By: Cures on Martedì 24 Settembre 2013 10:19
X Nevanlinna
Spero che mi si perdonerà una digressione fuori tema, ma i laser e il termine cacciavitaro mi hanno ricordato tempi migliori.
Oltre trent’anni fa decidemmo in tre amici di verificare, nel tempo libero, una certa ipotesi. Per fare questo dovevamo costruire un laser CO2 di potenza con materiali poveri che più poveri non si può perché era a spese nostre.
Doveva funzionare solo per il tempo necessario, ma funzionò invece per parecchio tempo.
Il tubo gas era fatto di allumina di quella che si usa nelle stufe elettriche e sulle quali si avvolge la resistenza (in costantana pure là). Ha una buona conducibilità termica che consente di smaltire il calore interno, è isolante, resiste alle alte temperature e costa pochissimo se la vai a comprare come parte di ricambio della stufetta.
Smanettando con il tornio,il trapano a colonna e un tubo pieno di acciaio inox, allestimmo due teste a fungo con un foro centrale uguale al diametro esterno del tubo di allumina. Sulla testa piatta del fungo ricavammo tre fori filettati e, lateralmente, un foro filettato di passaggio sul quale avvitammo un tubicino inox.
Incollammo il tutto sulle estremità del tubo di allumina tramite un mastice della 3M che aveva la proprietà di non sviluppare vapori nocivi per la miscela laser e resisteva al calore.
La parte più costosa e problematica, che ci fece piangere un po’, fu l’acquisto di uno specchio riflettente dorato e di uno semiriflettente al seleniuro di zinco. Entrambi convergenti. Serviva poi una pompa a vuoto che acquistammo, rigorosamente di seconda mano, da un rivenditore di attrezzature per alimenti. Esistevano già allora e adesso si trovano anche al supermercato, più belle che pria.
Serviva poi un alimentatore in alta tensione da collegare alle due teste a fungo. Senza nessun pudore scientifico, ci facemmo regalare un trasformatore da neonisti da un artigiano, di quelli che allestiscono le insegne, che non sapeva che farsene perché era uno scarto dei lavori fatti.
Acquistammo poi la miscela laser dalla Rivoira, che ritirai personalmente, perché gli altri due sfaticati asserirono di non essere in grado di maneggiare la pesante bombola. E così la trasportai in macchina, mezza fuori e mezza dentro, scegliendo stradine laterali per evitare curiosità inopportune dei vigili visto che era caricata a 150 bar e spuntava dal finestrino.
Gli specchi vennero montati su un supportino mobile costituito da una rondella inox con tre fori passanti, che premeva gli specchi contro una guarnizione a sua volta pressata contro la testa a fungo.
Il gas partiva dalla bombola, passava per il regolatore di pressione a 30 millibar circa, entrava nel primo tubicino, percorreva il tubo internamente, usciva dal secondo tubicino per entrare nella pompa a vuoto che lo aspirava scaricando in aria. Finestre sempre aperte e ben ventilate.
A questo punto si trattava di allineare gli assi ottici degli specchi ma l’operazione si fa con l’alimentazione inserita che era di circa 13000 Volt.
Il che si presentava come una operazione piuttosto pericolosa stante che il tutto violava ogni norma di sicurezza presente e futura.
Secondo la nota regola che il più debole soccombe, venne imposto al più pratico di offrirsi volontario aspirante suicida.
La regolazione venne effettuata tramite un lunghissimo cacciavite di plastica isolante, ma quello che venne rumorosamente apprezzato fu la tecnica di regolazione perché l’eroe si cautelò indossando scarpe di gomma, che servivano comunque a poco, e, mentre con una mano impugnava il cacciavite, si era infilato l’altra nel posteriore dei pantaloni per impedirsi eventuali manovre istintive che lo portassero a toccare le parti in tensione.
Naturalmente, gli altri due fifoni stavano a debita distanza, muniti di un bel manico di scopa in legno col quale scostarlo via in caso di incidente.
Fu proprio in quella occasione che usammo come bersaglio un mattone pieno che il laser bucò allegramente in poco tempo. Uno spettacolo..