By: shabib on Venerdì 21 Marzo 2014 15:05
se l'italia manchera' l'europa sara ' non solo per sue colpe ma sopratutto di chi senza elasticita' pretende condurre una lotta finanziaria all'ultimo sangue ...
realistica analisi di uno che stimo tanto (TUOR)
EUROPA SI , EURO NO !
perche' come straripetuto per l'italia la situazione e divenuta molto piu' insostenibile
"Morire per l'euro?"Le misure di Matteo Renzi non bastano a far uscire l'Italia dalla crisi. Il Paese deve affrontare la questione cruciale dell'appartenenza al Sistema monetario europeo
“Morire per l’euro?” è questo il tema su cui si concentrerà il dibattito nella maggior parte dei Paesi europei in vista delle elezioni del prossimo 25 maggio per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. Pure in Italia, uno dei Paesi più europeisti, l’amore per la moneta unica sta scemando a vista d’occhio e molti partiti si mostrano sempre più scettici nei confronti dell’euro, come i grillini e i sostenitori di Forza Italia, ed altri arrivano a propugnare l’uscita del Paese dall’Unione monetaria, come la Lega Nord e Fratelli d’Italia. A continuare a difendere l’euro è, come capita anche in altri Paesi, è la sinistra tradizionale.
Ed in Italia è oggi proprio il Governo di Matteo Renzi, leader del Partito Democratico, ad essere chiamato a far uscire il Paese dalle secche di una crisi, in buona parte provocata dall’euro, che è costata un milione di posti di lavoro, una caduta del PIL pari al 9%, la diminuzione del 25% della produzione industriale e la riduzione del tenore di vita delle famiglie ai livelli della fine degli Anni Ottanta. Sono dati devastanti che richiedono una terapia choc, come l’uscita dell’euro e la riacquisizione dell’autonomia monetaria che permetterebbe una svalutazione indispensabile per ritornare ad essere competitivi. La strada imboccata da Matteo Renzi è un’altra: tentare con tagli alla pressione fiscale sui lavoratori a basso reddito (circa 80 euro il mese per chi guadagna meno di 1'500 euro) di rilanciare i consumi e con alcuni alleggerimenti fiscali sull’IRAP, sulla bolletta energetica di migliorare la posizione competitiva delle imprese oltre al pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione (circa 70 miliardi). Le misure si muovono nella giusta direzione, ma non bastano per provocare una svolta per l’economia del Paese ed inoltre non paiono compatibili con l’obiettivo dello stesso Governo di rimanere con il deficit pubblico al di sotto del limite del 3%. E infatti dalla Commissione europea e dalla Banca centrale sono già arrivati i primi ammonimenti a non sforare gli obiettivi di risanamento delle finanze pubbliche concordati con i partner europei.
E’ facile prevedere che, anche se tutte le misure proposte da Matteo Renzi venissero attuate, l’Italia non conoscerebbe quella ripresa, di cui ha forte bisogno, ma conoscerebbe una crescita modesta (inferiore all’1%) che non sarebbe sufficiente a fermare l’emorragia di posti di lavoro, a rilanciare gli investimenti e a lasciarsi alle spalle l’attuale clima di sfiducia (se non addirittura di disperazione). Infatti anche il contesto internazionale non aiuta il Governo italiano. L’euro sta rafforzandosi rispetto al dollaro e, quindi, rende difficile la penetrazione dei prodotti europei sui mercati extraeuropei. Inoltre la crescita europea non pare destinata a subire un’accelerazione, mentre quella di molti Paesi emergenti è in vistoso rallentamento. Anche l’euforia dei mercati finanziari sembra destinata, prima o poi, a lasciare il posto ad un ritorno alla realtà.
Se si guarda a lungo termine l’opera appare impossibile. Infatti con il peso dell’attuale debito pubblico (che supera il 130% del PIL) l’Italia è chiamata a risanare i conti e nel contempo a ricreare condizioni di competitività per la propria economia in un contesto di crescita modesta (se non addirittura di recessione) con dei livelli salariali che sono già tra i piu’ bassi dell’Europa. Appare un’impresa possibile solo se si decide di operare quei tagli della spesa pubblica simili a quelli attuati dalla Grecia. Il Paese rischia inoltre di indebolire ulteriormente la propria struttura industriale, ossia la sua vera forza.
Quindi, si ripropone la domanda iniziale: vale la pena morire per l’euro? Già nel 1992, l’Italia usci’ dal Sistema monetario europeo, lascio’ svalutare la propria moneta e conobbe una forte ripresa. Indubbiamente, uscire dall’euro è molto piu’ complicato che uscire dal Sistema monetario europeo, ma non è impossibile. I costi iniziali sarebbero maggiori, ma anche i benefici successivi sarebbero probabilmente maggiori. I costi ricadrebbero soprattutto sul valore dei risparmi, i benefici un’economia di nuovo in crescita e con un grande recupero di fiducia, che potrebbe affrontare in un contesto favorevole i problemi strutturali che affliggono il Paese. Il dibattito si è aperto e questo è già un segnale che fa ben sperare.
Redazione | 20 mar 2014 07:00
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