per chi nutre ancora un po' di interesse per le questioni fondamentali:
Il Tribunale di Roma prevede l’abolizione del diritto alla vita
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Nell’ordinanza del tribunale di Roma i giudici si sono avventurati a prevedere che la Corte costituzionale cambierà opinione in materia di trattamenti sanitari obbligatori. Si sono arrogati, in altri termini, capacità divinatorie circa ciò che faranno i quindici altissimi magistrati che compongono la Corte, la quale dovrebbe svolgere funzioni di garante della cosiddetta carta costituzionale, e il termine carta appare ogni giorno più appropriato per descrivere il documento in questione. Sino ad oggi (si vedano in proposito le sentenze 307/1990, 258/1994 e 5/2018) la Corte costituzionale è stata ferma nel ritenere che un trattamento sanitario obbligatorio possa essere ammissibile solo laddove questo giovi non solo alla salute del soggetto obbligato ma anche a quella di tutti gli altri e a condizione che gli effetti avversi non superino la soglia della normale tollerabilità non essendo possibile chiedere il sacrificio della salute o della vita del singolo, foss’anche per salvare quella di tutti gli altri. Questo orientamento, ad avviso dei giudici romani sarebbe ormai obsoleto e destinato a cambiare. In un grave contesto di pandemia il governo si troverebbe a dover intervenire non solo su di una popolazione da proteggere con misure di profilassi, ma su di una popolazione ammalata da curare. La repubblica italiana sarebbe stata trasformata, quindi, in uno stato terapeutico tra le cui funzioni rientrerebbe anche quella di curare la popolazione complessiva, con un inusitato stravolgimento dell’attività medica che da individuale e fondata sul rapporto tra medico e paziente sarebbe passata ad una funzione di cura collettiva, responsabilità di organi elettivi o amministrativi cui, pur in mancanza di ogni qualificazione professionale, andrebbe riconosciuta la funzione di depositari del sapere scientifico in materia medica. Il nuovo stato terapeutico istituito per via pandemica giustificherebbe, ad avviso del tribunale di Roma, l’accettazione di effetti avversi derivanti dall’obbligatoria vaccinazione di massa. Per dirla in termini più crudi e fuori dalle metafore del gergo legale: secondo il Tribunale di Roma un po’ di morti ed un po’ di malati gravi sarebbero perfettamente giustificabili in un contesto di pandemia giacché il governo avrebbe comunque il dovere di intervenire per curare la popolazione. Il sacrificio della vita dei singoli – il tribunale non ci rivela il numero di morti da ritenere accettabile – sarebbe giustificato dall’esigenza di proteggere tutti gli altri. Il governo si vedrebbe riconosciuta quindi dalla Corte costituzionale, secondo le previsioni dei magistrati romani, la licenza di uccidere purché ciò sia giustificabile da un punto di vista epidemiologico.
Ogni regime ha bisogno non solo di volontari scherani ma soprattutto di una forma di consenso e l’unico mezzo per ottenerla è sempre stata quella di convincere la generalità dei sudditi di far parte di un disegno di più ampio respiro, di un grande piano per il bene della collettività. Esaurita la spinta propulsiva della motivazione religiosa l’epoca della modernità ha visto l’emergere di un nuovo credo, quello nella scienza, utile a giustificare la vecchia ideologia del bene comune. Scientifiche, ad esempio, erano le ragioni per la necessaria eliminazione della borghesia e delle parti malate della società da parte dei bolscevichi.
Fondate sulla genetica furono le ragioni addotte dai nazionalsocialisti per lo sterminio degli ebrei e delle razze considerate inferiori. L’eugenetica guidò i progetti di sterilizzazione di massa dell’Inghilterra vittoriana o della California di un secolo fa. Medico-epidemiologiche sono oggi le ragioni che giustificherebbero, sempre in nome del bene comune e superiore, la possibile uccisione di un numero ad oggi imprecisato di persone che soffriranno degli effetti avversi letali dei vaccini contro la malattia Covid-19. Per non parlare delle visioni distopiche del World Economic Forum che vagheggia, e non da ora, la riduzione a metà della popolazione mondiale per salvare la terra dal peso eccessivo di un numero di abitanti ritenuto insostenibile nell’ultima versione dell’incubo malthusiano teorizzato anche dal signor Cingolani, ministro della repubblica, il quale sa che la terra è progettata (da chi?) per tre miliardi di persone
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La china totalitaria di cui è testimonianza il provvedimento del tribunale di Roma esige una reazione immediata da parte di chiunque non sia ormai irrimediabilmente vittima dell’ipnosi di massa iniziata a marzo 2020. Occorre recuperare il valore fondamentale della libertà individuale sulla quale non può mai prevalere alcun ragionamento fondato sull’ipotetico bene comune. Il quale, è bene ricordarlo, è inconoscibile. Il bene comune è la somma dei beni individuali. Si tratta di un dato storico ricostruibile, se mai, in retrospettiva. Ipotizzare il bene comune futuro significa attribuire a qualcuno (non importa se si tratti di un monarca, di un governo, di un parlamento o di un programma di intelligenza artificiale) la facoltà di prevedere ciò che sarà meglio per tutti nel futuro. Si tratta, come insegna la prasseologia misesiana, di una impossibilità logica giacché le decisioni di tutti sono imprevedibili e mutevoli e non è possibile conoscerle o indirizzarle in anticipo. È questa la ragione per cui il mondo disegnato dai pianificatori centrali si è sempre trasformato in un inferno. Per uscirne la strada è e resta sempre la stessa: sottrarre il consenso a qualsiasi organizzazione che voglia fondare le proprie azioni su di un concetto di bene comune e disobbedire – sempre e sistematicamente – a tutto ciò che i pianificatori centrali vogliano imporci