l'atmosfera che si respira ora in Italia mentre si moltiplicano i segni premonitori - gz
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By: GZ on Giovedì 25 Marzo 2004 15:35
Quello che succede nel giocare in borsa quando hai sbagliato e ti ostini lo stesso nella posizione e in tante altre faccende nella vita (fidanzamenti, difficoltà economiche...) è che anche se hai la sensazione netta che sarai colpito da qualche cosa di negativo d'istinto cerchi di rimuovere il problema.
Per cui fai finta di niente, parli e ti occupi di tutt'altro, ti irriti se qualcuno te la ricorda, ne attribuisci la colpa eventuale a questo o quello nei modi più strampalati, razionalizzi che comunque hai ragione tu a continuare come prima e non prendi le misure necessarie e spiacevoli per ridurne l'impatto.
Questa è l'atmosfera che si respira ora in Italia mentre si moltiplicano i segni premonitori che si stia avvicinando ormai inevitabilmente il momento di un colpo terribile
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25 marzo 2004 - Corriere.it
Piani d'attacco studiati fra il '97 e il 2001.
Un tunisino rivela«Così volevamo colpire Milano»
L'uomo è un pentito di Al Qaeda. Ha svelato progetti di attentati contro stazione Centrale, caserma dei carabinieri e questura
Un attentato alla Stazione Centrale di Milano con un modus operandi che ricorda la strage di Madrid. I terroristi avevano già compiuto la prova finale. Azioni suicide contro la Questura e il comando dei Carabinieri in via Moscova, sempre a Milano. Con tecniche che rammentano il massacro dei militari a Nassiriya. Un’operazione kamikaze all’interno di una base della Nato a Mondragone, in provincia di Caserta. Un attacco ad un consolato tunisino come ritorsione per il fermo di un loro compagno. Possibili agguati a personaggi dello spettacolo, a cominciare da Maurizio Costanzo, «colpevole di parlare male in tv dei musulmani».
A rivelare questi inquietanti progetti - preparati in un periodo
compreso tra il 1997 e il 2001 - è il primo pentito in Italia di una rete pro Al Qaeda. Di nazionalità tunisina, laureato in musica, ex tassista, Ahmed (ma il suo vero nome è un altro) ha riempito decine di pagine di verbali indicando personaggi, ricostruendo contatti e appoggi di un nucleo operante nelle Regioni del Nord Italia. Una fazione radicale che si riconosceva nei principi dello Sceicco del terrore. Il collaboratore di giustizia ribadisce poi due elementi investigativi importanti. Primo: ogni nucleo può contare su un buon numero di uomini-bomba. Secondo: l’esistenza in Italia di cellule in sonno pronte a passare all’azione, create ben prima dell’11 settembre 2001.
I terroristi sanno che sta per abbattersi un colpo di maglio terrificante sugli Usa e temono possibili reazioni. Così cercano di farsi arrestare per reati minori nelle settimane precedenti all’attentato contro le Torri gemelle: un alibi perfetto, per tornare liberi dopo poco ed essere pronti a colpire al momento opportuno.
Ahmed, finito in manette nel 2001 e condannato a 4 anni e 6 mesi per associazione a delinquere, faceva parte del network costituito da Essid Ben Khemais (figura di spicco dell’integralismo a Milano) ed era vicino ai più importanti esponenti dell’Islam rivoluzionario. Un mujahed con incarichi operativi, disposto a partecipare a qualsiasi missione ordinatagli dai suoi capi. Ma che poi ha voluto prendere le distanze da metodi di lotta che non condivideva più. Gli investigatori hanno trovato riscontri alle affermazioni del pentito. Fino ad oggi, però, non sono state individuate le armi e l’esplosivo che gli estremisti avrebbero dovuto usare negli attentati. Un risvolto che spingerà probabilmente gli inquirenti a una serie di ulteriori verifiche sulla ricostruzione di Ahmed.
Le azioni delle quali parla il tunisino paiono studiate nei minimi particolari, attraverso la classica compartimentazione appresa dai fondamentalisti nei campi di addestramento dell’Afghanistan. Le confessioni - rilasciate, è bene ricordarlo, prima del massacro di Madrid - sono agghiaccianti, perché hanno anticipato quanto è avvenuto l’11 marzo in Spagna, con Al Qaeda che non si preoccupa più di colpire dei simboli ma semina morte tra la gente comune.
Il pentito è meticoloso nel ricostruire la preparazione delle diverse azioni. Alla Stazione Centrale di Milano gli uomini della cellula fanno una prima ricognizione e quando si accorgono che la sorveglianza è scarsa pensano di lasciare al deposito bagagli un buon numero di sacchi-bomba. Fanno una prova consegnando dei borsoni dalle forme strane e irregolari per vedere se l’addetto al ritiro si insospettisce. L’idea finale è quella di far crollare parte dell’edificio. Date previste: i giorni di Natale o Capodanno.
Nel piano contro la caserma dei carabinieri in via Moscova, uno
dei simboli storici dell’Arma a Milano, l’emiro - il responsabile della cellula - escogita un trucco in modo da poter esaminare dall’interno l’edificio. Ahmed inscena una lite di strada e si fa fermare da una pattuglia dei carabinieri che lo porta per gli accertamenti proprio a via Moscova. Una volta dentro, come una telecamera umana, il tunisino osserva i punti deboli. L’estremista e i suoi complici studiano, piantina alla mano, come utilizzare un furgone-bomba, verificando spazi di manovra e sorveglianza esterna, sia alla Caserma, sia alla Questura di Milano, in via Fatebenefratelli, poco distante. Dall’analisi «sul campo» decidono che il primo bersaglio è più facile.
Per spiare i soldati della Nato a Mondragone, Ahmed invece lavora in un campo di patate lì vicino. Il mujahed osserva, raccoglie dati, poi torna a fare rapporto all’emiro. Ancora una volta emerge il percorso operativo insegnato ad «Haidora», nome in codice per definire l’Afghanistan. I referenti, infatti, sono nascosti sulle montagne del Paese asiatico, culla di Al Qaeda. Solo qualcuno vive in Europa. Tra questi ultimi Ahmed indica il famoso Abu Nassim, capo del Gruppo tunisino combattente, personaggio che compare in tante inchieste milanesi. E il palestinese Abu Qetada, faro ideologico dei salafiti in Europa, da anni in Gran Bretagna. Un predicatore violento che avrebbe indicato la via della Jihad agli attentatori di Madrid.
Per fortuna gli attacchi organizzati non si sono verificati. Effetto degli arresti che hanno scompaginato ripetutamente il network eversivo e di un ordine che non è mai arrivato. Ma fino all’11 marzo, la maggior parte degli inquirenti riteneva che l’Europa fosse meno a rischio perché veniva usata da retrovia logistica. Gli zaini-bomba lasciati sui treni alla stazione di Atocha hanno dimostrato che il quadro strategico è mutato.
Giuseppe Guastella
Guido Olimpio