Re: Corona Virus ¶
By: XTOL on Venerdì 10 Luglio 2020 18:06
questo lungo articolo potrebbe aiutare i deboli di mente a capire che le loro priorità di vecchi egocentrici DEVONO essere comparate con le priorità altrui,
che mettere la loro salute su un piatto della bilancia e NULLA sull'altro è malafede e stronzaggine
Luciano Butti e Silvia Brizzi
Mettiamoci per una volta nei panni di chi deve adottare decisioni di pubblico interesse durante l’emergenza Covid – 19 (o durante qualsiasi altra emergenza sanitaria o ambientale). E facciamolo al fine di capire perché alcune decisioni, a nostro avviso non ottimali, vengano adottate. E per comprendere, conseguentemente, cosa si possa fare per migliorare la situazione.
Pensiamo quindi, per esempio, a chi deve decidere se, seguendo le ultime linee guida OMS, si possano ‘liberare’ le persone in isolamento sulla base dei dati clinici, oppure se ciò possa avvenire solo dopo il doppio tampone negativo (e perciò dopo un periodo di tempo in media molto più lungo).
In circostanze come queste, è comune che in Italia – molto più che in altri Paesi - venga adottata, di default, la decisione più precauzionale (che spesso si rivela, alla prova dei fatti, iper-precauzionale).
Perché questo avviene?
Vi è una prima ragione della quale si è già parlato in altri contributi pubblicati sulle ‘Pillole’(1): i nostri decisori pubblici sono troppo abituati a tener conto di ‘un rischio alla volta’. E’ il cd. ‘effetto galleria’ (Tunnel Vision), che porta a sottostimare gli effetti collaterali (Trade-Off) di alcune misure precauzionali. Così, ad esempio, si tengono le scuole chiuse per evitare il minimo rischio che un bambino si possa contagiare e magari poi contagiare un adulto, senza considerare le molteplici e gravi conseguenze negative – sociali e sanitarie – che una chiusura troppo prolungata delle scuole comporta. Oppure si continua a richiedere il doppio tampone negativo per ‘liberare’ le persone in isolamento (e ciò al fine di ridurre un rischio residuo di contagio davvero marginale), senza considerare i gravi effetti sociali, economici e psicologici di quarantene troppo prolungate.
Oggi però vogliamo accennare ad un secondo motivo che porta i nostri decisori ad adottare spesso misure iper-cautelative: e non solo quando si parla di Covid-19.. Si tratta del timore che, in caso contrario, il decisore possa incappare in una responsabilità giuridica, anche di natura penale; del timore, quindi, che qualche Procura della Repubblica possa addirittura avanzare l’imputazione di omicidio, in quanto forse con una misura ancora più cautelativa si sarebbe evitato un decesso; del timore, in definitiva, che la vicenda venga esaminata giuridicamente secondo un’ottica distorta, che – ancora una volta - non guarda al bilanciamento fra i diversi rischi, ma ad un solo rischio per volta.
Questo timore è ciò che porta alla medicina difensiva, alla pubblica amministrazione difensiva, forse anche – oggi – ad una sorta di epidemiologia difensiva, per la quale è preferibile evidenziare gli scenari più negativi fra quelli astrattamente possibili, perché in questo modo non si potrà mai essere accusati di non aver (pre)visto il peggio.
Ma che cos’è esattamente la medicina difensiva, il fenomeno più noto fra quelli cui ci stiamo riferendo?
Quando si parla di malasanità viene subito in mente l’esempio (estremo), del medico distratto che amputa al paziente la gamba destra anziché la sinistra. In effetti, in questo caso l’errore è talmente evidente da stroncare (o comunque ridurre al minimo…a noi giuristi piace sempre spaccare il capello in 4) ogni discussione.
Ma nella realtà, è davvero molto difficile che questo avvenga. Si definisce “errore medico” un’omissione di intervento o un intervento inappropriato a cui consegue un evento avverso clinicamente significativo.
L’errore medico è dunque qualcosa di complicato da indagare e individuare, tanto è vero che per assumere questo genere di decisioni, il Giudice si avvale della consulenza tecnica di altri medici, che indichino quale sarebbe stata la condotta doverosa che il sanitario avrebbe dovuto tenere e se la sua condotta colposa sia stata la causa del danno lamentato dal paziente.
Apparentemente sembrerebbe tutto liscio, tanto che, soprattutto nell’ultimo decennio, innumerevoli pazienti, chi a torto e chi a ragione, hanno avviato un ragguardevole numero di cause civili e denunce penali nei confronti dei medici che li hanno avuti in cura, probabilmente spinti anche dalla pubblicizzazione di servizi legali a prezzi stracciati, persino sulle fiancate degli autobus.
Questo genere di marketing, unito alla delusione dell’aspettativa di guarigione e, perché no, anche alla tracimante disponibilità di ogni genere di notizie mediche o di suggestive terapie in rete, ha generato nei cittadini la convinzione che l’errore medico sia più frequente del reale. Si è così creata una grave frattura tra pazienti e medici, si è aperta una contrapposizione fondata sul sospetto alterando il tradizionale rapporto di fiducia.
Il medico è diventato un soggetto da controllare.
Attenzione, non stiamo sostenendo l’infallibilità dei medici né negando che vi siano molti casi nei quali vengono commessi errori, quello che diciamo è che si è generato un clima di perplessità e sospetto nei confronti della medicina, cui è conseguito un accanimento in senso inverso. Consideriamo che nel 1996 le azioni legali per colpa medica erano 17.057, salite a 28.383 nel 2006, e a 40.000 nel 2016, anno nel quale le cause pendenti erano circa 300mila (2).
Siamo arrivati così a quella che oggi chiamiamo “Medicina difensiva”, pratica attraverso la quale il medico – nel decidere la strategia da suggerire al paziente- considera anche (e in qualche caso soprattutto) – l’obiettivo di difendersi da possibili rischi giuridici. Con il rischio di non scegliere le cure ottimali.
E’ evidente che, in questo modo, il processo che porta alle decisioni di natura medica rischia di essere inquinato da fattori esterni.
Torniamo ora ai nostri temi, dunque all’epidemiologia, quella “parte dell’Igiene che studia la frequenza con cui si manifestano le malattie e le condizioni che favoriscono o ostacolano il loro sviluppo” (3). Ecco, l’approccio pessimista, o persino catastrofista, di taluni epidemiologi sembra ricalcare lo stesso schema della sorella maggiore, della Medicina Difensiva.
L’atteggiamento “difensivo” rifiuta di prendere adeguatamente in considerazione i quotidiani progressi che si osservano sia nell’approccio terapeutico alla malattia sia nella sua gestione sanitaria. Con la conseguenza che la previsione finale dei possibili morti e malati – ad esempio di una seconda ondata – non tiene conto di decisivi fattori sopravvenuti, che sono in grado di contenere il rischio ed il cui effetto può essere misurato con i metodi della statistica Bayesiana (ovviamente e intrinsecamente imprecisi: ma questa non è una buona ragione per non effettuarli).
Anche perché la posizione di massima precauzione è tutt’altro che esente da rischi e da responsabilità ed anzi comporta implicitamente delle scelte i cui effetti sulle persone sono non meno importanti e non meno drammatici dell’impatto diretto del virus.
Recentemente The Lancet (4) ha spiegato che i lockdown troppo prolungati e troppo generalizzati possono essere causa di decessi perché interrompono i servizi sanitari e privano le persone dei mezzi di sussistenza. I blocchi non sono egualitari né nei costi né nei benefici ed anzi gli effetti ricadono sulle persone delle classi sociali più disagiate o che si trovano sotto la soglia di povertà. In tali casi, l’impatto economico è una questione di vita o di morte tanto quanto il virus.
Ora, poiché non crediamo che i decisori pubblici intendano agire secondo l’inquietante gerarchia tra decessi inaccettabili (quelli da Covid-19) e decessi accettabili (quelli da effetti collaterali), riteniamo sia il momento di considerare in modo completo l’impatto del lockdown (come anche di altre misure particolarmente afflittive quali, ad esempio, quelle relative alle modalità di svolgimento del prossimo anno scolastico ovvero la questione del doppio tampone negativo) e dunque pretendere un salto di qualità nella lotta al virus, attraverso decisioni proporzionate e calibrate che facciano affidamento e riferimento alla migliore valutazione e conoscenza scientifica disponibile, che sta progredendo a ritmi mai visti prima, grazie allo sforzo collettivo di tutti gli scienziati del mondo.
La precauzione assoluta è una coperta troppo corta, che lascia fuori diversi aspetti di rilevanza vitale: dalle ripercussioni economiche all’accentuazione dei gap sociali e culturali. Per consentire a tutti di scaldarsi occorre invece agire anche con proporzione ed equità, contemperando tutti gli interessi in gioco, consapevoli che non può esistere il rischio zero e che non possono più ignorarsi gli effetti della sovrapposizione e dell’interazione tra i rischi.
Contrariamente, si rischia di combattere il nemico sbagliato: non più il virus, ma noi stessi.
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