuovo record. Parliamo, invero, del prezzo di contratti derivati aventi come sottostante il gas naturale (futures). Si fissa il prezzo oggi per consegne (virtuali) che avverranno dopo mesi. Scommesse. In questo caso, la scommessa su un forte rialzo dei prezzi a partire dal prossimo autunno. Sullo sfondo, la guerra. Un gioco che stanno già pagando famiglie e imprese con le bollette di luce e gas. Insieme allo Stato – di nuovo i cittadini – che tra giugno 2021 ed aprile 2022 ha dovuto stanziare 9,7 miliardi per il caro-bollette. Soldi sottratti ad altri necessari interventi in campo sociale e sanitario.
Se fossimo al tempo di Marx – o anche di Adamo Smith -, quel che sta accadendo ci avrebbe lasciati a dir poco basiti. Allora, il fenomeno dei prezzi era una cosa semplice da spiegare. Il valore di una merce è dato dal lavoro socialmente necessario per produrla. Prezzo e valore, a questo stadio, coincidono, ma il primo più variare rispetto al secondo, a causa dell’oscillazione della domanda e dell’offerta. Tutto molto reale. Il lavoro, il prodotto del lavoro, la merce e il suo scambio, reale, sul mercato. Ciò che, un po’ più tardi, sarà messo in disparte dai «marginalisti». Cambio di paradigma: il valore di un bene è dato dall’«utilità» attribuita allo stesso dai consumatori. Ma rimaneva comunque una teoria del mondo reale. C’erano la produzione, i beni, la loro utilità per persone in carne ed ossa.
Vanno ancora così le cose nel capitalismo? Sì e no. L’estrazione di valore non ha più nel «lavoro vivo» la sua unica fonte e, per certi versi, il suo limite. E il mondo reale, quello della produzione e del consumo, è stato gradualmente sussunto a quello finanziario-speculativo. Il «finanzcapitalismo» di Luciano Gallino, grosso modo. Vale anche per il gas.
In Italia, fino al 2013 il suo prezzo era determinato sulla base di contratti a lungo termine indicizzati al prezzo dei petrolio. Una garanzia di (relativa) stabilità. Poi è arrivata la «riforma» (avvio nel 2011). Liberalizzare per favorire i consumatori. Solito mantra. Il prezzo si fa ad Amsterdam, al mercato virtuale Ttf (Title Transfer Facility), così da allineare i nostri prezzi a quelli più bassi d’Europa (taumaturgia dei mercati concorrenziali). Prezzo del gas ridotto, guadagni in bolletta. Più precisamente, l’Autorità per l’energia (Arera) parlava dell’opportunità di «trasferire nelle bollette i benefici dell’azzeramento dello spread fra i prezzi nazionali e i più favorevoli prezzi europei». Come se i «prezzi europei» fossero un dato acquisito per sempre e non fossero, invece, il riflesso di dinamiche congiunturali. E, soprattutto, delle aspettative degli investitori.
Lo dimostra, ancora adesso, il gap tra prezzo del «gas doganale» (quello reale dei metanodotti) e prezzo del «gas olandese» (scambiato virtualmente con contratti «derivati»). Un rapporto di uno a cinque. Ma il prezzo della nostra bolletta dipende dal primo o dal secondo? Purtroppo dal secondo. Perché il calcolo del costo della materia prima segue l’andamento dei futures. Di fatto, ad essere «trasferiti» in bolletta sono stati solo i costi della speculazione.
Intanto, l’Autorità per l’energia ha deciso che dal 1° ottobre il costo di rifornimento del gas sarà indicizzato non più ad Amsterdam, ma in Italia. Non si utilizzeranno più come riferimento le quotazioni di contratti derivati a termine, ma la «media dei prezzi effettivi» del mercato Psv italiano (l’hub nazionale dello «scambio virtuale»). Ma siamo sicuri che sia vera svolta?
A guardare l’andamento del prezzo Ttf e di quello Psv fino ad oggi, ciò che balza agli occhi è la loro (quasi)sovrapponibilità. E c’è una ragione. Il Ttf olandese è un indice di riferimento per tutto il mercato europeo (benchmark). Ciò che avviene lì, si riflette anche sui mercati locali. Evidentemente, il problema è più di fondo. Chiama in causa il rapporto tra finanza e bisogni. I bisogni dei singoli e quelli della produzione. Un tempo si diceva che nel capitalismo la produzione è per il mercato, non per i bisogni sociali. È ancora così. Ma con una differenza rispetto al passato: oltre il 90% dei capitali che girano per il mondo non hanno alcun legame con la produzione materiale di beni e servizi. Soldi per fare soldi. Ma non per questo la loro sorte non ci riguarda. A maggior ragione se le scommesse di players anonimi finiscono per determinare il costo della (nostra) vita.