By: GZ on Lunedì 06 Dicembre 2004 23:47
Ho sentito su CFN un poco di discussione sulla ricerca appena pubblicata dell’Università Cattolica che ha calcolato che il costo totale VERO degli azionari è stato pari al 2,59% e per gli obbligazionari all’1,20%.
E' una scena simile a quelle della TV Ukraina se sapessi l'ukraino (e solo fino a un mese fa, ora sembra che ci sia un dissenso che ancora manca sui media italiani riguardo al risparmio gestito): invitano con il professore che ha fatto la ricerca per parlarne DUE rappresentanti dell'AssoGestioni e un gestore. Nessun rappresentante dei milioni di investitori italiani: come se per parlare dei costi e benefici di farmaci chiamassero solo tre rappresentanti di case farmaceutiche. E la donna di CFN, per paura forse che tre che rappresentano l'industria del risparmio non bastino, presenta il problema come: "...i risparmiatori guardano troppo alle performance.. non pensano al lungo periodo..." (forse legge dalle paginate di Ennio Doris sul "MF").
Invece la ricerca mostra che con i fondi obbligazionari si paga un 1.2% di costi TOTALI (quando includi le negoziazioni) e considerando che in media, diciamo su base decennale, si portano a casa rendimenti sul 3% con le obbligazioni il risultato è che per comprarti Btp e Bot ti mangiano un terzo del rendimento.
Analogamente considerando che, in media le azioni danno rendimenti MEDI del 7% su base decennale, pagare un 2.6% di costi per i fondi azionari significa dare via 1/3 del rendimento (ragionando ovviamente su una base decennale).
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Un’analisi dell’Università Cattolica rivela che per i
Fondi, i costi non si guardano. Ma pesano
Ma quanto costano davvero i fondi italiani? Più di quanto dicano i rendiconti ufficiali. E che cosa spinge la gente a comprarli? Le performance, i giornali specializzati, la pubblicità. Ma soprattutto la forza dei canali distributivi bancari, che giocano sempre un ruolo di primo piano. Alle domande sullo stato di salute e sulla maturità del risparmio gestito italiano arrivano oggi nuove risposte da accurati studi accademici. L'ultimo, presentato qualche giorno fa nelle aule dell'Università Cattolica , è stato realizzato dal team di Paolo Gualtieri, docente di economia del mercato mobiliare nello stesso ateneo, in collaborazione con Mps am , la fabbrica dei fondi del Monte Paschi di Siena.
L'analisi ha monitorato per diversi anni le relazioni tra le performance di oltre 500 fondi e gli acquisti e le vendite dei risparmiatori. E dimostra scientificamente che - nonostante il loro notevole peso spesso rivelato solo in parte dalle società - i costi non siano in grado di influenzare gli acquisti. I ricercatori della Cattolica hanno quindi elaborato un super Ter (il Tecr), che tiene conto anche delle spese di intermediazione. Un super Total expense ratio (il tasso totale di spesa che le società di gestione devono fornire ogni anno ai loro clienti) comprensivo di quelle commissioni per acquisto e vendita di titoli che le sgr non sono obbligate a pubblicizzare. E che quindi non figurano nel Ter, ma che gravano in capo ai fondi, nonché sulle tasche dei clienti, soprattutto nei fondi azionari.
Osservando infatti il Tecr dei prodotti specializzati sulle Borse si scopre che il vero costo totale degli azionari è stato pari al 2,59% nel quadriennio 2000-2003 (vedi tabella ) e che le spese di negoziazione nel 2003 sono state pari al 14% del totale. Sono infatti la voce più consistente dopo le commissioni di gestione (80,43%). «Gli oneri di intermediazione hanno una notevole incidenza sui costi totali dei prodotti azionari - dice Gualtieri -. Rappresentano circa lo 0,45% del totale del patrimonio gestito». Una cifra consistente pari a circa 540 milioni di euro, visto che attualmente gli asset degli azionari ammontano a 120 miliardi di euro.
Per i fondi obbligazionari e di liquidità l'incidenza degli oneri di intermediazione è invece molto più bassa. Perché? «Probabilmente perché c'è una minore movimentazione del portafoglio, ma anche perché il costo del servizio di negoziazione è implicito nei prezzi di acquisto ed è inferiore rispetto alle azioni», spiega Gualtieri.
Ma sulla base della ricerca il costo dei fondi italiani è giusto o è troppo elevato? «I fondi italiani hanno un costo complessivo coerente con la complessità di gestione e quelli con gestione attiva, che spesso hanno anche i migliori rendimenti, sono tra quelli più cari», dice ancora Gualtieri.
Lo studio, però, mette anche in luce l'esosità difficile da giustificare dei fondi obbligazionari e di liquidità. Il Tecr medio degli obbligazionari tra il 2000 e il 2003 è stato pari all’1,20%: considerando che, in media, con il reddito fisso si portano a casa rendimenti non superiori al 3% la critica ai costi di questi fondi è difficile da smontare.
C'è qualche speranza di vederli scendere? «Oggi non esiste una vera e propria competizione sui prezzi tra le varie sgr - spiega Gualtieri -. E questo accade presumibilmente perché i sottoscrittori guardano più alle performance storiche che ai costi». Ma gli atteggiamenti potrebbero cambiare. E indurre il sistema ad abbassare la posta degli oneri. «Soprattutto per i fondi monetari e obbligazionari e probabilmente anche per i fondi azionari a gestione passiva, che subiranno la concorrenza degli Etf», conclude Gualtieri.