By: lutrom on Martedì 19 Luglio 2011 01:31
Un argomento che mi ha sempre interessato è il declino ed il crollo dell'impero romano (declino che, un po', ci parla, mutatis mutandis, anche dei tempi nostri: eppure la storia solo raramente è magistra vitae, in quanto poi gli uomini spesso non apprendono dagli errori del passato...). Ho trovato a tal proposito delle cose che mi sembrano interessanti (almeno per me) e le incollo qui (non metto solo il link perché incollo solo gli interventi più interessanti, a parer mio).
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Da: http://aspoitalia.blogspot.com/2009/01/il-picco-dellimpero-romano.html
Il picco dell'Impero Romano
Posted by Ugo Bardi
Il "picco di Hubbert" dell'Impero Romano. Ci mancano dati storici dettagliati sull'economia romana, perciò dobbiamo affidarci ai dati archeologici. Qui vediamo alcuni elementi indicativi della vitalità dell'economia romana: l'inquinamento da piombo, indicativo dello stato dell'industria, la quantità delle ossa di animali, indicativo dello stato dell'industria alimentare, e il numero di navi naufragate, indicativo dello stato del commercio. Tutti questi indicatori hanno un massimo intorno al 1 secolo d.c., che corrisponde, in effetti, al momento di massimo fulgore dell'impero. (figura da "In search of Roman economic growth, di W. Scheidel, 2007")
L'imperatore Marco Aurelio (121-180 a.d.) ci ha lasciato le sue memorie che ci sono arrivate, intatte, attraverso quasi due millenni. Ci troviamo molti dettagli interessanti della vita di un uomo che si trovava a essere a capo di un immenso impero. Tuttavia, in queste memorie non riusciamo a trovare il sia pur minimo accenno dal quale si possa dedurre che l'imperatore si rendeva conto che qualcosa non andava con l'impero; che l'immensa struttura che si trovava a guidare stava già cominciando a scricchiolare. Pochi decenni dopo la morte di Marco Aurelio, l'impero andava incontro alla "crisi del terzo secolo" dalla quale non si sarebbe mai più veramente ripreso.
La caduta dell'impero romano è un argomento che ha affascinato gli storici per millenni. Questi, però, non sono mai riusciti a mettersi veramente daccordo sulle ragioni del declino e del crollo. A partire da Gibbon che lo attribuiva all'effetto del cristianesimo, si sono elencate letteralmente decine di cause per il crollo di una compagine che, al suo massimo splendore, sembrava invincibile e eterna. Negli ultimi tempi, - forse per esaurimento delle idee - era venuto di moda dire che l'impero non era mai veramente crollato, semplicemente si era trasformato in strutture politiche differenti. Ma questa interpretazione è stata recentemente abbandonata: i risultati delle ricerche archeologiche hanno documentato il crollo economico, e non solo politico, dell'Impero Romano.
Qui, non pretendo di mettermi alla pari con i tanti storici che hanno discusso con grande competenza questo argomento. Mi limito a proporre una mia interpretazione che è più che altro un piccolo esercizio di dinamica dei sistemi applicato all'impero romano. Per favore, non prendetela per niente di più di questo, ma può darsi che ci dia degli spunti di discussione interessanti.
Allora, il concetto di base della dinamica dei sistemi è quello di "feedback", ovvero il sistema risponde agli stimoli non in modo proporzionale agli stimoli stessi, ma amplificandoli o smorzandoli. Il feedback positivo è quello che causa la crescita rapida di un sistema quando il sistema risponde alla disponibilità di risorse incrementandone lo sfruttamento in modo esponenziale. E' così che crescono, per esempio, le popolazioni biologiche quando hanno abbondante cibo a disposizione. In questo caso, il feedback è strettamente correlato al concetto di EROEI, "ritorno energetico per investimento energetico, dalle iniziali in inglese. Più alto è l'EROEI più rapida è la crescita.
Nel caso dell'impero romano, come spieghiamo la crescita rapida del sistema a partire dal tempo della monarchia e della repubblica? Evidentemente, dobbiamo trovare le risorse di cui l'impero si "nutriva" per crescere. Non ci sono dati quantitativi in proposito, ma possiamo supporre che queste risorse fossero formate principalmente dal bottino delle conquiste. L'impero - come tutti gli imperi della storia - era un predatore dei popoli confinanti. Cresceva per mezzo di un meccanismo di feedback quasi biologico. Sconfitto un popolo confinante, si rubava tutto quello che si poteva rubare e poi si arruolavano gli sconfitti nelle legioni per fargli andare a conquistare altro bottino un po' più in la. Questo meccanismo si chiama accumulazione di capitale. Con l'oro accumulato si potevano pagare nuove legioni e con nuove legioni si potevano invadere nuovi territori e rubare ancora più oro. Al culmine della sua traiettoria, l'Impero aveva mezzo milione di uomini, oltre l'1% della popolazione, sotto le armi in oltre 50 legioni di soldati professionisti.
Tuttavia, il problema della crescita economica, qualunque sia la risorsa sfruttata, sta nella resa economica - meglio detto energetica - della risorsa stessa. Valeva la pena conquistare i popoli vicini solo se c'era una resa economica/energetica sufficiente per dare ai Romani la possibilità di accumulare risorse per nuove conquiste. Ma, col tempo, i Romani si sono trovati di fronte allo stesso problema che abbiamo noi oggi con il petrolio: si sfruttano prima le risorse ad alto EROEI dopo di che uno si trova in difficoltà con quello che rimane; a basso EROEI. In altre parole, l'EROEI diminuisce gradualmente col tempo e con esso la spinta alla crescita.
Al culmine della loro espansione, verso l'inizio del primo secolo a.d., I romani si trovavano in mancanza di prede. A Est, c'era l'impero dei Parti, troppo forte per essere conquistato. A Sud avevano il deserto del Sahara, dove non c'era niente da conquistare. A Ovest avevano l'Oceano Atlantico e a Nord popolazioni allo stesso tempo povere e bellicose: Germani, Pitti e Irlandesi. Tutte risorse a basso EROEI.
Non è un caso che il primo segnale dell'arresto dell'espansione dell'Impero sia arrivato con la sconfitta di Carrhae contro i Parti, nel 53 a.c. A portare le legioni romane in quella sfortunata spedizione in Oriente era Marco Licinio Crasso, a quel tempo "l'uomo più ricco di Roma". Questo ci dice qualcosa di come si accumulava la ricchezza nell'Impero Romano: con la conquista militare. A Carrhae, i Romani erano arrivati con un corpo di spedizione numeroso, bene armato e addestrato. Ma non si dimostrò sufficiente. Il feedback della conquista da positivo si trasformava in negativo. L'impero non accumulava più capitale; lo dissipava. Dal primo secolo in poi, la storia dell'Impero passa attraverso tante campagne militari, più o meno fortunate, ma la tendenza è sempre quella: il declino. Già Augusto aveva ridotto le legioni da 50 a 28, ma il numero di uomini in armi era sempre di oltre 300.000. Più tardi, la rivolta giudaica del 66 a.d. era stata l'occasione di depredare un nuovo nemico; con la differenza che la Giudea era una provincia dell'Impero. Predatore senza più prede, l'impero ormai divorava se stesso. Con il bottino del saccheggio di Gerusalemme, l'impero poteva lanciare una nuova guerra di espansione, quella contro la Dacia al tempo di Traiano. Fu l'ultima conquista Romana.
Il culmine della traiettoria dell'impero forse lo ha colto bene Marguerite Yourcenar nel suo "Memorie di Adriano." A un certo punto, ci descrive l'Imperatore Traiano, ormai non più giovane, che si è lanciato all'assalto dell'Asia e che si rende conto dell'enormità dell'impresa e dell'impossibilità di compierla. Forse, era proprio quell'istante il "Picco di Hubbert" dell'impero. Con la morte di Traiano, finisce un'epoca.
Dopo Traiano, la vita dell'Impero al tempo degli Antonini è quieta ed è anche prospera, ma c'è un problema: i conti non tornano. L'impero dissipa più capitale di quanto non ne incameri. E' come un orologio a molla che nessuno si preoccupa di ricaricare; deve fermarsi prima o poi. I Romani non si rendono conto che un'economia basata sull'agricoltura non può avere gli stessi ritorni economici di una basata sulla rapina. L'impero non riesce a vivere entro le proprie possibilità. Mantiene un immenso apparato militare e si imbarca in un costosissimo programma di "grandi opere" basato sulla fortificazione dei confini (i "limes") dell'impero. E' probabile che questa campagna di costruzioni sia stata più un grande affare per le lobbies militari/edilizie dell'epoca che una vera necessità strategica. Il fatto è, comunque, che i Romani si ritrovano con un immenso sistema di fortificazioni che dovevano essere presidiate a costi - come diremmo oggi - "insostenibili"
Per il terzo secolo a.d., l'impero è ridotto a un guscio vuoto; il nulla circondato da fortificazioni. Il crollo era inevitabile, anche se l'agonia durò un paio di secoli per l'impero di occidente e qualche secolo in più per quello d'oriente. Della fine dell'impero romano di occidente, ci resta il rapporto di Rutilio Namaziano, scritto nei primi anni del quinto secolo a.d. Namaziano, in fuga da Roma, vede il crollo dell'impero davanti ai suoi occhi ma nemmeno lui, come Marco Aurelio secoli prima, riesce a rendersi conto di cosa c'è che non va. Non riesce a capire le ragioni del crollo e le attribuisce solo a un temporaneo rovescio di fortuna.
La dura legge dell'EROEI non perdona.
trapper ha detto...
Non so se posso intromettermi per cercare una sintesi a quanto si diceva sull'impero romano, io ci provo.
Il modello dello stato di Roma era fondato inizialmente sullo sviluppo generato dall'appropriazione di risorse esterne, sia in termini di ricchezze monetarie che di nuovi territori con cui sopire le contraddizioni sociali interne.
Finche quello che si poteva prendere all'esterno valeva di più di quanto si doveva spendere per appropriarsene il sistema ha funzionato, anche a causa della enorme disparità sociale interna allo stato che spingeva buona parte della popolazione a cercare di migliorare la sua fortuna con la vita militare e conquistando nuovi territori di cui appropriarsi.
Quando ai confini dell'impero sono rimasti solo territori inospitali e con popolazioni più povere della plebe romana, la spinta per nuove conquiste si è fermata, facendo esplodere la contraddizione interna del sistema.
In pratica i romani, secondo me, non sono stati in grado di sostituire ad un sistema di accumulazione di ricchezza esogeno uno di accumulazione endogeno.
Con una quantità di ricchezze reali in declino, l'impero fu costretto a ridurre il numero delle legioni e la qualità delle stesse (i romani non si volevano più arruolare, forse non era più conveniente come nel passato, mentre i barbari, indisciplinati e con addestramento più approssimativo si) . A poco a poco la capacità di difendersi dell'impero diminuì sempre più finché non arrivò al collasso.
Quindi secondo me sono vere entrambe le tesi indicate; l'impero crollò perché non riuscì più ad avere un esercito sufficientemente grande per difendersi; e successe questo perché le risorse economiche disponibili diventarono sempre più esigue .
Secondo me l'imperatore che si rendeva conto del momento di decadenza avrebbe dovuto trovare l'artificio in base al quale spingere la parte depositaria della maggior parte delle ricchezze, il patriziato senatorio (titolare della maggior parte dei latifondi), a evolversi al suo interno cosa che, così facendo, avrebbe fatto progredire tutta la società romana. Ma come fare?
Per esempio ponendo a carico del singolo proprietario latifondista la difesa militare del suo territorio, imponendogli cioé di pagare le parte di spese generata dal reclutamento degli uomini necessari per difendere la sua proprietà.
In questo modo le legioni pagate dallo stato sarebbero state più libere di difendere i confini esterni dell'impero. Inoltre, per pagare le ingenti spese di difesa dei latifondi si sarebbero dovute sviluppare tecniche più intensive di coltivazione impiegando in modo massiccio lavoratori salariati e non solo schiavi, per cui anche gli squilibri sociali si sarebbero progressivamente ridotti; la ricchezza della società romana avrebbe avuto una spinta alla crescita endogena.
L'imperatore di oggi Obama, con gli altri governanti occidentali, non si rendono conto, si diceva, delle cause del declino; il motivo è sempre lo stesso secondo me. Il sistema che c'è stato finora non tiene più, ormai tutela solo i grandi ricchi sempre più ricchi, e provoca l'impoverimento della società nel suo complesso.
Secondo me, finché non sarà posto di nuovo come obiettivo primario delle scelte politiche e governative la crescita della società nel suo complesso e non la crescita dei grandi potentati economici, il declino non si invertirà.
Speriamo solo che non si continui facendo finta di nulla fino al crollo totale del sistema come è successo all'impero romano.
di Ugo Bardi ha detto...
Caro Trapper, mi trovi pienamente daccordo. E' proprio così. Il sistema cerca disperatamente di autopuntellarsi, ma non riesce veramente a riformarsi. Sic transit...