Crisi, il peggio viene adesso (Penati) - Moderatore
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By: Moderatore on Domenica 13 Febbraio 2011 00:29
Le borse sono salite e le economie sono migliorate perchè sono stati pompati in tre anni circa 3.000 miliardi di spesa pubblica adddizionale in USA e circa 2.000 miliardi in Europa e in più le banche centrali hanno pompato circa 2.000 miliardi in USA e circa 1.200 miliardi in Europa. In aggiunta la Cina ha pompato circa 1.500 miliardi di credito spingendolol anche lei a tavoletta.
Ne hanno beneficiato l'Asia, i paesi produttori di materie prime (Brasile, OPEC, Russia, australia, canada...), il nord-europa germanico che esporta macchinari e tecnologia complessi e le multinazionali del Nasdaq tipo Apple e Intel. Questo tsunami di circa 10.000 miliardi di dollari in tre anni circa sono però DEBITO o moneta stampata addizionale (che va riassorbita vendendo debito).
Di conseguenza NON C'E' PIU SPAZIO PER CHI HA MOLTO DEBITO da finanziare, perchè la montagna del debito è aumentata invece di diminuire, grazie all'escamotage delle le banche centrali che stampavano moneta per comprare debito (al posto dei privati che non lo compravano a questi rendimenti)
Appena le banche centrali smettono di pompare moneta (per comprare debito) chi ha molto debito e ha molto debito ESTERO sarà il primo ad andare sotto. Ecco qui spiegato da Alessandro Penati oggi: l'ITALIA HA UN DEFICIT DI MOVIMENTI DI CAPITALE DEL 4% DEL PIL, la Spagna del 7-8% del PIL. Gli investitori esteri ci finanziano per circa 50-60 miliardi di euro l'anno. Prima dell'euro avevamo un enorme debito pubblico ma anche un saldo positivo dei capitali verso l'estero. Ora abbiamo metà debito pubblico in mano a stranieri e un deficit dei movimenti di capitale con l'estero
"...a metà 2010, ^837 miliardi di titoli pubblici italiani su 1.587, erano in mani straniere#http://espresso.repubblica.it/dettaglio/crisi-il-peggio-viene-adesso/2141617/10/1^: un dato che amplifica la possibilità di una crisi di fiducia nella capacità dello Stato di tassare i propri cittadini per onorare gli impegni con gli investitori esteri. ....
....Le nostre maggiori banche rimangono sottocapitalizzate al confronto con l'Europa: su 91 banche esaminate dallo stress test di giugno, Mps, Ubi, e Banco Popolare erano, rispettivamente, al 79, 70 e 67 posto per dotazione di capitale nello scenario avverso; Intesa, non andava oltre il 49 posto. Eppure ^gli aumenti di capitale sono osteggiati dalla determinazione a preservare l'attuale struttura di proprietà e controllo del nostro sistema bancario#http://espresso.repubblica.it/dettaglio/crisi-il-peggio-viene-adesso/2141617/10/1^ (e dalla ferma volontà dei vertici di mantenere la poltrona). ...
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^Crisi, il peggio viene adesso
di Alessandro Penati#http://espresso.repubblica.it/dettaglio/crisi-il-peggio-viene-adesso/2141617/10^, Espresso
La recessione europea non è finita. E per noi i rischi sono più alti, perché abbiamo un debito pubblico tornato ai livelli di vent'anni fa. L'allarme di un docente di Finanza
(04 gennaio 2011)
Alessandro Penati Alessandro PenatiIl 2008 e 2009 sono stati gli anni della crisi dei mutui Usa e delle banche. Il 2010 quello del debito pubblico dell'Eurozona. E il 2011? A tenere banco in Europa saranno ancora i titoli di stato. E se finora la crisi ha lambito solo marginalmente l'Italia, c'è il rischio che il prossimo anno anche il nostro Paese possa essere investito dal ciclone.
Sembra un contagio che, partito dalla Grecia, si diffonde per via dell'euro, mettendone in pericolo la sopravvivenza. L'unione monetaria non è però fonte di virus, né meccanismo di trasmissione. Se le finanze pubbliche dell'Arkansas, che ha un peso economico negli Stati Uniti paragonabile a quello della Grecia nell'Eurozona, fossero in dissesto, nessuno si preoccuperebbe della tenuta del dollaro. Ma la Grecia ha messo in luce crepe e difetti strutturali dell'euro, scatenando una pericolosa tempesta. Prima di annunciare il cessato allarme, questi difetti devono essere risolti. In questo, Italia e Spagna sono in prima linea.
Il Fondo di stabilità finanziaria (Fsf), varato a inizio maggio per la Grecia (e poi per l'Irlanda), il Meccanismo di stabilizzazione europeo (Mse), deciso dal vertice europeo di metà dicembre, che a partire dal 2013 ingloberà il Fsf, rendendolo permanente, e gli interventi della Banca centrale europea (Bce), hanno solo tamponato la crisi: i tassi sul debito greco rimangono allo stesso livello di maggio, segno che i governi non hanno ancora restituito fiducia agli investitori. Fiducia che si va gradualmente erodendo anche per i titoli italiani: lo spread tra i nostri Btp decennali e quelli tedeschi da inizio 2008 ha continuato a salire gradualmente, fino all'1,6 per cento di dicembre (0,2 per cento in media nei sette anni precedenti); e dopo ogni crisi (Lehman, Grecia, Irlanda) è sempre rimasto più elevato di prima (vedi grafico a pag. 83). Banche e assicurazioni italiane sono bersaglio di vendite a ogni cenno di crisi, più perché detengono tanti nostri titoli di Stato, replicandone così il rischio finanziario, che per loro demerito.
l secondo squilibrio è dato dall'eccesso di indebitamento complessivo. Nonostante si dica il contrario, anche l'Eurozona ha vissuto in una bolla di debito. Dati della Bce mostrano livelli di indebitamento complessivo (famiglie, imprese, Stati e istituzioni finanziarie) simili a quelli Usa (3,5 volte il Pil); cresciuti in pari misura (2,5 volte nel 1999). Siamo dunque solo all'inizio di un inevitabile processo di delevering, pubblico e privato, necessariamente lungo e recessivo. Ecco perché la crisi dell'Eurozona investe paesi come Spagna (bolla immobiliare; debito privato), Irlanda (eccessivo debito delle banche), o Italia (eccessivo debito pubblico). C'è stato un effetto sostituzione tra debito pubblico e privato che ha reso simili situazioni inizialmente diverse: Spagna e Irlanda avevano uno stock di debito pubblico molto basso, che cresce rapidamente perché lo Stato si è accollato i debiti di banche e privati; l'Italia ha un disavanzo pubblico relativamente contenuto, ma parte da uno stock di debito enorme.
A fine 2010 supereremo i 1.800 miliardi, più di Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda messi assieme. Quasi il 120 per cento del Pil: siamo tornati intorno ai livelli del 1993-95, subito dopo il crollo della lira, prima degli anni del rigore per entrare nell'euro. E tutte le manovre e i tagli? Hanno soltanto rallentato la crescita della spesa pubblica. Per il futuro, non possiamo contare sui minori oneri finanziari, che invece avevano facilitato il risanamento fiscale al momento dell'ingresso nell'euro; o sulla crescita robusta, dopo un decennio anemico; o sulle imposte, visto che la pressione fiscale quest'anno ha già raggiunto livelli record. Come nel gioco dell'oca, siamo tornati alla casella da cui siamo partiti quasi 20 anni fa: un segno dell'incapacità di risanare durevolmente le finanze pubbliche; e di riportare il debito verso quel 60 per cento del Pil previsto da Maastricht, che i mercati prima o poi potrebbero richiedere in cambio del rinnovo della fiducia; e il governo tedesco comincia a pretendere in cambio del suo sostegno.
La crisi del debito pubblico nell'Eurozona è dovuta alla sfiducia nella capacità di alcuni paesi di risanare le finanze pubbliche: lo dimostra il fatto che Stati Uniti e Giappone stanno peggio, ma la crisi dei titoli di Stato è scoppiata qui. Un recente studio del Fondo monetario internazionale ha infatti stimato che gli Stati Uniti avrebbero bisogno di un aggiustamento fiscale di quasi 12 punti percentuali del Pil nel prossimo decennio per poter stabilizzare il debito al 60 per cento e il Giappone 13 per portarlo all'80 per cento; ma soltanto 5,5 punti, nel suo complesso, l'Eurozona per rientrare al 60 per cento.
Il terzo squilibrio sono le banche. La crisi del debito pubblico di Eurolandia è in realtà una crisi del suo sistema bancario. Il salvataggio della Grecia è stato deciso nel momento in cui il default sul debito pubblico greco rischiava di far fallire le sue banche e mettere in crisi quelle più esposte verso la Grecia. Così il piano di salvataggio è stato accompagnato da uno stress test del sistema bancario europeo. Ancora più evidente il caso dell'Irlanda: un enorme disavanzo pubblico (30 per cento del Pil) ammassato per ricapitalizzare le banche irlandesi sull'orlo della bancarotta. Più che lo Stato irlandese, sono state salvate le sue banche. E ora si parla di nuovi stress test. Senza contare che una parte del sistema è ancora incapace di reggersi senza il sostegno della Bce.
Il salvataggio di una banca è compito delle autorità di quel paese. Ma la crisi ha ampiamente dimostrato che le banche possono essere troppo grandi anche per gli Stati, che rischiano il loro dissesto se si accollano quello delle banche che tentano di salvare. Soprattutto se la crisi è determinata da perdite sui titoli di Stato. È il cane che si morde la coda. Servirebbe invece un meccanismo di salvataggio organizzato e finanziato a livello europeo. Che non esiste, neanche sulla carta.
Si dice che il sistema bancario italiano abbia superato la crisi finanziaria meglio degli altri, grazie al maggior radicamento territoriale, meno finanza e più attività tradizionale. Ma la Borsa non sembra apprezzare le apparenti virtù dei nostri banchieri: i nostri maggiori istituti sono tra i più penalizzati proprio dall'inizio della crisi greca: meno 19 per cento in media rispetto all'indice di settore europeo. Le nostre maggiori banche rimangono sottocapitalizzate al confronto con l'Europa: su 91 banche esaminate dallo stress test di giugno, Mps, Ubi, e Banco Popolare erano, rispettivamente, al 79, 70 e 67 posto per dotazione di capitale nello scenario avverso; Intesa, la più solida nel test, non andava oltre il 49 posto. Eppure gli aumenti di capitale sono osteggiati dalla determinazione a preservare l'attuale struttura di proprietà e controllo del nostro sistema bancario (e dalla ferma volontà dei vertici di mantenere la poltrona).
Questi squilibri strutturali devono essere affrontati con decisione se si vuole superare definitivamente la crisi del debito in Europa. Di fatto, tutti gli interventi fin qui decisi dai governi europei, e quelli proposti, affrontano la crisi come se fosse prevalentemente di liquidità, ovvero la difficoltà di alcuni paesi a finanziarsi sul mercato, se non a tassi proibitivi: finanziare temporaneamente i paesi in crisi, a tassi più bassi del mercato, è infatti la logica che accomuna il Fsf al futuro Mse, e ai Bond europei. Ma se i governi dei paesi colpiti dalla crisi non riescono a imporre politiche di austerità fiscale, per quanto amare e impopolari, che diano credibilità alla loro determinazione di rendere sostenibile il debito pubblico, la crisi diventa di insolvenza. Ma mancano le istituzioni e le regole a livello europeo che sarebbero necessarie per gestirle in modo ordinato e coordinato; come le ovvie ripercussioni sul sistema bancario europeo. Né, per ora, sono in agenda. Il 2011 promette dunque austerità fiscale per i cittadini; e per gli investitori una vera odissea nello spazio del debito pubblico: la vecchia definizione di "attività priva di rischio" appare oggi quanto mai inappropriata.
Alessandro Penati è professore di Finanza aziendale all'Università Cattolica