MEA CULPA - giorgiofra
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By: giorgiofra on Sabato 23 Marzo 2013 22:14
Quando ancora molti non percepivano quel che stava accadendo, io sentivo che le cose stavano per cambiare in modo radicale, e che sarebbe stato necessario cercare di comprendere appieno la natura di questo cambiamento. Un tempo, uno della mia età, sarebbe stato prossimo alla pensione, e forse si sarebbe limitato a tirare a campare per qualche altro anno, in attesa di percepire l'agognato vitalizio, quasi sempre sproporzionato rispetto ai contributi realmente versati.
I tempi, naturalmente, sono cambiati, e l'età della pensione si è alzata. Ma io, per ragioni di prudenza, sono partito dal presupposto che mai avrei percepito la pensione. In tal modo avrei evitato di riporre vane speranze in qualcosa di estremamente incerto, o di sperare nella benevolenza di qualche governo. " si vis pacem, para bellum".
E così, trovandomi di fronte alla necessità di dover "stare sul mercato" per altri 20 anni, sempre che non crepi prima, sono stato costretto a riflettere profondamente sui possibili scenari futuri della società, e strutturarmi, nel mio piccolo, in modo da affrontare un mercato profondamente diverso da quello che abbiamo conosciuto fino ad ora.
Questo atteggiamento mi ha salvato, almeno per il momento. La quasi totalità dei miei conoscenti che hanno una attività, sta soffrendo enormemente la crisi attuale, e spesso la loro vita lavorativa e familiare scivola verso la bancarotta. E la ragione principale di questa caduta verticale sta in un errore profondo che quasi tutti stanno commettendo: quello di credere che l'attuale crisi economica sia imputabile esclusivamente a questioni di ordine finanziario, e che prima o poi le cose torneranno come prima.
La verità è che i problemi finanziari sono solo uno degli aspetti di questa crisi, forse il più macroscopico ed il più facilmente percepibile. L'incapacità di andare oltre la superficie impedisce di capire che questa crisi è il prodotto della confluenza di fattori diversi tra loro, che hanno determinato profondi cambiamenti del modo di vivere, nei consumi, nelle priorità. E anche allorquando la crisi finanziaria dovesse essere risolta, questi cambiamenti saranno irreversibili, e ci consegneranno un mondo diverso da quello nel quale abbiamo vissuto e, alle volte, prosperato.
Trenta anni fa l'informatica non sfiorava la vita delle persone comuni, la globalizzazione era di la da venire, la robotica muoveva i primi passi, la popolazione era più giovane, con meno pensionati e più occupati, il costo dell'energia era più basso. E tutta la società era strutturata secondo i paradigmi del capitalismo industriale. Le cose, sembra banale dirlo, sono profondamente cambiate. Ma la struttura della società non si è adeguata, se non parzialmente, a questi cambiamenti, con la conseguenza che si è creata una sfasatura tra il mondo reale e la cultura popolare. Questa sfasatura ha prodotto delle tensioni che, catalizzate dalla crisi finanziaria, hanno "rotto" il sistema. E quando un sistema si rompe si formano nuovi equilibri. Comprendere questi nuovi equilibri è la chiave vincente per affrontare il futuro.
Quando sento i miei amici lamentarsi del crollo dei loro fatturati faccio loro una semplice domanda: come è cambiata la tua attività negli ultimi anni? Quasi sempre non vi è stato alcun cambiamento, alcuna innovazione, alcuna ristrutturazione. Tutto è scorso come nel passato, nella convinzione che le cose non sarebbero mai cambiate. Allora faccio loro notare che le cose non saranno più come prima, e se anche la gente riprenderà a consumare loro saranno tagliati fuori dall'aumento dei consumi, per la semplice ragione che la loro azienda non risponde più alle esigenze di un mercato molto diverso da quello che oramai esiste esclusivamente nelle loro teste.
Oltre dieci anni fa, quando parlavo con i miei colleghi falegnami, mettevo in evidenza i cambiamenti che la loro attività avrebbe subito negli anni a venire. I miei interlocutori concordavano con quel che dicevo, ma credo che lo facessero più per cortesia che per altro, pensando, forse, che io fossi un pazzo. Il tempo mi ha dato ragione, eppure, anche di fronte all'evidenza, questi miei colleghi non riescono ancora a cogliere la sostanza dei loro problemi aziendali. Continuano a parlare di crisi, nella convinzione che le cose, prima o poi, torneranno come prima. La loro pigrizia intellettuale, unitamente ad una certa ingiustificata presunzione, li sta condannando al fallimento.
La sostanza dei miei discorsi di allora era che il mercato sarebbe profondamente cambiato, e che l'industria avrebbe offerto una tale varietà di prodotti di ogni fascia di prezzo, da non giustificare più la presenza dell'artigiano mobiliere. L'artigiano doveva cambiare paradigma: egli non doveva più offrire una merce, ma un servizio. Se l'attività si fosse concentrata sul produrre delle cose, sarebbe stata spazzata via dall'industria, che avrebbe prodotto quelle stesse cose a prezzi decisamente inferiori a quelli di un artigiano. Se la guerra tra artigiani ed industria si fosse combattuta esclusivamente sul prodotto, la disparità delle forze in campo avrebbe determinato la sconfitta netta dei falegnami.
Facevo sempre la stessa domanda: perchè una persona dovrebbe venire da te a commissionare un arredo e non rivolgersi invece ad un negozio? Le risposte che ricevevo erano sempre le stesse, e dimostravano, ove ve ne fosse bisogno, di quanto i miei colleghi fossero ciechi di fronte al mondo, e di quanto vivessero di luoghi comuni privi di riscontri reali. Ma la cosa peggiore era la presunzione che impregnava i loro fallaci discorsi. Erano convinti che il loro prodotto fosse migliore di quello industriale, al che facevo notare che l'industria, insieme a prodotti mediocri, forniva anche prodotti eccellenti. Oppure che, a differenza dell'industria, potevano realizzare i manufatti nelle misure richieste dal cliente. Anche in questo caso ero costretto a contraddirli, facendo loro notare che con le macchine a controllo numerico anche l'industria poteva fornire i mobili a misura. O, ancora, sostenevano che i falegnami usassero legno vero, e che il legno fosse il materiale migliore e più pregiato per realizzare degli arredi.
Quando parlavo del plexiglas, dell'alluminio, della stampa, dei tessuti e dei laminati, del polistirolo ad alta consistenza, mi guardavano come se fossi un marziano. Sostenevano che mai la gente avrebbe messo in casa mobili che non fossero in legno, e che il legno fosse il migliore dei materiali, sempre e comunque. Li invitavo, allora, a guardarsi intorno, a visitare delle fiere, ad entrare nei migliori negozi di mobili, a leggere delle riviste, essendo evidente che erano totalmente avulsi dalla realtà.
Tra le altre cose il numero dei falegnami nella mia zona era spropositato, ed inevitabilmente il mercato ed i tempi avrebbero operato una crudele selezione. Anche questa era una ragione per prepararsi ad affrontare la battaglia prossima ed inevitabile. Eppure nessuno ha operato quelle scelte intelligenti senza le quali non avrebbero avuto futuro. E non si trattava di investimenti che avrebbero riguardato impianti, immobilizzazioni, macchinari, cosa che avrebbe richiesto disponibilità finanziarie non sempre esistenti, ma investimenti di natura prevalentemente immateriale. Occorreva, sostenevo, investire su se stessi, acquisendo quelle conoscenze senza le quali sarebbe stato impossibile fornire quei servizi che il nuovo mercato avrebbe richiesto.
La mia tesi era che alla base di tutto occorreva cambiare mentalità, acquisendo la consapevolezza che la semplice fornitura di arredi avrebbe dovuto essere sostituita dalla fornitura di un servizio, occupando quella piccola nicchia di mercato che non avrebbe potuto essere soddisfatta dall'industria o dalla devastante concorrenza cinese. In parole povere la vera e propria realizzazione di un arredo doveva essere parte di una più vasto progetto aziendale. Partendo dal recepimento delle esigenze della clientela, alla progettazione di qualità, all'offerta di una gamma amplissima di soluzioni e di materiali, fino alla consegna finale che avrebbe dovuto includere la pulizia dei manufatti e dell'ambiente nel quale si è lavorato. Anche se può sembrare poco importante, lasciare la casa del committente pulita e profumata aumenta la fiducia e l'apprezzamento verso l'azienda, e si tratta di un investimento dal costo infimo ma dai riscontri importanti. In parole povere professionalità, professionalità, professionalità.
Naturalmente il discorso sui falegnami si può estendere un po a tutti i settori. Un paio di anni fa ho progettato e realizzato un negozio di abbigliamento. Io, che in fondo sono un fesso, benchè contro i miei interessi, sconsigliai il cliente dall'aprire l'attività. Facevo sempre la stessa domanda: perchè un cliente dovrebbe venire da te ad acquistare degli abiti? Gli dissi che il futuro del commercio avrebbe preso tre strade precise: i grossi negozi di centinaia di metri quadri, con tanto di parcheggio, i piccoli negozi nei centri storici del settore del lusso, internet. Per i piccoli anonimi negozi non ci sarebbe stato futuro. Naturalmente il cliente non mi diede retta, ed ora è nella m erda totale.
Anche a mio cognato, che si apprestava a costruire una nuova palazzina con 8 appartamenti, mi permisi di dare dei consigli che, come tutti i consigli gratuiti, non vengono ascoltati. Gli dissi che sarebbe stato difficile continuare a vendere appartamenti da 120 metri quadri, e che l'evoluzione della società aveva creato l'esigenza di appartamenti da 60 metri quadri. Pensiamo agli anziani, che potrebbero lasciare l'appartamento grande ai figli e trasferirsi in una casa più piccola, comunque adeguata alle loro esigenze. Oppure ai separati, sempre più numerosi. O ancora alle giovani coppie, con scarse disponibilità finanziarie e dai redditi incerti, che troverebbero nell'acquisto di un piccolo appartamento la soluzione ai loro problemi. Se mio cognato avesse costruito 16 miniappartamenti li avrebbe tutti venduti in breve tempo, mentre ora si ritrova con metà degli appartamenti che non trovano acquirenti. Fortunatamente ha costruito con i suoi soldi, altrimenti si sarebbe ritrovato davvero nei guai, come molti costruttori ovunque in Italia.
Quello che voglio dire è che la crisi c'è, ed è devastante. Però forse molti stanno pagando il prezzo della loro cecità, della loro mancanza di innovazione, degli investimenti sbagliati.
Molti, direi troppi, hanno investito sull'hardware e non sul software. Ed hanno sbagliato. Giusto per far capire ai miei interlocutori cosa intendo dire, faccio sempre questo esempio: un televisore si può comprare a 300 euro, e dura 5 anni. Nel contempo in 5 anni, se ci si abbona a sky, si tirano fuori 3000 euro. In pratica i contenuti costano più del contenitore. La stessa cosa avviene con un computer: un programma costa più del computer sul quale deve girare.
Questo è il tempo della leggerezza, dell'immateriale, del just in time, dell'immagine. Chi spera di vendere dei prodotti sbaglia; quello che occorre vendere è un'emozione. E questo presuppone un approccio completamente diverso del fare impresa. Io, che mi occupo di arredo, ho capito che ciò che devo fornire ai miei clienti non è un arredamento, ma un'atmosfera. E questo presuppone una struttura aziendale del tutto nuova. Con la conseguenza che ciò che un tempo poteva essere considerato un vantaggio, come il possesso di un capannone o di impianti costosi ma dalla veloce obsolescenza, oggi può essere considerato uno svantaggio, un fardello che mina l'indispensabile leggerezza che una azienda deve possedere.
Il vero capitale, in questo momento, è costituito da questi tre elementi. La conoscenza, le relazioni, la liquidità.
La conoscenza è fondamentale. Bisogna saper fare le cose meglio degli altri, conoscere i processi, i materiali, i mercati.
Le relazioni, sostenute dalla fiducia e dall'affidabilità, consentono di trovare sempre nuovi clienti.
La liquidità, che consente quella tranquillità senza la quale diventa difficile lavorare e che, sopratutto, permette di rifiutare quelle commesse che non ci dovessero garbare.
Se hai soldi e conoscenza, puoi realizzare qualunque cosa, affidandoti ad una serie di fornitori che in questo momento hanno gli impianti sottoutilizzati. Se hai relazioni e conoscenza hai mercato. Ma la mancanza di una pesante struttura di hardware, riduce drasticamente i costi fissi, con la conseguenza che, qualora le commesse dovessero scarseggiare, si ridurrebbe il reddito, ma non si andrebbe in perdita.
Voglio concludere ammonendo tutti coloro che sentono pesantemente la crisi di prendersi una piccola vacanza, ed occupare il tempo a riflettere. Chiedersi se la propria attività possa avere un futuro, al di la della crisi, oppure se la caduta dei consumi non abbia semplicemente amplificato problemi che in ogni caso sarebbero emersi.