By: epicurojr on Martedì 10 Dicembre 2013 10:10
un alitata di ottimismo
Anche in ginocchio ma ce la faremo
L'editoriale di Guglielmo Pelliccioli
Censis
Roma Giuseppe
Un giorno tutti gli ambasciatori del mondo andarono da Dio lamentandosi che aveva commesso un’ingiustizia creando l’Italia tanto bella e piena di luoghi meravigliosi. Il Signore imperturbabile li lasciò parlare, poi spiegò: “E’ vero, però ci ho messo gli italiani!”. Non so se l’amico Giuseppe Roma, nello scrivere il suo commento al recente rapporto del Censis sullo stato del Paese, abbia pensato a questa storiella nel tratteggiare un popolo "sciapo e infelice" ormai privo di iniziativa. E' ormai evidente che l’Italia e gli italiani si stiano polarizzando su due visioni contrapposte riguardo al loro futuro: quella, ed è la maggioranza, ormai rassegnata ad accettare la deriva del Paese e quella, assai meno numerosa, di chi professa ottimismo e fiducia nel domani. Tra questi ultimi mi conforta annoverare alcuni eccellenti commentatori e conoscitori delle cose italiane quali i giornalisti Scalfari, de Bortoli, Panerai. Con toni diversi tutti e tre concordano che il Paese, con pochi accorgimenti ma sostanziali, potrebbe riprendere a camminare. Anche nel ceto imprenditoriale si segnalano alcune mosche bianche: ne cito due, Della Valle e Farinetti, personaggi assai diversi per origini e modello di business. Il primo si è spinto ad affermare che l’iniziativa di restauro del Colosseo, peraltro da lui finanziata, potrebbe essere l’occasione per far vedere al mondo che gli italiani investono sul primato del loro patrimonio architettonico e culturale.
Bastano poche eccezioni a salvare l’immagine di un popolo in fuga disperata da se stesso e dal suo futuro? 
Io dico di sì e mi permetto di aggiungere che "anche se in ginocchio, ce la faremo".
La frase non è mia ma, l’ho adottata. Perchè è bella, perchè è giusta, perchè è vera. Certamente nessuno può negare che siamo un Paese in ginocchio e che non si intravedono facili scorciatoie di uscita. Ma se davvero è così, come possiamo illuderci di farcela?
La ripresa, che molti aspettano come fosse una scadenza del calendario, tipo l’arrivo della primavera o il sorgere del sole, non arriva da eventi lontani e sconosciuti ma scaturisce 'in primis' dentro di noi. Lo ribadiamo ancora una volta: noi, e niente altro, siamo la molla che fa scattare la voglia di cambiare. Le motivazioni stanno tutte nella determinazione 'rabbiosa' che vogliamo mettere per invertire il percorso negativo: anche a costo di modificare sostanzialmente il modo di vedere e affrontare la nostra attività. Le solite belle parole, direte.
Come si conciliano queste affermazioni di principio con la necessità pratica di vendere più immobili o incassare più affitti o costruire nuove case? La prendo alla lontana. Ieri è stato indagato l’ennesimo imprenditore immobiliare per corruzione. Non importa il nome e la città. Importa che per molti questa è la sola via per salvarsi dalla crisi. No, non è così che se ne viene fuori. Questo non è il modo corretto di guardare al futuro e al nostro lavoro!

Sento manager e imprenditori che si lamentano del fatto che oggi lavorano tantissimo per concludere poco o niente: “Tutto - mi dicono - è diventato estremamente difficile”. Così essi perdono un sacco di tempo dietro a piccole questioni, a operazioni insignificanti, a discussioni capziose. Questa è diventata la faccia più evidente della crisi: rendere difficili le cose che una volta erano facili. Ma seguire questo stillicidio dispendioso di energie non può essere né utile né produttivo. Oggi le opportunità bisogna crearsele e per farlo serve inventiva e visione imprenditoriale. In questo senso mi pare che Roma e i suoi del Censis abbiano ragione nel disegnare un’Italia sfiduciata e senza più voglia.
Parlando giorni fa con un operatore immobiliare su questi temi, si ragionava su alcune possibili iniziative: sulle necessità, ad esempio, di trovare una casa agli studenti universitari fuori sede era emersa l’idea di creare degli alberghi adattati totalmente o in parte per studenti. Una soluzione tanto semplice quanto poco costosa per riempire le strutture ricettive, offrire un buon servizio, anche in termini di sicurezza, alle famiglie, risolvere un problema tra i più assillanti del mercato immobiliare, togliere l’enorme macchia di evasione degli affitti in nero.
Altro tema: le caserme, di cui si continua a parlare senza combinare niente. Perché allora, suggeriva il nostro interlocutore, non trasformarle con pochissima spesa in centri commerciali? Attenzione, non per grandi brand, ma adattati alle attività di semplici artigiani locali: quelli che sanno lavorare e hanno creatività. Gli spazi sarebbero giusti, gli affitti miti, i costi di ristrutturazione modesti, la gestione ancora meno. Con cinquanta o cento artigiani si riempirebbe una caserma ma si attirerebbe un pubblico vastissimo, come ha dimostrato l’Artigiano in Fiera tenutosi in questi giorni a Milano che, in neanche 10 giorni, ha attirato più di 3 milioni di persone dall’hinterland e dalle provincie vicine. Pensate come verrebbe rivalutata una caserma con questo genere di attività in corso per tutto l’anno. Assieme a questi si potrebbero ospitare agricoltori e coltivatori locali per la vendita di prodotti a kilometro zero. In mezzo a queste attività sicuramente si installerebbero strutture come bar o piccoli ristoranti, spazi per i giochi dove i bambini potrebbero fare anche attività educativa come, ad esempio, piccoli lavoretti in cambio di monetine virtuali da spendere per continuare a giocare quando finiscono le monetine lasciate dai genitori. In pochi mesi questi luoghi diventerebbero vivi e parte integrante della città, addirittura esempi di rigenerazione e aggregazione sociale.
Vorrei aggiungere altre due voci di speranza: il turismo e il recupero urbano. Possibile che non si veda come da queste due fonti si potrebbero attingere tante di quelle risorse da lavorarci sopra per almeno un decennio? E senza progetti faraonici, ma con piccoli investimenti localizzati facilmente finanziabili. Pensate solo ad un piano di risparmio energetico per le abitazioni e i palazzi. Con i risparmi conseguiti sulla bolletta si potrebbe pagare la rata di un prestito bancario per finanziare l’intervento.
Non ci permettiamo di insegnare il mestiere a nessuno. Ci mancherebbe. Lasciateci però lanciare dei messaggi di speranza e fiducia. Noi giornalisti per fortuna non siamo soggetti a risolvere problemi aziendali di finanza o di investimento; perciò abbiamo più tempo per leggere, per ascoltare, per documentarci. E, se non vi offendete, per relazionarvi. Se esprimiamo ottimismo non è dunque perchè ci alziamo di buon umore. Riportiamo sensazioni, previsioni, indicazioni raccolte tra gli operatori e sul mercato. Almeno di questo fidatevi. Poi si potrà discutere sui tempi e sull’intensità della ripresa e se sarà omogenea ed equamente spalamata per tutti i settori dell’economia.
Abbiamo ricostruito un Paese e siamo risorti decine di volte nel corso della nostra millenaria storia come popolo, come comunità, come persone. Quanti di noi sono caduti e si sono risollevati? Andavano in ginocchio e faticosamente si sono alzati. Non perché la fortuna li abbia assistiti, ma semplicemente perché si sono dimostrati bravi, coraggiosi, ingegnosi. E anche ieri, come oggi, come domani c’erano ladri, approfittatori, raccomandati e... burocrati. Benetton e Del Vecchio hanno lanciato le loro imprese quando l'inflazione era al 20% e il costo del denaro al 25% Ma c’era anche la "fame": un vuoto da colmare che si chiama desiderio di rimettersi in piedi, di non perdersi, di guardare in faccia la vita. Fuor di metafora, se ce la faremo sarà perchè siamo stufi di questa condizione che stiamo subendo da anni e che ci impone una non vita, una non prospettiva, una non scelta. Occorre che ci guardiamo in faccia e ci parliamo chiaro. Che impariamo qualcosa da questa crisi e che ci instilliamo nelle vene il propellente giusto. Basta piangere innanzitutto. Oltretutto non fa bene né al morale né alla salute. A meno che non si vendano... fazzoletti.
Il mondo perirà non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia (Chesterton)