By: GZ on Venerdì 19 Agosto 2011 04:36
Come scegliere il miglior paradiso fiscale ?
.... nell’ambito del nostro continente, potremmo mettere a confronto i vari regimi fiscali per valutare dove sia più conveniente “fare impresa”. Tralasciando le eccezioni, rappresentate da incentivi a particolari settori economici o a zone geografiche circoscritte (come ad esempio le zone franche urbane) potremmo paragonare la pressione fiscale tenendo in considerazioni imposte simili, come le corporate tax, che in Europa vanno da un minimo del 9% in Montenegro, fino al 35% di Malta, passando dal 33,33% francese o il 12,50 irlandese.
^Classificazione dei paradisi finanziari#http://societaoffshore.org/classifica-paradisi-fiscali^
La legge italiana classifica i paradisi finanziari o fiscali in tre categorie:
paradisi fiscali leciti: Campione d’Italia, Gibilterra, Polinesia Francese, Principato di Monaco, Trieste;
paradisi fiscali parzialmente leciti: Antigua, Bahrein, Barbados, Cipro, Cook Islands, Costa Rica, Dominica, Emirati Arabi, Filippine, Giamaica, Libano, Liberia, Malesia, Malta, Montserrat, Panama, Portorico, Saint Lucia, Saint Vincent, Singapore, Svizzera, Uruguay;
paradisi fiscali proibiti: Andorra, Anguilla, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Bermuda, Channel Islands, Gibuti, Grenada, Hong Kong, Isole Cayman, Isola di Man, Isole Vergini Britanniche, Liechtenstein, Macao, Nauru, Oman, Samoa, Saint Kitts and Navis, Seychelles, Turks and Caicos, Vanuatu.
Questa distinzione potrebbe far pensare, quindi, che investire o portare i propri risparmi a Montecarlo non comporti alcun problema con la legge del nostro stato mentre, aprire un’attività alle Bahamas sia vietato. Purtroppo non è così poiché tale distinzione è stata annullata dall’Unione Europea che, in materia di paradisi fiscali, ha recepito il Trattato GATT il quale stabilisce l’assoluta indifferenza tra questi stati.
In seguito all’adeguamento della nostra normativa al Trattato GATT, è oggi possibile per un’azienda nata in uno degli stati suindicati, sia essa di proprietà italiana, di imprenditori locali o di paesi terzi, operare nella nostra penisola senza pagare tasse sul reddito o oneri sociali (se previsto dal regime fiscale del suo paese) a patto che tutti i suoi dipendenti siano stati assunti nello stato in cui è stata fondata.
Tutto ciò può essere un bene per i clienti di tali aziende e per gli imprenditori in grado di investire in paesi con regimi fiscali agevolati ma, allo stesso tempo, aumenta la competizione nel mercato: la globalizzazione ha allargato la scala di riferimento per le imprese, che oggi devono confrontarsi con competitors provenienti da ogni parte del mondo, anche con aziende che, grazie ad un’imposizione fiscale bassa o nulla, possono lottare più facilmente nella battaglia dei prezzi.