Il debito pubblico è necessario? - Moderatore
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By: Moderatore on Martedì 04 Novembre 2014 12:10
^Il debito pubblico deve esistere per forza (parte prima)#http://www.retemmt.it/economia/item/303-il-debito-pubblico-deve-esistere-per-forza-parte-prima^
di Alessandro de Salvo (Rete MMT)
Tizio compra del pane da Caio, spende 2 Euro. Il saldo del conto di Caio s’incrementa e quello di Tizio diminuisce della stessa cifra (2 Euro). Questa è una transazione come tante che avviene tra privati. Da tale semplice operazione possiamo però ricavare un principio economico fondamentale e cioè che alla spesa di qualcuno corrisponde necessariamente il reddito di qualcun altro. Se non c’è spesa non c’è nemmeno reddito. Vi è di più, l’acquisto di Tizio non genera ricchezza finanziaria, semplicemente la sposta verso Caio. Per cittadini e imprese complessivamente considerati (il settore privato) la consistenza della ricchezza finanziaria non cambia dopo l’acquisto di Tizio, la stessa rimane infatti invariata.
Come fanno allora cittadini e imprese nel loro insieme a procurarsi la ricchezza finanziaria necessaria a risparmiare? Attraverso la spesa del settore pubblico che si traduce in reddito privato. E’, per esempio, il caso della costruzione/manutenzione di scuole, ospedali, strade, piuttosto che gli stipendi di medici, giudici ed insegnanti. Tuttavia lo Stato (il soggetto più importante di tutto il settore pubblico) oltre a spendere incassa e lo fa tramite la tassazione attraverso la quale, in buona sostanza, sottrae al settore privato la liquidità che gli ha accreditato in precedenza, al momento della spesa. Lo Stato spende per primo, dopo riscuote tassando. Se lo Stato spende più di quanto incassa realizza un deficit che diventa il surplus del settore privato, cioè ricchezza per cittadini ed imprese.
Il debito pubblico, essendo la somma dei deficit annuali di bilancio dello Stato, esprime essenzialmente la consistenza della ricchezza finanziaria di cittadini ed imprese. Se non vi fosse debito pubblico non solo non esisterebbe alcuna ricchezza finanziaria privata ma nemmeno lo stato sociale, reso possibile proprio dalla spesa pubblica.
Il debito pubblico, quindi, deve esistere, per forza. Moltissimi, però, affermano che il debito pubblico non debba essere troppo grande. Scopriremo nella parte seconda se tale opinione è corretta.
^Il debito pubblico deve esistere, per forza (parte seconda) #http://www.retemmt.it/economia/item/337-il-debito-pubblico-deve-esistere-per-forza-parte-seconda^ di Alessandro de Salvo (Rete MMT)
(MA QUANTO PUÒ ESSERE GRANDE?)
Quanto può essere grande un debito pubblico? c’è un livello di sostenibilità dello stesso? Proviamo a ragionare. Concettualmente un debito è sostenibile se il debitore ha la piena capacità di onorarlo. Siccome il debito pubblico è, fondamentalmente, il debito degli Stati (in realtà delle amministrazioni pubbliche nel loro insieme), dovremmo domandarci se gli stessi, singolarmente considerati, abbiano la materiale possibilità di adempierlo. Ma come si fa ad adempiere un debito pubblico?
Per rispondere bisogna osservare che il debito pubblico è formato principalmente da obbligazioni, i titoli di Stato (Bot, Btp, Cct, etc… nel caso dell’Italia). Ogni Paese deve rimborsare annualmente i titoli di Stato che giungono a scadenza, si tratta di centinaia di miliardi (mld) di Euro, p. es. l’Italia nel 2014 deve rimborsare 334 mld di titoli in scadenza.
Ma gli Stati dove trovano tutti questi soldi? Essenzialmente ricorrono ai mercati finanziari, vuol dire che emettono altre obbligazioni che vendono ad investitori/risparmiatori privati. Con il collocamento del titolo, un soggetto facente parte del settore privato alloca nel titolo una porzione del proprio risparmio, e il settore pubblico acquisisce la disponibilità della liquidità necessaria a rimborsare i titoli in scadenza. In pratica gli Stati rifinanziano di continuo il loro debito. E se non si trovano investitori disponibili ad acquistare i titoli di Stato cosa succede? Qui viene il bello, le ipotesi sono due: o lo Stato esercita sovranità monetaria oppure fallisce. In tale ipotesi la sovranità monetaria può anche esplicarsi attraverso l’intervento di una banca centrale, in funzione di agenzia governativa, che acquista, creando la moneta in cui è denominato il debito, i titoli di Stato di nuova emissione. In realtà accade che la sola possibilità che la banca centrale possa intervenire in tal senso, esplicitata normativamente, consente ad uno Stato di godere della fiducia degli investitori in quanto quello Stato, dotato di tale potere sovrano, non può tecnicamente fallire essendo in grado, all’occorrenza e comunque in ogni momento, di generare la moneta necessaria a saldare ogni suo debito. La sostenibilità di un debito pubblico, pertanto, non dipende dalla sua consistenza, bensì dal fatto che sia denominato nella valuta che lo Stato può emettere nell’esercizio del suo potere di monopolio sulla stessa.
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[Giovanni Zibordi]
Empiricamente: l'Australia, la Norvegia, Singapore, Taiwan operano quasi senza debito pubblico..l'Australia lo aveva ridotto a ZERO alcuni anni fa,.l'Argentina stessa, dopo il crac
del 2001 ha tenuto il debito pubblico a livelli minimi...dal punto di vista del meccanismo monetario perchè dite che è l'unico modo di accumulare ricchezza finanziaria ? Se lo stato aumenta il deficiti SENZA AUMENTARE IL DEBITO la gente si ritrova soldi, saldi di conto corrente invece che Bot. E si comprerà terreni agricoli, terreni fabbricabili, case, uffici, obbligazioni societarie, oro, azioni, quote si società....La ricchezza finanziaria o ricchezza tout court aumenta lo stesso!#F_END#
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[Daniele Basciu]
Qui è molto importante definire con esattezza debito pubblico e risparmio privato.
Ad esempio come debito pubblico (dell'amministrazione pubblica) per l'Italia ora, la RGS considera "biglietti, monete e depositi, titoli diversi dalle azioni, esclusi gli strumenti finanziari derivati, e prestiti; per cui "i soldi" sono essi stessi una passività finanziaria per il settore pubblico. Se il settore governativo spende "creando pezzi di carta" sono comunque una passività. La gente si ritrova soldi, Pubblico annota una passività.
Mentre sembra che qui invece GZ intenda per "debito" solo ed esclusivamente i titoli.
Il settore privato in aggregato può avere un surplus solo se o il settore pubblico o estero hanno un deficit. Ipotizzando che "estero" non abbia deficit, se "privato" in aggregato risparmia, "pubblico" deve necessariamente fare deficit. E proprio l'esempio dell'Australia è utile, se si guardano i suoi saldi finanziari. Infatti quando l'Australia ha fatto zero deficit annuo (anzi ha fatto il surplus) il settore privato aggregato è andato in deficit. Questa non è una situazione sostenibile a lungo. Tra l'altro proprio su quanto accaduto in Australia ha scritto pagine e pagine Mitchell, ed anche Keen (pur non essendo mmter), che abbiamo tradotto qui:
http://www.retemmt.it/.../251-perche-il-surplus...
Nell'attività economica la riduzione della spesa e del passivo pubblico fu compensata da un aumento dell'indebitamento privato.
Norvegia, Singapore e Taiwan erano esportatori netti, e questo spiega il dato aggregato (cmq tu stesso noti "quasi" senza debito pubblico)
Questo è semplicemente un vincolo aritmetico a cui non si sfugge.
Però a me pare che in realtà qui il punto sia: "è meglio che lo Stato emetta titoli oppure no?" e Giovanni sostiene che non va fatto per non aumentare il debito.
E' una scelta politica, in realtà già da anni Mosler ha proposto (e noi condividiamo senza dubbio, e abbiamo scritto molto sul perchè) la spesa del settore pubblico come accredito di crediti fiscali (attività per il privato, passività per il monopolista emettitore, il sett. pubblico) non accompagnata da emissione di titoli, e politica dei tassi di interesse a zero (dove andrebbe l'interbancario in assenza di emissione di tds). Quello che viene speso in più rispetto a quanto viene rimosso con le tasse, resta come attivo per il privato, ed è passivo per il pubblico. E' il deficit, e la somma anno dopo anno è il debito. Il resto sono rapporti di debito/credito fra privati, non rilevano per questo aspetto.
A me pare che sia un punto psicologico. C'è talmente tanto terrorismo sulla parola "debito", che anche un'evidenza contabile si preferisce non nominarla così, ma si tratta di intendersi con esattezza sulla parola, e su cosa comprende, e non averne paura.
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#F_START# size=3 color=blue #F_MID#IL DEBITO PUBBLICO INGRASSA LA RENDITA (e quella estera)
[Giovanni Zibordi]
Come ricorda spesso Giulio Salierno Alietta su “MF”, in Italia si sono pagati cumulativamente circa 1,700 miliardi di interessi sui titioli di stato da quando è stato firmato il trattato di Maastricht (1992). E da quando si è imposto allo stato di finanziarsi solo sui mercati (1981) questo ha pagato più di 3,000 miliardi di interessi (traslati in euro di oggi), per cui si può dire che il debito pubblico attuale è il risultato del cumularsi di interessi.
#ALLEGATO_3#
Quante sono state le tasse addizionali che dal 1992 ad oggi famiglie e imprese italiane hanno pagato? Se oggi esistessero le stesse aliquote e tipi di imposte del 1992, il carico fiscale che è oggi di circa 760 miliardi l'anno sarebbe più basso di almeno 100 miliardi all'anno. I calcoli esatti possono essere mostrati in altra sede, ma la cifra totale cumulativa delle tasse addizionali pagate dal 1992 è quasi identica a quella degli interessi cumulativi pagati sul debito pubblico da allora.
La situazione è peggiorata, contrariamente a quanto si dice, con l'Euro perchè mentre fino a metà anni '90 solo gli italiani compravano BTP, da quando gli investitori esteri hanno visto che sarebbero stati pagati in una valuta "germanica, si sono buttati a comprarli arrivando a detenerne più del 40%.
Dato poi che gli investitori esteri compravano i BTP e gli italiani (in prevalenza) Bot e CCt che rendono meno perchè non hanno oscillazioni di prezzo, il risultato è che con l'Euro la maggioranza degli interessi sono finiti all'estero.
In sintesi, si può dire che la stragrande maggioranza degli italiani che lavorano sono stati dissanguati per pagare interessi alla rendita finanziaria.
E’ un fatto ben noto nel mondo finanziario che i titoli di stato italiani hanno fatto la fortuna dei grandi fondi e banche (“remember that there were huge capital gains on Italian debt after it became clear that it would be allowed to join the euro area. …” Thomas Sargent, Premio Nobel per l’Economia, intervista, 26/9/2010).
Comprare BTP dall’estero prima dell’arrivo dell’Euro è stata forse la più grande speculazione finanziaria della storia moderna (data la dimensione enorme del mercato del debito italiano e il fatto che ha funzionato per quasi venti anni, dal 1995 circa ad oggi). Dall’estero hanno comprato BTP quando rendevano sull’8% ed erano in lire e con l’euro si sono ritrovati un investimento che da 0,90 (sul dollaro) è salito a 1,50 (e anche adesso è a 1,26) e la cui quotazione è salita per effetto del calo del tasso di interesse anche del 40% (se il rendimento scende dall’8% al 4% il prezzo sale del 50% circa e per la speculazione è questo che conta). In più ha sempre pagato ottimi interessi, confrontati con quelli del resto del mondo.
Da quando è stato firmato il trattato di Maastricht ed è iniziato il processo (a suon di finanziarie e “sacrifici”) per far entrare l’Italia nell’Euro, i titoli di stato italiani sono stati l’investimento sicuro, che rendeva bene, faceva guadagnare sul capitale e in più era in una valuta che si apprezzava.
Peccato solo che per far guadagnare queste fortune agli investitori esteri per venti anni l'economia italiana sia stata soffocata dal peso crescente della tassazione più asfissiante del mondo industriale.
Anche se non se parla mai, nel mondo finanziario internazionale intere fortune sono state costruite da metà anni ’90 sui titoli di stato italiani. Ogni volta che scoppiano ci sono crac dovuti ad eccesso di leva finanziaria scopri sempre che si scommetteva soprattutto sui titoli italiani (ad esempio quando scoppiò la crisi del mega fondo Long Term Capital nel 1998 risultò poi che la sua posizione maggiore era sui BTP e quando di recente c’è stato un altro scandalo quello di MF Global nel 2011 è risultato che avevano una posizione enorme sui BTP).
Questo ultimo aspetto aiuta a comprendere perché il mondo finanziario sia così interessato a che l’Italia “rispetti i vincoli”: ogni volta che i BTP hanno avuto oscillazioni di prezzo negative sui mercati grandi fondi e banche che vi investivano con leva finanziaria rischiavano enormi perdite.
L'importante è notare però sempre che fa molta differenza che il debito pubblico costi un 3% più dell'inflazione come negli ultimi trentanni o un -3% meno dell'inflazione come era fino agli anni '80
#F_END#
#ALLEGATO_2#