Non è con l'export che risolvi la crisi - GZ
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By: GZ on Domenica 27 Luglio 2014 02:30
E' tutto verissimo, ma non è l'essenziale. Non è con l'export e con la svalutazione del cambio per aumentare l'export che risolvi la crisi
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^"Sono i danni della moneta forte in un Paese debole"#http://www.iltempo.it/economia/2014/07/26/sono-i-danni-della-moneta-forte-in-un-paese-debole-1.1275082"^
di Alberto Bagnai, Professore di Politica Economica Università di Pescara
Quando un paese debole adotta una valuta forte, diventa un mercato di sbocco per i propri vicini più forti. Il potere d'acquisto che la valuta forte attribuisce ai cittadini del paese debole non può, per definizione, rivolgersi interamente ai prodotti nazionali (se il paese avesse una base industriale sufficiente, non sarebbe debole, ma forte). Fatalmente, quindi, questo potere d'acquisto si rivolge ai prodotti dei vicini più industrializzati. Importandoli, il paese debole manda in deficit la sua bilancia dei pagamenti. Perciò, quando si stringe un'unione monetaria, è indispensabile negoziare bene la forza della futura moneta comune. In uno dei suoi ultimi saggi, il professor Paolo Savona argomenta con Giovanni Farese che l'arretratezza del Mezzogiorno dipende anche dall'avere subito per tre volte un aggancio monetario fatto a immagine e somiglianza del Nord: con l'Unità (adottando la lira del Nord); dopo la Seconda Guerra Mondiale (con l'ingresso nel sistema di cambi fissi di Bretton Woods); e, infine, con l'ingresso nell'euro.
In queste occasioni la valuta comune (italiana, mondiale - tramite l'aggancio col dollaro - o europea) si sarebbe rivelata troppo forte per il Meridione, favorendone la persistenza in uno stato di arretratezza. Per molti anni a questa situazione si è ovviato con quella che Savona chiama la politica della pentola bucata: trasferimenti dal Nord al Sud, come in ogni unione monetaria non ottimale. Ma ora che la forza dell'euro sta schiacciando anche il Nord, ora che Milano ladrona ha capito che Berlino non perdona, i trasferimenti non sono più sostenibili. L'allarme del Centro Studi Confindustria, secondo il quale dal gennaio di quest'anno al Sud hanno chiuso in media 24 imprese all'ora, dipende anche da un aggancio monetario doppiamente errato: troppo forte per il Mezzogiorno all'interno dell'Italia, e per l'Italia all'interno dell'Europa. Auspichiamo che, dopo la denuncia, Confindustria trovi il modo di venire a patti con la realtà, avviando una riflessione serena sul problema.
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Tutto vero, però non è l'essenziale. Il presidente di Confindustria Squinzi è per l'Euro in modo molto convinto. Sai perché ? Squinzi, ha spostato la produzione della sua Mapei all'estero ormai.. ^"Noi abbiamo 43 stabilimenti in 21 Paesi, 7 in Italia. Nei prossimi mesi ne apriremo tre in Cina...”.#http://www.mapei.it/CMS/Img/TEMP1/PDF/RM71/rm71_pag6-7.pdf^ e crescono molto bene, non hanno problemi. Ma i profitti che fa esportando dagli USA o dalla Cina non li riporta in Italia, qui in Italia non passano… Squinzi è la prova che per aziende internazionali come la sua è indifferente il cambio, anzi meglio l'Euro della Lira...
Qui a Modena c'è l'abbigliamento (Carpi) e la ceramica ad esempio e parlo con gente del settore. Entrambi hanno ormai spostato la produzione all'estero. Per le ceramiche per la parte di produzione ancora in Italia, quello che conta,è il costo dell'energia che a sua volta è fatto al 70% di tasse (a domanda: "vi serve una svalutazione", il suo CEO mi risponde: "No"…). Per l'abbigliamento l'export va bene, ma non dipende dai costi in euro piuttosto che in lire perché ormai producono quasi solo in Marocco e posti del genere.. Ero a pranzo sabato pomeriggio con un commerciale che da 30 anni gira il mondo per questi e diceva:#F_START# size=4 color=black #F_MID# "ma quale crisi… ci sono cinque grosse aziende di moda e abbigliamento in questo momento a Carpi che fanno soldi alla grande, ma in Italia questi soldi non passano…non li vedi in nessuna statistica..."#F_END#
Questo inficia buona parte dell'argomento per il ritorno alla Lira BASATO SULL'EXPORT CHE MIGLIORA di Bagnai & C. Poi lo so che Bagnai ad esempio cita la statistica per cui la struttura dei costi dell'Italia è ancora quella di 20 anni fa in termini di % di beni intermedi ecc, ma sono questioni più complicate di quello che vedi con una statistica. Si dovrebbe chiedere del Giappone, un esempio clamoroso, sotto gli occhi di tutti, del fatto che la svalutazione per rilanciare l'export non funziona sempre...
Il Giappone infatti ha svalutato del -30% dal 2012 ad oggi e guarda i dati; export -2% e import + 8% e continua ad avere un deficit con l'estero. Il motivo è la Globalizzazione. Anche i giapponesi stanno spostano le fabbriche in Cina e paesi dove il lavoro costa meno e le multinazionali giapponesi quando il cambio dello Yen scende del -30% fanno più soldi, ma producendo dalla Cina il cambio che scende non gli cambia la struttura di costi
leggy qui ^"What Japan’s June Trade Disaster Really Means: Abenomics Is Flaming-Out" by Wolf Richter • July 25, 2014"#http://davidstockmanscontracorner.com/what-japans-june-trade-disaster-really-means-abenomics-is-flaming-out^
Per risolvere la crisi devi incrementare la moneta in Italia, eliminare il costo di interessi del debito pubblico e ridurre le tasse di 200 mld. Punto.