per la serie "io so' io (un magistrato) e voi non siete un cazzo"
Il massimario delle decisioni del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) riporta una decisione molto interessante, la n. 3 del 2024. Si trattava del caso di un magistrato sottoposto a procedimento disciplinare perché era entrato negli uffici dove lavorava senza il famigerato green pass.
Sottoposto a procedimento disciplinare il CSM ha ritenuto la sua condotta “di scarsa rilevanza” perché secondo “una valutazione globale della vicenda, la lesione del bene giuridico “specifico” della salute e dell’incolumità pubblica non è stata affatto grave, laddove ad una verifica ex post ed in concreto la condotta del magistrato non ha mai esposto a contagio né messo a repentaglio il bene della salute singola e collettiva.”
Secondo l’autorevole parere del CSM, nel caso dei magistrati senza green pass bisognava verificare in concreto se nello specifico c’era un rischio di contagio. E, se non c’era, il magistrato non subisce conseguenze disciplinari.
Un principio di buon senso. Il green pass, come ormai è notorio, non serviva a niente giacché il test PCR era una frode scientifica e il vaccino non preveniva il contagio, come ci ha chiarito AIFA. Prima di sanzionare e multare le persone sarebbe opportuno verificare se la mancanza del green pass ha rappresentato un pericolo effettivo. Senza un rischio reale non dovrebbero esserci multe, sanzioni e sospensioni.
Bene, dunque, ma non benissimo.
Infatti, mentre le regole ragionevoli e sensate che si leggono nella decisione del CSM valgono per i giudici, per tutti gli altri comuni mortali, sospesi e multati perché non avevano il green pass, vige il rigore della “legge” e i giudici si ostinano a non riconoscere gli stipendi ai lavoratori illegittimamente esclusi dal lavoro. D’altro canto, la Corte costituzionale ha ritenuto “non irragionevole né sproporzionata” la scelta di sospendere i lavoratori non vaccinati.