By: angelo on Sabato 13 Settembre 2003 17:11
Ciao Panarea,
perdonami ma trovo qualche incongruenza nella tua ultima risposta.
1) Mi confermi (come dice la famosa pubblicità “Twu is mei che uan”) che anche tu non conosci nessuno che in pratica usa il beta per costruire portafogli (in realtà ogni tanto qualcuno prova a lanciare fondi che operano in base alla finanza quantitativa, ma chissà come mai spariscono in fretta…………..). Mi distruggi tutti i metodi di valutazione che potrebbero averlo come input (e su questo aggiungo qualcosa dopo).
E poi mi dici che vorresti calcolarlo su durate più lunghe e magari intraday (auguri, l’adattamento di quelle formule è tutt’altro che elementare….. se ce la fai porti innovazione, purtroppo solo nelle torri d’avorio dei professori).
Scusa la secchezza della domanda: “Ma …………… per fare che?” Una volta che hai fatto tutti questi calcoli, a che ti servono – in concreto – per investire?
2) Ricordi che “talvolta i modelli servono proprio a questo, a cercare di rendere oggettivo valutazioni altrimenti soggettive.”.
Qui ho il sospetto di non essermi spiegato bene. E chiedo aiuto da “Come guadagnare in Borsa” di R. Di Lorenzo (un testo peraltro pieno di banalità, ma in cui ci son tre capitoli che valgono da soli il prezzo di copertina). Pagina 155, capitolo 17, intitolato Validazione del modello: “Abbiamo costruito un modello di valutazione del valore dell’azienda……………. Ora, come detto, non esistono modelli veri e modelli falsi; esistono solo modelli che rendono conto della realtà e modelli che non ne rendono conto. Nel settore di indagine che ci interessa, il rendere conto della realtà significa che il mercato scoprirà immancabilmente (dandogliene il tempo, si intende) i valori nascosti che il modello ha indicato per tempo, facendone lievitare il prezzo”.
Il punto non è a che servono i modelli, il punto – che ci piaccia o no – è che il Beta non è un modello che rende conto della realtà.
Sai sicuramente anche tu che il rischio di SADI o IT Holding – o di qualunque titolo azionario, per la verità - non può essere pari a 1/10 di quello del mercato (e qui non è colpa della volatilità intraday), ma su questo non commenti e “passi oltre”.
Sai sicuramente anche tu che il modello non solo non rende conto della realtà passata (B. Fideuram non è rischiosa come STM, neanche se si esaminano due serie storiche coi soli prezzi di chiusura, eliminando così la volatilità intraday) ma SOPRATTUTTO non ha capacità previsionale. Come scrive il tuo amico Caparrelli a p. 218-228, i beta dei singoli titoli non sono stabili nel tempo (quelli dei portafogli son più stabili, ma probabilmente solo per effetto di errori di stima di segno opposto che si compensano in modo del tutto casuale).
3) “in un mercato efficiente, il valore di un'azienda è solo e soltanto il prezzo a cui è stato battuto l'ultimo scambio, il resto sono chiacchere”.
Già, ma il mercato è efficiente? Se lo fosse, io avrei dovuto cambiare mestiere da tempo………
E – permettimi - no, non tutto il resto sono chiacchiere. C’è una cosa che si dimostra essere “l’acid test” di tutte le teorie sulla borsa e sulla finanza.
E’ quella cifra che ti scrivono sull’ultima riga del conto corrente e che si chiama saldo. E’ un giudice severo ma imparziale della fondatezza di un metodo di investimento. E’ la validazione del modello di cui parlava De Lorenzo portata un passo più avanti, trades reali soldi reali, non solo contabilità redatta ex post da un computer.
Tutte le “storie di successo” riguardanti investitori istituzionali sul mercato azionario italiano che io conosco adottano come metodo primario l’analisi fondamentale e lo stock picking.
I Capecce della situazione potranno pure fare sfracelli partendo da 25.000 Euro, ma quando c’è da muovere cifre con altri zero le loro tecniche sono semplicemente inapplicabili.
4) “tutti i metodi dal DFC a quello che vuoi sono arbitrari e quindi, pur se fallace, il mercato è più vero e oggettivo. Ti faccio degli esempi concreti e applicativi: nel DCF cosa mette al numeratore? Per Sadi cosa ci metti? Come fai a sapere quale sarà il cash disponibile tra 5 anni? E il premio sul rischio rispetto ad un'attività senza rischio? Altro metodo: reddituale puro al numeratore il reddito normalizzato al denominatore la solita attualizzazione con il tasso. Ma cosa è il reddito normalizzato di Sadi? E di Fiat? La media degli ultimi 3 anni escludendo le poste straordinarie? Boh! Il consiglio nazionale italiano dei dottori commericialisti……………..”
Ah, qua risponderti sarebbe semplice. Potrei citare W. Buffet e dirti: Se non hai dati previsionali ragionevoli, passi ad un’altra azienda. Nessuno ti costringe a dare un valore a tutto. Di professione fai l’investitore, non l’indovino”. Ma non lo faccio.
Il mio procedimento operativo è questo:
- in primo luogo devo avere un motivo per valutare un’azienda. Essere quotati non è motivo sufficiente. La mia attenzione può essere attirata da un rapido esame dei multipli o da un articolo di giornale;
- 2° leggo gli ultimi due bilanci consuntivi; lo scopo qui è inquadrare l’azienda: più attenzione sui numeri di bilancio, settore, clienti, fornitori, concorrenti. Se son fortunato conosco qualcuno tra questi ultimi tre e lo chiamo; una chiacchierata informale è spesso impagabile come mezzo di raccolta informazioni;
- 3° contatto l’azienda, spiego chi sono e cosa faccio e chiedo la loro disponibilità a collaborare. Ogni azienda ha un suo grado di disclosure. Alcuni anni fa dalla ex Banca Popolare di Novara mi son sentito dire che tutto quello che volevano comunicare al mercato era scritto nei bilanci e nei comunicati stampa. Per fortuna, è un atteggiamento sempre più infrequente;
- 4° dopo il contatto con l’azienda devo avere un’idea dei loro piani/previsioni/aspettative. Sono in genere in grado di dare un giudizio di affidabilità sugli stessi e discuterne in maniera critica in un secondo colloquio. Se non raccolgo abbastanza informazioni devo fare una scelta: o lascio perdere (raro: parlando con loro anche se non ti danno informazioni, riesci quasi sempre ad avere il feeling del business) oppure riesco a proseguire anche senza il loro aiuto: in questo caso, però, divento molto più prudente sulla parte revisionale;
- 5° è la valutazione vera e propria. Su questo, ovviamente, ho già trovato le risposte a tutte le domande che poni e anche ad altre, altrettanto importanti.
Chiaro, questo non è un hobby che puoi fare un’ora al giorno prima di cena. E nessuno dice che sia facile. Soprattutto non è da confondere con cercare IBM su Yahoo e guardare 4 numeri.
E chi vuol sapere come si fa, smette di leggere libri, soprattutto se scritti da gente che fa una valutazione ogni tanto per meri motivi giuridico-formali e va dove si fa valutazione finanziaria tutti i giorni con lo scopo di metterci (o meno) i propri soldi.
Massimo rispetto per i commercialisti, 10 anni fa ero anche iscritto all’albo della mia città, ma diciamolo chiaro: non sono loro la fonte primaria di know how nella valutazione d’azienda.
5) “Il DCF non è nemmeno raccomandato perchè inapplicabile ed eccessivamente arbitrario!!”
A volte è importante avere una prospettiva storica delle cose.
La materia della “teoria della valutazione d’azienda” in Italia ha un padre riconosciuto: Luigi Guatri.
Nel suo primi scritti (io conservo tutto ingiallito l’edizione 1984 de “la valutazione delle aziende”, Giuffrè editore), il Guatri aveva una forte avversione per i metodi finanziari – descritti appunto come troppo soggettivi – e arrivava a teorizzare la presenza di due scuole europee di valutazione: una di matrice anglosassone (basata sul DCF) e una di tipo continentale (soprattutto Germania e Italia) che preferiva metodi più oggettivi (patrimoniale semplice e patrimoniale misto con correzione reddituale).
In Italia, nessuno ha mai osato contraddire Guatri: era equivalente ad essere considerati eretici, col solo risultato di non vedersi più assegnate dai tribunali nessuna di quelle famose perizie che servono a poco o niente, ma fruttano succose parcelle.
Col tempo Guatri ha molto ammorbidito questa posizione (il famoso metodo EVA da lui pubblicizzato non è altro che un DCF, anche se nessuno lo dice), ma molti suoi seguaci – più realisti del re – continuano a portare avanti la vecchia tesi e ad ignorare che il loro metodo preferito, misto patrimoniale-reddituale IN PRATICA NON E' MAI USATO da chi ci mette i soldi.
Beh, facciano (fate) pure. Siamo in un paese libero.
PS Per quale motivo dovrebbe essere più importante ciò che dice una associazione di diritto pubblico? Sono stati forse “unti dal Signore”?