Ti diro' Willis, tra avere minibot e avere patrimoniali e tasse ecologiste etc. non so cosa sia peggio...
Intanto per l'ambiente incollo questo l'ho letto solo delle parti non ho tempo.
La solita campagna della sinistra mondiale contro leader che non sono uniformati ad essa. La sinistra è il male di tutti i mali.
L'Amazzonia l'ossigeno se lo tiene. Tutto
Studi scientifici alla mano, la casa non sta bruciando e l'Amazzonia nemmeno. L'Amazzonia peraltro non è affatto il polmone verde del Pianeta, ed è falso che dire che produca il 20 per cento dell'ossigeno: in linea puramente teorica produrrebbe venti volte il fabbisogno dell'intera umanità, ma è ossigeno che la foresta pluviale produce e consuma interamente.
Neanche un centimetro cubo lascia l'Amazzonia, che pure è grande sedici volte l'Italia.
Per quanto riguarda gli incendi di questi giorni, i media di tutto il mondo hanno fatto vedere le immagini del cielo grigio sopra San Paolo: ma è stato appurato che trattasi del fumo di incendi che ci sono nel vicino Paraguay, mentre la foto con un incendio amazzonico che Emmanuel Macron ha postato su Twitter risala addirittura al 1989.
Ognuno spara dati e cazzate, ma sui dati non si può barare più di tanto: i fuochi amazzonici, che ci sono ogni anno, soprattutto nella stagione secca, sono monitorati dai satelliti della Nasa e dal programma Copernicus dell’Unione Europea, non soltanto dall’Istituto di ricerche spaziali del Brasile di Jair Bolsonaro.
Tutti hanno scritto che da gennaio ci sono stati 74mila incendi, ma è un numero che si riferisce all’intero Brasile: in Amazzonia sono stati 39mila.
Chissà se nel G7 di questi giorni discuteranno dell'allarmismo catastrofista di cui si sta rendendo epicentro soprattutto Macron, che ha scritto delle cretinate colossali per ragioni politiche sue: «La nostra casa sta bruciando. Letteralmente. La foresta pluviale amazzonica - il polmone che produce il 20% dell'ossigeno del nostro pianeta - è in fiamme. È una crisi internazionale. Membri del vertice del G7, discutiamo di questa emergenza tra due giorni! #ActForTheAmazon».
Allora ricominciamo dalle basi, come qualsiasi biologo, astronomo o naturalista potrebbe confermarvi: il monitoraggio satellitare dell'atmosfera, in Amazzonia e in tutto il Pianeta, mostra che i polmoni del mondo (intesi come aree di grande produzione di ossigeno) sono notoriamente gli oceani, in
particolare vicino all'Artico e all'Antartide. In Amazzonia, come detto, la produzione di ossigeno è equivalente al consumo, essenzialmente per la traspirazione della vegetazione: un contributo dinamico pari a zero. Il ruolo di quell'enorme e preziosa foresta pluviale è un altro, e per ora non risulta in pericolo: è quello di fungere da condizionatore d'aria del Pianeta e di inviare cioè costantemente umidità e calore alle alte latitudini (tanto che dallo spazio è difficilissimo fotografare quella zona) secondo un meccanismo che, anche qui, non scopriamo certo noi.
La maggior parte dell'ossigeno (99,5 per cento) si trova nella crosta terrestre e nel cosiddetto mantello. Solo una piccola porzione si trova nell'atmosfera: lo 0,36 per cento. Volendo restare all'Amazzonia e utilizzandola come esempio, ogni anno 27 milioni di tonnellate di polveri provenienti dai deserti salati africani (tempeste ben visibili dallo spazio) si riversano su questa foresta brasiliana (ma non solo brasiliana) e fanno da fertilizzante per flora e alberi che trasformano l'anidride carbonica in ossigeno: ciascun albero nella sua vita ne produrrebbe una quantità sufficiente a due persone, e, come pure detto, l'intera Amazzonia venti volte quello che l'umanità potrebbe consumare. Ma non un solo alito di ossigeno lascia l'immensa foresta, che consuma tutto quello che produce.
Tuttavia il bacino amazzonico è sempre ricoperto di nuvole, e questo fiume di nuvole galleggia sopra tutto il Sudamerica sinché si scontra per esempio con i 7000 chilometri di cordigliera delle Ande e ricade sotto forma di pioggia equatoriale nel bacino amazzonico, e attraverso i corsi d'acqua giunge sino al mare dopo aver eroso roccia e sedimenti. Ed è qui che compaiono le vere artefici dell'ossigenazione del Pianeta: le diatomee, organismi quattro volte più sottili di un capello che attuano la fotosintesi producendo ossigeno. Dai satelliti, guardando gli oceani, s'intravedono delle correnti azzurrine o verdognole: sono loro, le diatomee, che insieme ad altri organismi formano il plancton e ci tengono in vita. Amano nutrirsi dei sedimenti celati nei ghiacciai che si sciolgono o che, ai poli, crollano spettacolarmente coi loro seracchi: per questo la produzione mondiale di ossigeno è concentrata in Artide e Antartide. Ma, anche quando muoiono, le diatomee fanno la loro parte; ricadono sul fondo dell'oceano come neve marina e, in milioni di anni, quando le terre riemergono e ridivengono deserti, compongono la polvere – milioni di gusci di diatomee – che le tempeste spingono tra l'altro in Amazzonia. E il ciclo ricomincia.
L'ossigeno prodotto dalle foreste (che se lo tengono, assorbendolo soprattutto a causa della decomposizione degli organismi vegetali) ) e l'ossigeno prodotto dagli oceani, in una parola, nasce per fotosintesi: ma è anche lo stesso ossigeno che è è chimicamente responsabile della proliferazione degli incendi. L'aumento dei livelli di ossigeno ha minacciato più volte la vita sulla Terra: sino a 300 milioni di anni fa il nostro Pianeta bruciava, e autentiche catastrofi dell'ossigeno estinsero le primitive forme di vita anaerobica durante il periodo Proterozoico. Ma si fa complicata.
Tornando all'Amazzonia e al cretinismo catastrofista, non v'è dubbio che la foresta costituisca comunque uno degli ecosistemi più importanti per la vita sulla Terra e che la deforestazione lo metta a rischio: ma il fenomeno risale a secoli fa e il peggio agli anni Ottanta e Novanta, poi bloccato con la legislazione più restrittiva che esista in materia. Ma gli incendi c'entrano poco.
Non si può confondere l’incendio con il fuoco controllato: in Brasile c'è un sistema di monitoraggio orbitale dei fuochi controllati i cui risultati sono disponibili su Internet, caso unico a livello mondiale. Gli incendi calano e con la deforestazione c'entrano relativamente, ma sono scesi in piazza persino i vescovi brasiliani e c'è chi discute addirittura di dichiarare guerra a Jair Bolsonaro, ritenuto in qualche modo corresponsabile degli incendi: la rivista Foreign Policy si è chiesta se altri paesi potranno permettersi di restare a guardare, sapendo che la fine della foresta avrebbe conseguenze disastrose in tutto il mondo.
Questo, nonostante i paesi che hanno maggiore impatto sul clima mondiale non sono quelli come il Brasile, ma quelli più ricchi e militarmente potenti: Cina, Stati Uniti, India e Russia, che tra l'altro sono le principali produttrici di gas serra al mondo.
Saremmo alla prima guerra ecologica mondiale.
(Libero, 25 agosto 2019)