qualche discorso serio (inutile che metta il link, è in un gruppo chiuso):
l modello di Conte, ovvero il fallimento del “test acido” e la mancanza di un minimo di verifica empirica. Ma i veri problemi non scompaiono.
Ho infine recuperato il report su cui il governo Conte ha basato la decisione di riapertura della Fase 2, e sono rimasto perplesso da alcuni aspetti metodologici. Per carità, difficile, anzi impossibile creare un modello di diffusione accurato in poco tempo e con pochi dati, ma nelle tabelle dei risultati finali ci sono cose che decisamente non tornano e che andrebbero come minimo affrontate per raffinarlo, visto che da questo dipendono vite e redditi di milioni di concittadini.
Ma andiamo con ordine. Il report lo trovate qui allegato (chissà perché non si trova un link che sia uno…grazie a Repubblica che lo ha incluso come allegato scaricabile nell’articolo relativo).
A scanso di equivoci, dico subito che non sono per il “libera tutti”, ma vedere la superficialità con cui lo studio è stato condotto non mi lascia affatto tranquillo sulla qualità delle decisioni che verranno prese.
Assunzioni di base.
Quello che convince:
- Sostanzialmente, si parte da una stima di mortalità effettiva dello 0,6%, con stima “a posteriori” del numero dei contagiati. Questo è uno dei pochi dati sperimentali ormai abbastanza affidabili
- Tempi di incubazione e % di bisogno e durata della terapia intensiva sono anch’essi basati sull’ampia casistica disponibile. Stime non certe, ma almeno verosimili.
- Sintomatici e asintomatici trasmettono ugualmente la malattia
Quello che NON convince:
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Per ogni fascia di età, si considera il numero di contatti medi per area di attività (scuola, lavoro, tempo libero, etc.) e da questi sostanzialmente pari capacità di trasmissione del virus. Ne segue che i giovani (fasce 0-25 anni) hanno molti più contatti degli adulti e degli anziani e quindi sono il vero motore del contagio. L’ipotesi viene poi parzialmente mitigata assumendo una suscettibilità al contagio differenziata (i giovani si infettano e quindi infettano meno degli altri). Ora, questo modello non funziona bene per almeno due motivi:
- Considera tutti i contatti indipendenti, cosa che per i giovani non è in genere vera. Spesso, i contatti nel tempo libero sono gli stessi della scuola, e parimenti i contatti familiari si sovrappongono con quelli del tempo libero.
- E’invece molto più vera per gli adulti, che tendono a frequentazioni anche molto diverse tra famiglia, casa e tempo libero. Non si registra nessuna correzione per questi fattori
- Quantifica poco i fattori di rischio legati alle modalità di trasporto e lavoro, se non per la generica classificazione INAIL. E’ evidente che recarsi a piedi a scuola o con brevi tratti di autobus espone a meno rischi di prolungate tratte in treno, aereo, o nave, ma di questo nel modello non c’è traccia, per cui i giovani sono molto più esposti e rischiosi dei pendolari.
- Il Paziente “0” per valutare Ro è stato posto intorno al 28 gennaio per la Lombardia. In realtà, è assai probabile che la data sia anteriore di almeno 2 settimane, ma anche qui non è stata fatta un’analisi di sensitività e nemmeno ne è stato evidenziato il bisogno. Poteva non esserci il tempo, ma la cosa andava citata.
Svolgimento degli scenari.
Da queste ipotesi, si parte a ricavare la stima dell’ormai famoso parametro Ro e poi si fa un’estrapolazione lineare dei casi in terapia intensiva. Qui compare il famoso dato dei 151mila letti in terapia intensiva occupati all’ 8/6 in caso di scenari estremi “libera tutti” (i casi A, B, C), che proiettati poi giungono a 365-430mila a fine anno.
Ci sono poi tutta una serie di scenari di riaperture varie (46!!), ci soffermiamo per semplicità sullo scenario di “verifica” 1, quello in cui si dovesse chiudere TUTTO, ma proprio tutto, tranne le scuole e lo smart working. Risultato: 7600 terapie intensive occupate al 20 ottobre, 46mila a fine anno. Viceversa, riaprendo TUTTO (con lo smart working) tranne la scuola (scenario 46), ci si ritrova un picco di 4200 letti TI occupati al 31/12 e 18mila totali.
- Il primo campanello d’allarme suona perché l’epidemia non si sviluppa MAI in maniera lineare. 430mila terapie intensive nella situazione in cui ci sono solo 9mila letti significa 420mila morti. E con una mortalità allo 0,65% vuol dire implicitamente assumere che TUTTI gli italiani si ammalano, cosa che non accade nemmeno negli scenari da fantascienza. Anzi, abbiamo la controprova del caso della “Diamond Princess”, dove il virus, di fatto lasciato libero di diffondersi in condizioni ideali (per lui) alla fine ha infettato il 20% dei soggetti.
- Morale: il modello fallisce miseramente il “test acido” dello scenario catastrofico, ma proprio le conclusioni più sbagliati (in quanto più eclatanti mediatamente) sono state quelle diffuse e propagandate a mezzo stampa per motivare la decisione.
- Estremamente sospetta anche la discrepanza tra i due estremi “Scuola chiusa, resto OK” e il suo opposto. Le evidenze empiriche hanno piuttosto rilevato il ruolo dei super-spreader adulti lavoratori ad alta mobilità sociale, e non ci sono al contrario evidenze di focolai con al centro scuole o altre istituzioni simili. Ovviamente, i risultati sono perfettamente in linea con le ipotesi che assegnano ai giovani “l’onere dell’unzione” già citate all’inizio.
- Infine, e questo è grave. NON compare una sola riga in cui uno qualsiasi dei modelli sviluppati sia stato usato per….modellizzare l’andamento noto del contagio in Lombardia tra il 15-30 gennaio e l’8 marzo. Piuttosto che giocare a fare tabelloni, meglio sarebbe stato raffinare le ipotesi su un caso reale. Invece, niente. Nemmeno l’annuncio di un supplemento d’indagine. Alla faccia della “tecno-scientificità” del comitati. Anzi, delle innumerevoli task force.
Ripeto: è chiaro che il “tana libera tutti” non è un’opzione, è evidente che in poche settimane ci troveremmo di nuovo le terapie intensive (ancorché raddoppiate) saturate, ma usare un caso estremo….estremamente irrealistico e viziato alla radice dalla manifesta inadeguatezza del modello di diffusione non è un buon punto di partenza
Della poca dimestichezza con i numeri.
Gli evidenti svarioni sopra evidenziati sono solo in parte imputabili a mancanza di tempo o dati affidabili. Rivelano invece che ai massimi livelli dell’amministrazione e del Governo c’è ahimè poca dimestichezza a trattare con le dimensioni numeriche fondamentali dei problemi, a rilevarne le macro-incoerenze e a lavorare per eliminarle o almeno ridurle.
Quello di cui si dovrebbe parlare e invece si tace.
Modelli strampalati a parte, è ovvio che per ripartire bisognerà adattarsi a distanziamenti sociali, specialmente nei luoghi di lavoro e nei trasporti. Che, tradotto, implica il dover necessariamente scaglionare le attività nell’arco dell’intera giornata e finanche della settimana. Senza entrare nei particolari, questo significa in soldoni nuovi accordi lavorativi, in cui si dovranno adottare criteri finora inauditi e aborriti a livello sindacale (e anche datoriale, in certa misura), ovvero tra gli altri: la fine del dogma dell’uguaglianza di tutti i lavoratori (ci sarà quello più o meno flessibili per n ragioni familiari, logistiche, etc.) e la necessità di misurare tutti rispetto agli obiettivi (e quindi saper e poter assegnare e misurare gli stessi). Insomma, un cambio epocale. Ma di questo non si parla, anzi. Si preferisce la scorciatoia dell’annuncio ad effetto.
In un modo o nell’altro, la pagheremo.
Il documento con le stime drammatiche del Comitato tecnico scientifico che ha convinto il governo a decretare il lockdown